di Cristian Sonzogni
foto Ray GiubiloUn anno fa era il più giovane tra i top
100, adesso è nei top 10
di Cristian Sonzogni
foto Ray Giubilo
Un anno fa era il più giovane tra i top
100, adesso è nei top 10. Il serbo Novak Djokovic, 19 anni, è la
grande
rivelazione del 2007. Parla quattro lingue, non ha smesso di studiare ma
ha un’idea fissa: diventare numero 1 del mondo, alla faccia dei Roger
Federer e dei Rafael Nadal. Ex allievo di Riccardo Piatti, talento fuori
dal comune, ammiratore di Sampras, carattere deciso come pochi, ci ha raccontato
perché nessuno per lui è imbattibile e perché lo volevano
in squadra gli
inglesi. Ma lui potrebbe anche giocare… per l’Italia
Ha
l’aria un po’ così, di un John Wayne dei tempi moderni che
entra nel
saloon, e dopo aver fatto l’occhiolino alla bellezza di turno estrae la
pistola dal fodero e fa capire a tutti chi è che comanda. Novak Djokovic
detto ‘Nole’, classe 1987, è un attore consumato e tiene la
scena da
padrone assoluto, sul campo da tennis ma pure fuori. Come chi di nulla
ha paura e che nessuno potenzialmente può fermare, se solo lui, il
padrone,
vuole prendersi la briga di impegnarsi al massimo. Solo che stavolta, al
contrario di tanti che dalla sicurezza tracimano nell’arroganza, ci
troviamo
di fronte ad un ragazzo simpatico, estroverso, quasi ossessionato dallo
stare in compagnia, al punto che imparare le lingue straniere è diventata
una necessità per poter comunicare ovunque si trovi.
Un po’ istrione seguendo le orme di Nastase
(col dovuto rispetto), un po’ Kafelnikov, cercando in qualche modo di
imitare Sampras (sempre con rispetto) ma con molta meno propensione
all’attacco
e più alle geometrie, Novak è un predestinato. Alla fine del 2005
era il
più giovane top 100, al n.84 del ranking Atp. Adesso è il
più giovane dei
top 20, n.16. Ha un anno meno di Nadal e Gasquet. Lo abbiamo incontrato
nel momento migliore di una carriera ancora in fasce, quando sta macinando
successi per agguantare quel ruolo nel grande tennis praticamente già
scritto
nel suo dna. Per lui quest’anno due trionfi Atp, a Amersfoort e Metz,
che uniti ai quarti al Roland Garros e ad altre ottime prestazioni, ne
hanno fatto il miglior giovane del 2006, anche rispetto all’esplosivo
coetaneo scozzese Andy Murray, che è nato una settimana prima di lui e
lo segue da vicino in classifica, al n.17.
“In realtà non è cambiato molto nell’ultimo
periodo – ci racconta Novak alternando all’inglese un buon italiano –
anche se arrivano più risultati. Ho trovato continuità, ma gioco
allo stesso
modo di prima. Anche perché ho sì cambiato coach, ma da troppo
poco tempo
per imputare a questo il mio progresso”.
– Ora ti segue Marian Vajda, ex pro
slovacco ed ex coach di Hrbaty e Kucera, ma fino a poco tempo fa ti allenava
il ‘nostro’ Piatti. Perché questo cambio di guida?
“Era inevitabile, considerato che Riccardo
doveva seguire anche Ljubicic, e quando ti trovi due top 50, e soprattutto
uno di questi tra i primi dieci, nello stesso gruppo, non puoi dedicare
abbastanza attenzioni ad entrambi. E’ stata più una decisione mia,
ma
in fondo anche Riccardo la pensava così. Con lui e con la sua famiglia,
tra l’altro, i rapporti sono ancora oggi ottimi: ci sentiamo regolarmente
e, come del resto Ljubo, è rimasto un mio grande amico”.
– Com’è nata la collaborazione con
Vajda?
“Ci siamo incontrati a Parigi quest’anno,
e ora lavoriamo insieme con buoni risultati. Mi piace il nostro rapporto
perché io ho bisogno, oltre che di un coach, anche di un amico con il
quale
poter discutere di qualcosa che non sia tennis. Con Marian posso farlo
e credo che il nostro sodalizio durerà a lungo”.
