AMARCORD. Lo Us Open 1977, l’ultimo giocato a Forest Hills, è stato il più incredibile. Spari contro le tribune, transessuali in tabellone, racchette fuorilegge, invasioni di campo….
Michael Fishbach con la sua “Spaghetti Racquet”
 
Di Riccardo Bisti – 29 agosto 2012

 
Era la domenica di mezzo dello Us Open 1977. Circa 7.000 spettatori si assieparono sul campo centrale del West Side Tennis Club di Forest Hills per il match tra Eddie Dibbs (n. 9 del tabellone) e un giovanissimo John McEnroe, recente semifinalista a Wimbledon partendo dalle qualificazioni. Si era già fatto conoscere dagli inglesi per le sue intemperanze, tanto da essere soprannominato “SuperBrat”. Dibbs era il “gemello” del “Sorcio” Harold Solomon, battuto da Panatta nella finale del Roland Garros 1976. Subito dopo l’inizio, il fattaccio: uno spettatore fu colpito alla gamba da un proiettile. La polizia ipotizzò che il colpo fosse partito da un palazzo nei dintorni. Una specie di JFK in versione tennistica. New York era una città in convalescenza dopo il blackout di un mese prima che aveva causato furti e saccheggi. “Fu un’estate pazza – racconta Bud Collins – ci stavamo domandando se sarebbe stato sparato un altro colpo”. Dibbs e McEnroe non avevano alcuna intenzione di scoprirlo e volevano scappare negli spogliatoi. Per tranquillizzarli, raccontarono loro che non c'era stato alcun colpo, ma che lo spettatore era semplicemente sotto shock. Ad ogni modo, la partita riprese e vinse McEnroe in tre set (all’epoca i primi turni si giocavano al meglio dei tre set), e solo alla fine vennero informati che c'era effettivamente stato uno sparo. L'episodio è soltanto una delle tante follie accadute in quella edizione, la più assurda nella storia di questo torneo, l’ultima giocata allo storico West Side Tennis Club prima del trasferimento a Flushing Meadows.
 
La decisione di spostare il torneo fu fonte di un vivace dibattito nell’agosto del 1977. Il West Side Tennis Club aveva una grande storia. A parte tre edizioni negli anni 20, era la sede dei Campionati degli Stati Uniti sin dal 1915 e aveva uno stile ovattato, per certi versi simile a quello di Wimbledon, su tutti l'obbligo di giocare di bianco. Gli organizzatori e alcuni giocatori non erano d’accordo. In una conferenza stampa durante l’ultimo torneo, William McCullough (membro del consiglio direttivo del club), disse che la nuova scelta era sbagliata perché il 95% dei abitanti di Corona Park, il quartiere dove sorge Flushing Meadows, è composto da “negri” e che gli organizzatori avrebbero avuto problemi non solo a far arrivare il pubblico, ma addirittura a trovare lo staff necessario. Arthur Ashe, socio del club dopo la vittoria nel 1968, ci rimase malissimo e minacciò di dimettersi. Nel 1977, il singolare femminile andò a Chris Evert per il terzo anno consecutivo. “Quell’anno successe di tutto – ricorda la Evert – oltre all’episodio del proiettile ci furono minacce di bomba, proteste contro la partecipazione dei tennisti sudafricani (eravano in pieno apartheid, ndr) e una rivolta quando gli organizzatori provarono a collocare di giorno un match inizialmente programmato per la sera”.
 
Ma tutto passò in secondo piano per la partecipazione al singolare femminile di Renèe Richards, l’ex Richard Raskind che un paio d’anni prima aveva cambiato sesso. Da uomo, aveva raggiunto la finale al torneo over 35 nel 1972 ed era cresciuto a Forest Hills. Inizialmente non volevano farla giocare perché si rifiutò di fare un test per determinare il suo grado di femminilità. La faccenda finì in tribunale, e un paio di settimane prima del torneo la Corte Suprema dello Stato di New York le ha dato ragione. Una sentenza che ancora oggi è considerata una pietra miliare per i diritti dei transessuali. Alcune giocatrici rimasero sconvolte. Virginia Wade, campionessa in carica di Wimbledon (ultima donna britannica a riuscirci), disse: “Mi sono allenata con molti uomini di 40 anni. Se Renèe mi batte, dovrebbe essere controllata”. Non ce ne fu bisogno, giacchè la Wade si impose 6-1 6-4 (anche se in doppio la Richards giunse in finale insieme a Betty Ann Stuart). Oggi Renèe Richards, stimaata oculista a Manhattan, disse che fu travolta dall’emozione, da una situazione drammatica e più grande di lei. Alla fine, le due divennero amiche. La Wade è diventata addirittura una sua cliente. Lo Us Open del 1977 segnò l’esordio di una ragazzina di 14 anni. Un baby fenomeno di nome Tracy Austin. Con il suo abito che sembrava il grembiule di una scolaretta, era l’immagine dell’innocenza. L’esatto opposto di quello che trasmetteva la Richards. “Era imbarazzante averla negli spogliatoi, ma era un’ottima persona – conclude la Evert – è stata un’esperienza di vita che mi ha resa una persona migliore”.

