FINALE COPPA DAVIS – L'incubo è terminato: grazie a un magico Juan Martin Del Potro e a un sorprendente Federico Delbonis, l'Argentina si aggiudica la sua prima Insalatiera. Il paese si è riunito in un abbraccio collettivo, dagli stadi alle strade. E' il successo di un gruppo che si è ricompattato dopo le polemiche del passato.

 

Tutto cancellato. Tutto lavato via. Lacrime, polemiche, paure, insicurezze. L'Argentina è sul tetto del mondo, a 95 anni dalla prima partecipazione a 'sta benedetta Coppa Davis. L'avevano vinta paesi con meno forza, meno tradizione, meno risorse: l'Argentina no. Forse perché la gente ne parlava troppo, come se la Davis fosse un argomento da Bar Sport. E questo ha destabilizzato le squadre che si sono succedute, spesso bloccate in beghe da cortile, sin dai tempi dei litigi tra Guillermo Vilas e Josè Luis Clerc. Ma oggi è tempo di festeggiare e c'è un episodio, meglio di altri, che descrive il senso di unità nazionale, oseremmo dire di pace dei sensi, raggiunta dal Pueblo Argentino. Durante la partita di calcio tra River Plate e Huracan, al mitico Estadio Monumental di Buenos Aires, gli altoparlanti hanno diffuso la notizia che la Davis era argentina. Finalmente argentina. Finalmente dell'Argentina. Ed è scoppiata un'ovazione generale, bipartisan. Pensate che da noi sarebbe possibile? A rendere tutto ancora più magico, il fatto che i tre punti azzannati a Zagabria li hanno firmati due tifosi del Boca Juniors, acerrimo nemico del River Plate. Juan Martin Del Potro è un vero fanatico, mentre Federico Delbonis è andato a vedere soltanto una partita nella sua vita, un turno infrasettimanale nel 2000, quando aveva appena 10 anni. Ma la passione “auriazul” gli è rimasta. Ma di queste cose, a tutti gli sportivi argentini, anche quelli di fede “millonaria”, non interessava niente. Volevano stringersi in un abbraccio collettivo, quando Dave Haggerty ha consegnato le “coppette” ai componenti della squadra (quelle se le porteranno a casa), e poi ha permesso di sollevare l'Insalatiera “vera”, che volerà a Buenos Aires e ci rimarrà fino alle semifinali dell'anno prossimo. Gli argentini hanno sognato per anni queste immagini, e qualcuno si sarà commosso nel vedere la gioia immensa di Juan Martin Del Potro. Qualcun altro avrà sorriso nel notare la goffaggine di Federico Delbonis, che ha sollevato male il trofeo e la base gli è caduta sul volto. Nessuno ha visto come secondarie le immagini di Leonardo Mayer e Guido Pella, decisivi nei turni precedenti. Perché quello del 2016 è un successo di squadra, che va oltre le clamorose imprese di Juan Martin Del Potro. E' il giocatore argentino più forte di tutti, quello capace di cogliere risultati impossibili per tutti gli altri (come le vittorie su Andy Murray e Marin Cilic, in trasferta, al termine di battaglie furibonde). Tra qualche anno, l'esigenza di un risparmio cognitivo ci farà pensare alla Coppa Davis 2016 come “quella di Del Potro”, ma dovremo vincere la pigrizia per ricordare la bravura di tutti gli altri.

LA STABILITA' BATTE L'ESPERIENZA
Al primo turno, sul campo irregolare della Polonia, Leonardo Mayer e Guido Pella hanno fatto il loro dovere contro avversari meno forti ma in un clima complicato. Contro l'Italia, Federico Delbonis ha vinto due singolari preziosissimi contro Seppi e Fognini, mentre Pella ha tenuto in piedi un doppio delicatissimo, in cui Del Potro ha sofferto le pene dell'inferno. A Glasgow, ancora Pella ha colto un punto importante contro Kyle Edmund, imitato da Leonardo Mayer, bravo a intascare il punto decisivo contro lo stesso Edmund. E in finale, oltre ai due successi di Del Potro, Delbonis ha sorpreso tutti. Prima ha fatto penare Cilic per cinque set, poi, nel match più importante della sua vita, ha nascosto la palla a Ivo Karlovic. Un risultato illogico, irrazionale. Reso ancora più strano dal punteggio finale: 6-3 6-4 6-2, una specie di lezione di tennis. Ok, i croati si sono auto-condannati nello scegliere una superficie di velocità “media”. Pur restando nei limiti imposti dal regolamento, avrebbero potuto stendere un tappeto ben più veloce. E soltanto gli dei tennis sanno quanto sarebbe stato utile a Mr.Ace. Invece Delbonis ha potuto giocare la sua partita ordinata e “stabile”, per dirla con Daniel Orsanic, altro splendido protagonista di questo successo. A Pesaro, quando “Delbo” aveva battuto Seppi e Fognini, aveva esaltato la sua capacità di non disunirsi nei momenti difficili. In effetti, Delbonis possiede una stabilità emotiva notevole. Dà sempre quel che può, riesce a non scomporsi. Era l'uomo ideale da mettere contro un giocatore umorale come Karlovic. Nell'ultimo match, l'enorme esperienza del croato non è servita a nulla. Sembrava un ragazzino alle prime armi ma con l'aspetto di un 40enne. In un weekend, è sembrato invecchiare di anni. Non ne ha imbroccata una, e il suo capitano Zeljko Krajan non è stato capace di scuoterlo. Così come non ha saputo dare il giusto supporto a Marin Cilic nel match precedente, quando era ormai chiaro che il match si era spostato dalla parte di Del Potro.

