Dominika Cibulkova deve capire che, per restare negli albi d'oro, le partite devono essere vinte e non soltanto dominate. Ma il tempo è ancora dalla sua. Roddick: bravo, ma togliti il berretto!
Dominika Cibulkova ha sciupato un vantaggio di 6-1 5-2 contro la Azarenka

Di Federico Ferrero – 28 marzo 2012


Vi offro alcuni pensieri sulla nottata di dirette del Masters 1000 e Premier Mandatory di Miami.
 
No so dire se Zejlko Krajan, il coach di Dominika Cibulkova, se le vada a cercare. Se sì, è un pervertito. Credo si sia procurato, ai tempi, un paio di ulcere cercando di gestire le ansie e le rabbie di Dinara Safina (che ora, in mancanza di tennis, è regina di Twitter, arreda casa e cucina dolci: la trovate qui ). Per contratto gli tocca tentare di persuadere Dominika Cibulkova su quale sia il vero scopo di una tennista professionista: non è nascondere la palla alla numero uno del mondo per tre quarti della partita. È vincere, imparando a farlo.
Fino al 6-1 4-0 del match di questa notte è riuscita a far fare alla Azarenka la figura della principiante. Ogni palla toccata col dritto, un punto. Ogni seconda tirata da Vika, risposta vincente. Impressionante. Ma le partite vanno finite: di là c’è una ragazza che non ha ancora perso un match nel 2012 e che, soprattutto, ti conosce. Sa della tua sindrome del braccino d’acciaio nei momenti topici. E infatti è andata proprio così: 5-2, Cibulkova serve per chiudere la partita: doppio fallo, doppio fallo, due seconde al rallentatore, break. La partita, con la testa, la slovacca l’ha persa lì: poco importa che il tie-break sia stato così equilibrato, avrà pure salvato quattro set point ma non l’avrebbe proprio dovuto giocare. Importa ancor meno che Dominika non sia uscita del tutto dalla partita, recuperando tre volte un break di svantaggio nel terzo. Questa ragazza deve decidere: farsi ricordare per il set più bello dell’anno o scrivere il suo nome da qualche altra parte che non sia la pagina di Twitter? D’accordo, non capita solo a lei: in telecronaca ho ricordato i due match del Roland Garros dello scorso anno sul Centrale, Sharapova-Garcia e Schiavone-Pavlyuchenkova: entrambi con l’underdog avanti 6-1 4-1, entrambi vinti dalla favorita. Ma Cibulkova respira l’aria dei tornei Wta da otto anni, ha già giocato quasi 400 match e questo è il suo sesto anno nelle prime 100. Il tempo non stringe, la vediamo in giro da parecchio ma è nata nel 1989, come la Azarenka. Che però ha capito come si fa: lei, invece, ancora no e non è detto che ci possa riuscire.
 
«Let's kinda go over the top aggressive».Andy Roddick è simpaticissimo quando gioca con i più forti, perché sa di non potersi permettere quel po’ di presunzione che riserva agli avversari indegni (secondo lui) di batterlo. E come tutti i giocatori in crisi suscita empatia. Mi è piaciuta la sua disciplina di gara contro Roger: le ha provate tutte, ora che il piatto unico servizio+dritto non fa più parte del menu. È rimasto indietro, ha costretto Federer a cambiare il suo gioco rendendolo più aggressivo. Quando stava per farsi sopraffare dalla sua stessa tattica, salvate le palle break all’inizio del terzo set, ha allungato tre passi nel campo e preso ad assumersi tutti i rischi possibili.
Ha funzionato, e Cappellino Gocciolante lo merita: tre vittorie in 24 sfide contro il Best Ever rimangono un raccolto striminzito ma sì, questo successo ne vale tre. Pensateci: A-Rod guardato quasi con pietà prima del match, Roger che vola verso l’accoppiata Indian Wells-Miami. Nemmeno a casa sua viene considerato, Roddick, con la gente che ormai disquisisce di Isner e Fish e dei bei tempi andati del tennis USA. Insomma, parecchi buoni motivi per accogliere con favore una sorpresa che toglie un bel po’ di qualità tecnica sale alla sfida tra i big four ma può restituire al tennis un ragazzo cui tutto si può dire, tranne di non averci provato. Ha passato gli ultimi otto-dieci anni a lavorare come un pazzo per restare attaccato al treno del grande tennis e questa notte, vittima annunciata di un’ennesima umiliazione, ha trovato, chissà come, due ore di gloria. Bravo, Rod (e ogni tanto togliti il berretto: se ormai assomigli ad Agassi non importa).