– A Parigi invece eri solo, eppure hai
raggiunto i quarti. Ci racconti il tuo torneo?
“Ma volentieri! E’ stato incredibile
perché non avevo nessuno ‘in panchina’, non avevo
grandissime aspettative,
e invece ne è uscito il miglior risultato della mia carriera in uno Slam.
Poi c’è stato quel match con Nadal nel quale mi sono divertito
parecchio
e che… ma si, che potevo ancora vincere, se solo non mi fossi ritirato
per via del dolore alla schiena. Proprio non riuscivo a servire”.
– Nadal ha riso, quando hai detto queste
cose in conferenza stampa. Lo sai?
“Si si, me lo hanno detto. Lui può ridere,
ma a me non interessa granché. Anzi, non mi interessa proprio per nulla
perché io dico sempre quello che penso. Nadal non è imbattibile,
nemmeno
sulla terra. E’ solo molto più forte fisicamente di tutti gli
altri, e
allora poco a poco vien fuori. Lui è il migliore al mondo nella
preparazione
al match. Ma sul tennis… beh sul piano tecnico si può battere.
Infatti
a Parigi io ho fatto la partita cercando il punto, mentre (testuale, n.d.r.)
lui non ha fatto nulla se non aspettare il mio errore”.
– Meglio lui o Federer?
”Roger senza dubbio. Ha un talento immenso
anche se magari commette qualche errore in più dello spagnolo. Nadal
corre
tanto, tantissimo, ma poi aspetta che l’altro sbagli”.
– Anche da affrontare, meglio lo svizzero?
“Anche da affrontare. Mi diverto di più”.
–
Cosa ti manca per battere quei due?
“L’esperienza di tante partite di quel
tipo, a quel ritmo, e soprattutto la continuità per più tornei di
fila.
Devo accumularne molti di incontri difficili, poi vedremo i risultati…”.
– Il tennis di oggi è un duello tra
di loro. Vedi qualcuno che si può inserire?
”Roddick, che è sempre lì ma nel momento
di vincere gli manca qualcosa. Poi Nalbandian, Ljubicic, e anche Gasquet,
che ha un talento fuori dal comune. Peccato per quel fisico”.
– E infine Djokovic… O no?
“Certo, anche Djokovic! Era sottinteso
(ride)”.
– Però anche tu hai dovuto fare i conti
con problemi fisici. Ci puoi spiegare?
”Erano problemi di respirazione perché
avevo il setto nasale deviato in tre punti. Dopo un po’, quando il match
andava per le lunghe e soprattutto sulla terra e con l’umidità,
respirare
bene diventava impossibile. Mi sono dovuto operare, l’ho fatto a Milano.
E’ andato tutto bene ed ora le cose sono migliorate. Ho avuto altre
difficoltà
legate alla respirazione ma dipendevano solo da stanchezza e tensione”.
– Us Open 2005: ti accasci al suolo
contro Monfils, poi ti rialzi e vinci al quinto. Qualcuno ti dà del
bugiardo,
di quello che fa le scenette per distrarre il rivale…
”Lo so, lo so che qualcuno pensa questo
di me, ma non farei mai qualcosa di così scorretto. Io penso di poter
vincere
sempre se gioco bene a tennis, senza ricorrere a questi mezzi. Chi pensa
il contrario non mi conosce e soprattutto non sa come sto. In quei momenti
mi era difficile proprio stare in piedi. Quell’incontro, poi, è
stato
il più duro della mia carriera, più di quattro ore e mezzo con
tanta umidità,
il caldo, i crampi. E’ stato un disastro e non so come ho fatto a portarlo
a casa. Poi dopo il match mi hanno attaccato in molti, gli americani, i
francesi… tutti bravi a parlare, ‘bla bla bla’, e in
realtà non sapevano
come stavo”.
– Non si può dire che ti manchi la sicurezza.
Ma la pressione non ti dà un po’ fastidio, adesso che cominci ad
essere
un personaggio popolare?
”Essere famoso mi piace. Mi trovo bene
in questa parte, mi piace essere riconosciuto e ammirato per ciò che
faccio.
In questo modo trovo sempre più motivazioni”.
