Per un campione che ha studiato ogni singolo passo della sua carriera, è il momento di trovare sostegno da un ex rivale sfidato 36 volte

foto Ray Giubilo

Novak Djokovic deve portare pazienza e  rimandare la festa ad altra data! Quel marcantonio di Reilly Opelka ha fatto il match della vita guastando la giornata al serbo che resta dunque a 99 titoli in carriera,  giusto qualche spanna dai103 genuini di Roger Federer e i 109 fasulli di Jimmy Connors.
In barba alle trentotto primavere, tuttavia, Nole parla e progetta con l’occhio al futuro, tanto da far pensare a un possibile ricalcolo dei trionfi già a breve scadenza.
È nella sua  natura tritare record a ripetizione e continua a farlo col piglio di colui che non ama arrivare secondo.
È il tratto di un carattere volitivo che ha la sua genesi nelle bombe viste scendere dal cielo sopra Belgrado. Al tempo, il raziocinio gli deve aver valso la vita, più tardi l’avrebbe guidato lungo la fulgida carriera di tennista pensante.
Nessuno meglio di lui ha guardato ai punti così come alle righe di un copioso romanzo o ha ridotto al minimo sindacale gli imprevisti di uno sport tanto vario come il tennis. Per il serbo tutto è oggetto dì studio e solo una volta ponderato il pensiero tattico può essere esposto a pubblico arbitrio.
Proprio a voler spaccare il capello, all’ex campione del mondo si potrebbe appioppare la debolezza di qualche  geometria troppo azzardata in luogo di  altre più agevoli da perseguire. Poca cosa, rispetto all’arsenale di cui lavoro e  natura gli hanno fatto dono. Un cavillo, invece, al quale il serbo sembra voler mettere mano già in questa ennesima avventura nell’emisfero australe. Per farlo s’è dotato di un coach nuovo di zecca, un  ex collega che sull’arte delle traiettorie potrebbe scrivere un trattato ampio quanto quello culinario di Pellegrino Artusi.
Eccolo, dunque il valore aggiunto che Andy Murray porterà in dote al neonato connubio. Al nativo di Glasgow correrá l’onere di marcare i distinguo tra  soluzioni  logiche e altre  obbligate, migliorando  nel serbo la capacità di giocare un colpo per l’altro. Un po’ come, prima di lui, aveva  fatto Gattone Mecir, indimenticato campione slovacco capace di pittare il campo con irresistibili diagonali e lungolinea all’olio d’oliva.
Dopo anni di coach altolocati, Djokovic dev’essere giunto a conclusione che nessuno più di un ex rivale può giovare al suo tennis fatto sopratutto di calcolo. Più che del classico coaching affidato a personaggi di grande esperienza, oggi per Nole è tempo di complicità, quella vera, profonda, architettata con un soggetto che a sua volta, ha tentato di metterlo spalle al muro per ben 36 volte grattando su quei punti deboli che oggi sono patrimonio comune.
Ill primo passo è andato come sappiamo. Il proseguo in terra d’Australia ci dirà se attacchi e difese del serbo saranno quelli di sempre o se invece recheranno in sé anche un po’ di sapienza scozzese.