I SOGNI DI DELPO, L'ITALIA DI DELBO
E' inutile riportare le parole dei protagonisti. Un concentrato di ovvietà poco interessanti, certamente meno significative delle immagini, degli abbracci, di tutto il resto. Scene di gioia eterna, da cui scaturiranno articoli, DVD celebrativi, probabilmente qualche libro. Da quando esiste il World Group, era successo soltanto due volte che una squadra vincesse una finale dopo essere stata in svantaggio 2-1: la Russia nel 2002 (in Francia) e la Serbia nel 2010 (contro la Francia). Ma nessuna aveva ribaltato le sorti dell'incontro dopo aver perso i primi due set del quarto match. Del Potro è stato capace di non arrendersi, di aspettare il momento, di avere fede. Conosce bene Marin Cilic. Sono nati a pochi giorni di distanza e la loro rivalità sportiva va ben oltre gli undici scontri diretti nel circuito maggiore (con nove successi di Del Potro). E' una rivalità che va avanti da tanto tempo, da quella finale dell'Orange Bowl Under 14, vinta da Del Potro e incastrata nella memoria grazie alla famelica vetrina di Youtube. Alla fine del video, si vede Marcelo “El Negro” Gomez che esulta come un pazzo. Era insieme a lui, il piccolo Delpo, ben prima di crescere di una trentina di centimetri in un paio d'anni, quando fissò i tre obiettivi della sua carriera. Vincere lo Us Open, vincere la Coppa Davis e diventare numero 1 del mondo. Il primo lo ha centrato sette anni fa. Il secondo è arrivato oggi, il terzo – a sentire il “Negro” – arriverà ben presto, perché Delpo non ha perso la forza di sognare. Ma il 27 novembre 2016 è stato anche il giorno di “Delbo”, il ragazzo di Azul che in tutta la carriera aveva vinto la miseria di 12 match sotto le luci di un palazzetto. Con le sue aperture enormi, soprattutto con il dritto, e limiti notevoli nel gioco di volo, sembrava il meno indicato per un posto in singolare. Ma Daniel Orsanic sa che certe cose, in Davis, non contano. E Delbonis aveva tutto quello che “conta”. Lo ha dimostrato, facendo felice un angolino d'Italia da cui i suoi bisnonni sono partiti tanti anni fa, in cerca di fortuna, verso l'Argentina. A Rotondella, meno di 3.000 abitanti in provincia di Matera, forse nessuno sa chi è Federico Delbonis. Ma lui conosce bene le sue origini ed è anche l'Italia che gli ha dato la convinzione di poter diventare un ottimo giocatore. Era il 2009, aveva appena giocato un torneo Futures a Roma, quando il supervisor gli assicurò di aver avvisato il suo collega al Challenger di Napoli. Si fece quattro ore di treno, di notte, arrivò a Napoli e scoprì che nessuno lo aveva iscritto. Riuscì a giocare perché si iscrissero alcuni giocatori senza ranking…passò le qualificazioni e giunse nei quarti, perdendo solo dal n.1 Pablo Andujar. Delbonis è diventato “Delbo” quella settimana, ma non avrebbe mai pensato che sarebbe stato proprio lui a regalare il punto decisivo per la Davis. “Se c'è una polemica è giusto che se ne parli – diceva ai tempi delle diatribe tra Del Potro e la federazione – io non ho problemi con nessuno, io sto solo dalla parte dell'Argentina”. Tanta pazienza è stata premiata. Adesso tutti, ma proprio tutti, sono dalla parte dell'Argentina.

FINALE COPPA DAVIS 2016 – Zagabria
CROAZIA vs ARGENTINA 2-3
Marin Cilic (CRO) b. Federico Delbonis (ARG) 6-3 7-5 3-6 1-6 6-2
Juan Martin del Potro (ARG) b. Ivo Karlovic (CRO) 6-4 6-7 6-3 7-5
Cilic/Dodig (CRO) b. Del Potro/Mayer (ARG) 7-6 7-6 6-3
Juan Martin del Potro (ARG) b. Marin Cilic (CRO) 6-7 2-6 7-5 6-4 6-3
Federico Delbonis (ARG) b. Ivo Karlovic (CRO) 6-3 6-4 6-2

DELBONIS-KARLOVIC IN 4 MINUTI
LA GRANDE RIMONTA DI DEL POTRO
L'ALBO D'ORO DELLA COPPA DAVIS