– Qualcuno, riferito a te, ha parlato
addirittura di arroganza. Ti senti arrogante?
”Arrogante no, ma aver fiducia in se stessi
è sempre un bene. Chi non ha paura di nessuno vive meglio nel mondo del
tennis, e non solo. Perché poi dovrei avere paura?”.
– E la disciplina, dove l’hai imparata?
”Quando sono andato in Germania, nell’Academy
di Niki Pilic. Avevo solo 12 anni e per me è stata una grande esperienza
di vita, che tra l’altro è durata molto, fino a tre anni fa. In
Pilic
ho trovato un coach straordinario ma anche un secondo padre”.
– Li avrai imparato il tedesco, ma l’italiano
dove lo hai studiato?
”Mai studiato. Stando nel clan di Piatti
per otto mesi, si parlava la vostra lingua, a me era sempre piaciuta e
cercavo di capire. Ora non la conosco ancora bene ma mi arrangio. Ho una
passione particolare per le lingue straniere, dunque non mi pesa impararne
di nuove”.
– Ti piace studiare?
”Molto. Anche per necessità, perché quando
uno si mette in testa di voler fare il tennista deve anche mettere in conto
che le cose non vadano proprio come aveva previsto. Sono all’ultimo anno
delle superiori, poi vedremo”.
– Ormai tu in alto ci sei arrivato,
dunque di dubbi non ne avrai più. Sei d’accordo?
”No, i dubbi ci sono sempre. Se domani
mi faccio male e smetto di giocare, senza avere un titolo di studio, che
mi metto a fare? Facciamo gli scongiuri, ma può capitare di tutto. Devi
sempre avere un ‘piano B’”.
–
Hai avuto un esempio da seguire nel mondo del tennis?
“Mi piacevano molto Sampras e Agassi,
ed è guardando loro che il tennis è diventato una passione forte.
Addirittura
ammiravo talmente Pete che avevo iniziato a eseguire il rovescio a una
mano per copiare il suo. Poi l’ho provato a due e ho capito che forse
per me era meglio così. Sampras è stato il più grande di
tutti i tempi,
su questo ho pochi dubbi. Federer si avvicina, forse fra cinque o dieci
anni lo potrà superare, ma per ora c’è ancora
margine”.
– Hai un obiettivo preciso nella vita?
”Diventare il numero uno del mondo nel
mio lavoro, il tennis. E non lo penso solo da adesso, ma da quando avevo
8 anni. Allora la gente mi guardava in maniera un po’ strana. Ora qualcuno
starà pensando che forse la mia non era solo un’illusione da
bambino”.
– Ci racconti qualcosa della tua famiglia?
”I miei hanno un ristorante in Serbia,
dove sono nato, a Kopaonik. E’ una famiglia di sportivi, mio padre ha
giocato a calcio ed è stato pure professionista di sci. Ma nessuno aveva
mai nemmeno avvicinato il tennis. Poi un giorno costruiscono tre campi
pubblici appena fuori casa, ci vado per capire cosa fosse quel gioco, e
da lì in avanti è stato amore”.
– Hai amici che ti seguono nel circuito?
“Si, un paio che sono spesso con me. Ci
conosciamo da che eravamo piccoli”.
– E tra i tuoi colleghi giocatori?
”Qualcuno c’è. Per esempio Tipsarevic,
mio compagno in Davis, ma anche Ancic e ovviamente Ljubo. Con i croati?
Mai avuto difficoltà nei rapporti con loro. Alla fine abbiamo tutti gli
stessi problemi e la politica non mi interessa e non mi influenza”.
– C’è mai stato un momento in cui hai
pensato che non ce l’avresti fatta a coronare il tuo sogno di diventare
‘pro’?
“Momenti di difficoltà ne ho avuti, però
ci ho creduto sempre. Vedevo che facevo progressi ogni anno, che vincevo
tornei, dunque prendevo fiducia. Sono sempre stato tra i migliori della
mia categoria, fin da quando ho vinto l’Europeo under 14. E in fondo,
di tornei challenger e futures non ne ho giocati poi tanti”.
– Ora, in un anno, hai fatto il grande
salto tra quelli che guadagnano molto. Come ti piace spendere i
soldi?
