Un’analisi dei migliori under 14 del mondo, di scena a Les Petis As. Peccato per l’assenza degli azzurri nel tabellone principale

Come ogni anno ho avuto il piacere di andare a Tarbes per «Les Petits As», il più importante under 14 del mondo. Non è stata l’edizione più brillante, devo essere sincero, però qualcosa di interessante si vede sempre.

Devo però cominciare con una nota dolente: non c’erano italiani nel main draw e questa è una cosa che francamente non capisco.

Prima ancora però fatemi fare un plauso ad Anna Nerelli, unica italiana in gara: salvo miei errori, che ha perso nell’ultimo turno delle qualificazioni: è una esperienza che le servirà, sia che diventi, come le auguro, una buona giocatrice, sia che prenda un’altra strada per la vita.

Torniamo alla nota dolente. La nostra generazione 2010 non sarà la migliore ma, in primo luogo, bisogna vedere tra 4 o 5 anni, prima di dare giudizi;
inoltre Tarbes è considerato nel mondo il miglior torneo nella sua categoria: non mandare ragazzi e ragazze a fare questa esperienza è un delitto. Spero che la Federazione non abbia deciso di evitare la trasferta perché non c’erano ragazzi/e in grado di fare bene, perché sarebbe un errore grossolano: confrontarsi con i migliori, anche se partecipi alle quali, come la Nerelli, è importante: ti fa vedere la realtà dei fatti, ti fa capire dove devi arrivare, e soprattutto non partecipare, sia pure nelle qualificazioni, toglie ai ragazzi una esperienza unica.

Mi scuso, non voglio offendere né accusare nessuno; ma a mio modo di vedere la Federazione non può fare questo: anche se solamente la Nerelli poteva entrare nelle qualificazioni, doveva andare con la Federazione, non privatamente.

Personalmente non mi piace che, qualora ci sia un’annata forse non fortissima come questa, la si lasci andare un po’ alla deriva, e ci si concentri su quella dopo. Bisogna lavorare e fare del proprio meglio con tutti, non solo con quelli più bravi a questa età. Spero soprattutto sia stata una decisione, per me sbagliata, ma tecnica. Fosse di ragione economica (non abbiamo possibilità, quindi risparmiamo i soldi) sarebbe una cosa orrenda. Ma non voglio neanche pensarci. Scusatemi lo sfogo e veniamo al torneo.

Dicevo non è stata la migliore annata, salvo qualche eccezione, ma la cosa che mi ha stupito è che i ragazzi giocano quasi tutti alla stessa maniera, impostati per vincere ora, non nel futuro, spesso restando ben lontani dalla linea di fondo.
Nessuno va in campo per perdere, ci mancherebbe, ma questa è l’età in cui devi migliorare tecnicamente, affinare il tuo gioco; invece non è così.
Perdere si trasforma in un dramma per ragazzini e genitori, e questo non mi piace.
Stan Wawrinka – a cui debbo il mio stipendio essendo il giocatore più importante per la nostra agenzia, quello che l’ha fatta conoscere e in fondo ha reso possibile che oggi conti un fenomeno come Jannik Sinner -, Stan Wawrinka appunto ricordava che non ha mai vinto un titolo, neppure nazionale, prima dei 18 anni, e che i bambini e soprattutto i genitori danno troppa importanza ai risultati di queste categorie under; la carriera di un tennista, conclude Stan, è troppo lunga per dare importanza a questi primi tornei. Parole sante.

Io a Tarbes ho visto passare tanti fenomeni che hanno vinto e sono diventati campioni, come Nadal o Gasquet; altri che hanno perso presto come Roger Federer; ma tutti giocavano per il futuro. Ormai lo fanno in pochi, purtroppo, anche se è meglio per il mio lavoro, perché mi è più facile azzeccare chi diventerà forte.
Per fortuna, ci sono eccezioni. Mario Vukovic un francese di 13 anni di origine serba, gioca un tennis aggressivo e mi piace molto; è ancora piccolo di statura e ha tanti margini. Pavel Duffek è un ceco che può fare meglio; e gli americani, capeggiati dal vincitore Michael Antonious, mandano sempre a Tarbes i loro migliori.

Mi ha fatto piacere vedere Eugeny Kafelnikov, omonimo e nipote del vincitore di Roland Garros, uno dei primi giovani che ho reclutato assieme a Cino Marchese, altra persona che cito poco ma a cui devo molto. E’ piccolino, il giovane Eugeny, e può migliorare, ma non ha il talento dello zio.

A questa età poi si vedono meglio le ragazze dei ragazzi. Nel femminile ha vinto una russa, Maria Makarova, molto professionale e fisicamente molto forte. Gioca bene una austriaca, Anna Pircher, che seguirò con interesse. Non poteva mancare una ragazza ceca, Janna Kovachkova, ancora piccola ma molto talentuosa, anche se ne ho viste di migliori nel passato da quel paese. Janna piange troppo per i miei gusti, ma sa giocare e ne sentiremo parlare.
Devo parlare poi di Vitoria Lete da Silva, una brasiliana molto grande che gioca piatto e forte, cioè per il futuro, come piace a me, ed è interessante.
Ma chi mi fa impazzire, e sono di parte perché la gestisco, è la giapponese Sakino Myazawa. E’ molto piccola, ma devo andare molto indietro nel tempo per trovarne una così talentuosa, e devo scomodare Martina Hingis: non si può mai dire nel tennis, ma la classe è cristallina, la voglia tanta, la disciplina giapponese quindi una garanzia.
A Tarbes ha giocato malissimo il primo turno, cosa che paradossalmente mi fa piacere, perché i ragazzi più talentuosi quando perdono di solito non la mandano mai di là: Goran Ivanisevic o Petr Korda ad esempio mi mandavano al manicomio.

Lei ha perso dalla finalista poi ha dominato il torneo di consolazione, che è un torneo molto forte (per questo sono dispiaciuto che gli italiani non siano venuti). Bene, la prossima tappa per un talent scout è Auray, sempre in Francia, nella splendida Bretagna. Un consiglio da turista: andate a Parigi, perché ne vale la pena ovviamente. Ma la provincia francese è splendida davvero, e la gente molto più simpatica ed ospitale dei parigini che sono – non tutti ovviamente – i meno simpatici che conosca con una puzza sotto il naso tremenda. Ecco, non confondete il resto dei francesi coi parigini, fareste loro un gran torto.