Gli uomini, a differenza di oggi, non avevano la stessa solidarietà. C’erano vive amicizie, come quella tra Bjorn Borg e Vitas Gerulaitis, ma non mancava il “pepe”. La fonte principale era quel “cattivone” di Jimmy Connors, le cui buffonate raggiunsero l’apice durante la semifinale contro Corrado Barazzutti (unico italiano ad arrivare così avanti allo Us Open). L’episodio è stra-famoso, anche grazie alla vetrina onnivora di Youtube. “Barazza” contestò una palla e Jimbo, in un attimo di follia, fece irruzione nel campo dell’azzurro per cancellare il segno. Peccato per l’animo troppo gentile di Barazzutti. Ci fosse stato Panatta (che l’anno dopo giocò forse il suo miglior match, sempre contro Connors, ma a Flushing Meadows), chissà cosa sarebbe successo….in pochi ricordano cosa successe in finale, quando Connors fu sconfitto dal “Poeta della Pampa” Guillermo Vilas. Imbufalito per una chiamata avversa proprio sul match point, se ne andò prima della premiazione. Pochi se ne accorsero, perché decine di spettatori fecero irruzione in campo per portare in trionfo Vilas. Pensate se oggi succedesse qualcosa del genere per Federer, Nadal o Djokovic….La più grande “storia” del tabellone maschile, tuttavia, fu una racchetta. Nei primi anni 70, un orticoltore tedesco di nome Werner Fischer inventò un attrezzo con i doppi nodi che generava un’impressionante topspin dai rimbalzi incontrollabili. Un attrezzo passato alla storia come “Racchetta Spaghetti”. La racchetta finì nelle mani di diversi professionisti, tra i quali l’australiano Barry Philips-Moore. Nella primavera del 1977, un giovane professionista di nome Michael Fishbach si trovava in Europa, vide la racchetta in mano a Philips-Moore e ne rimase colpito. A suo dire, avrebbe esaltato i giocatori dotati di tocco e talento. L’australiano impedì di far analizzare il suo attrezzo, ma durante il torneo di Gstaad, Fishbach ne vide una simile – incredibilmente – in un negozio di fotografia. Il proprietario non gliela vendette, ma riuscì ad analizzarla ed era convinto di assemblare in quel modo anche la sua. Al ritorno negli Stati Uniti si mise al lavoro insieme al fratello e passarono una trentina di ore in sala incordature, tra corde di nylon, tubi di plastica e nastri adesivi. Il lavoro permise di ottenere un risultato soddisfacente. Fishbach era numero 200 del mondo e vinse con agio tre turni di qualificazione, poi nel tabellone principale battè il forte Billy Martin prima di massacrare Stan Smith (ex campione di Wimbledon e Us Open) con un netto 6-0 6-2. “Sports Illustrated” soprannominò l’attrezza “bacchetta magica” e le polemiche impazzarono. Risalgono allo Us Open 1977 le prime proposte di messa al bando della mitica “Racchetta Spaghetti”. L’avventurà di Fishbach terminò al terzo turno contro il britannico John Feaver, ma la racchetta venne messa al bando qualche settimana dopo, quando Ilie Nastase la utilizzò per battere Vilas, mettendo fine alla striscia vincente dell’argentino su terra battuta dopo 53 vittorie (il record sarà poi battuto da Nadal nel 2006). Vilas era talmente disgustato che si ritirò dopo due set. Fishbach si è ritirato nel 1983 e oggi è un ambientalista, ma tutti lo ricordano per quella racchetta. “Ho giocato per 10 anni e ho ottenuto buoni risultati, ma la gente è convinta che io non abbia fatto altro che costruire la racchetta spaghetti. Ma riconosco che mi ha lasciato un posto nella storia del tennis che altrimenti non avrei avuto”. Di certo fu il precursore delle corde ultra-tecnologiche di oggi che consentono di avere rotazioni altrettanto esasperate.
 
Forest Hills 1977 fu anche l’ultimo Us Open a giocarsi sulla terra battuta. Fino al 1974 si giocò sull’erba, poi per tre anni è stato scelto l’Har Tru, la mitica terra verde americana. Pensavano che la terra fosse più adatta per la televisione. A parte Connors ed Evert, tuttavia, non era la migliore superficie per i tennisti americani. Quando scelsero la terra, era dal 1955 che un americano non vinceva il Roland Garros. Il digiuno è durato fino al 1989, quando Chang fece una delle più grandi imprese di sempre. Lo spostamento a Flushing Meadows sportò con sé il passaggio al cemento, tecnicamente definito “Decoturf”. Sarà un caso, ma gli americani si spartirono le prime sette edizioni giocate sul cemento (tra Connors e McEnroe), mentre tra le donne ci furono i tre successi di Chris Evert e i due di Tracy Austin. Fu un passaggio epocale, perché i tornei su terra verde sparirono dal circuito: nel 1977 ce n’erano addirittura 10, adesso neanche uno. Resiste solo il WTA di Charleston e qualche challenger. Dopo l’epoca d’oro di Sampras, Courier e Agassi, l’incapacità di giocare bene sulla terra ha messo in difficoltà il tennis americano. Forse anche per questo hanno scelto di affidarsi a Josè Higueras, mitico “pallettaro” degli anni 70 e 80. A suo dire, la crisi del tennis americano è dovuta anche a questo. “Oggi si tirano più colpi, si sta più a fondocampo. Questo avvantaggia chi è cresciuto sulla terra”. Per questo la USTA ha avviato un programma per far crescere i giovani proprio sulla terra. Da quell’incredibile edizione sono passati 35 anni. Il West Side Tennis Club esiste ancora, anche se le difficoltà economiche ne hanno messo a repentaglio l’esistenza. Il campo centrale è in cattive condizioni, sembra una specie di Colosseo. Vige ancora l’obbligo di vestirsi di bianco. Ma i campi in terra battuta sono ancora in ottime condizioni.