”Mah… per ora non ci penso. Vivo a Montecarlo
perché è comodo per gli allenamenti, ma sono in affitto. Per il
resto non
ho fatto grandi investimenti. Mi piace uscire con gli amici, divertirmi.
A spendere penserò più avanti”.
–
E’ circolata una notizia secondo la quale tu avresti richiesto il
passaporto
inglese. Cosa c’è di vero?
”Noooo, nulla, nulla! E’ andata così:
ho giocato la Davis contro la Gran Bretagna e loro mi hanno chiesto se
potevo accettare un passaggio sotto la bandiera inglese, proprio per giocare
la Davis. Io ero lusingato da questa richiesta, e ridendo ho detto che
se ne poteva parlare. Ma non ci ho mai pensato sul serio”.
– Prima ancora, invece, c’erano stati
contatti per passare in azzurro. Confermi?
“Ecco, questa invece è una cosa vera.
Avevo 14 anni quando ho conosciuto insieme a mio padre il coach di Fognini,
Leonardo Caperchi, e tramite lui ci eravamo informati su questa
possibilità,
ma poi non se n’è più fatto nulla”.
– Perché avevate scelto l’Italia?
”Perché la adoro. E poi ci sono una serie
di situazioni che mi legano al vostro Paese. Mi piace la lingua, la più
bella del mondo, mi piace la gente, e mi trovo bene come dimostrano anche
i miei risultati. Ho vinto sia tra i giovani sia a livello challenger a
Sanremo, che è un posto stupendo ed è in pratica la mia seconda
casa. Mi
auguro che fra un po’ possano organizzare una prova Atp anche in
Liguria…
E infine la mia ragazza Jelena, che è serba, studia alla Bocconi a
Milano”.
– Ma se qualcuno della nostra Federazione,
leggendo queste parole, volesse provare a contattarti per capire cosa si
può fare per farti giocare in azzurro?
“Per adesso non prenderei alcuna decisione,
ma in futuro chissà. Ne parlerei sicuramente, non dico mai di no a
nessuno
se c’è una buona base da cui partire. Penso che in Italia ci
starei proprio
bene…”.
di Cristian Sonzogni
foto Ray Giubilo
LA SCHEDA DI “DJOKO”
Novak
Djokovic è nato a Kopaonik, in Serbia, il 22 maggio 1987.
E’ alto
1,88 per 75 Kg. Ha iniziato a giocare a tennis sui campi comunali vicino
casa all’età di 4 anni, mentre a 12 si è trasferito in
Germania nell’Academy
di Niki Pilic. In seguito è stato allenato da Riccardo Piatti, ora il suo
coach è lo slovacco Marian Vajda. Destrorso con rovescio bimane (ma ad
una mano all’occorrenza), Novak ha molte soluzioni nel suo repertorio,
conosce bene la palla corta e non disdegna il gioco di volo, anche se frequenta
poco la rete. La sua carriera da ‘pro’, iniziata ufficialmente nel
gennaio
del 2003 in Germania (sconfitta con Radulescu), conta tre vittorie nel
circuito Futures (in Serbia nel 2003, in Serbia e in Ungheria nel 2004),
due nei Challenger (Budapest 2004 in finale su Bracciali, Sanremo 2005)
e due nell’Atp Tour, entrambe quest’anno (Amersfoort sulla terra e
Metz
sul veloce). Sempre quest’anno è giunto in finale a Umag, in semi
a Zagabria,
nei quarti al Roland Garros, a Rotterdam e a Madrid, negli ottavi a Wimbledon.
Ha battuto Stepanek, Henman, Coria, Gonzalez, Haas, Massu, Gasquet, Murray,
Moya e Grosjean. Nella stagione 2006 ha un record di 48 vittorie e 21 sconfitte.
In Davis ha un bilancio di cinque successi su sei confronti giocati. Ha
iniziato l’anno al numero 78 Atp, mentre il suo best ranking è il
numero
16 in singolare e 266 in doppio. In carriera ha guadagnato circa 900 mila
dollari di soli premi. Papà Srdjan e mamma Dijana hanno un ristorante a
Kopaonik, la sua città natale. Novak parla quattro lingue correttamente:
serbo, inglese, tedesco e francese, e in aggiunta sta affinando il suo
italiano.
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