Il film sulla vita di Lele Spisani si gira alla Virtus Bologna, prima come allievo, poi come giocatore, infine come coach di campioni come Bertolucci, Reggi, Camporese. Un maestro di vita, oltre che di campo, che sa ancora dire la sua

A 85 anni Lele Spisani è ancora per tutti semplicemente “Il Maestro”, soprattutto per gli innumerevoli allievi cresciuti come tennisti e come persone sui campi della Virtus in oltre sessant’anni di insegnamenti sul campo. Con metodi apparentemente burberi di una volta, compresa, quando ci voleva, qualche pallata nel sedere che oggi farebbe gridare allo scandalo ma che ha contribuito a forgiare in tantissimi ragazzi un carattere vincente e la ricerca della perfezione tecnica («Ho portato alla prima categoria 12 giocatori fra uomini e donne» – dice con evidente orgoglio). I più prestigiosi? «Partirei da Paolo Bertolucci. Arrivò alla Virtus a 11 anni grazie all’intuizione del presidente Neri che convinse i genitori a farlo trasferire da Forte dei Marmi ospitandolo personalmente. Difese i nostri colori fino agli juniores prima di spiccare il volo nello sport professionistico. Da piccolo era… più largo che alto, ma con un talento e un braccio incredibili. Non sono stato io il suo maestro, è stato Dio. Poi a livello internazionale Omar Camporese e Raffaella Reggi. Lella era un altro talento naturale, come Paolo, e il mio compito era in un certo senso facilitato. Per intenderci, a lei come a Paolo di pallate nel sedere non ne ho mai dovute tirare; a Omar invece, che doveva lavorare di più per far venire fuori tutta la potenza e l’efficacia di quel dritto, gliene ho tirate migliaia…

Se insegnassi ora ai ragazzi il Telefono Azzurro sarebbe rovente» – dice con inscalfibile umorismo. «Voglio anche citare Gianluca Rinaldini, l’unico che, come Bertolucci, ha saputo vincere i campionati italiani di tutte le categorie giovanili. La sua carriera si è interrotta troppo presto per il gravissimo incidente automobilistico che lo colpì a 26 anni».

La storia sportiva di Spisani si sovrappone come una carta carbone a quella del tennis italiano del dopoguerra: «Abitavo vicino alla Virtus e avevo appena 7 anni, nel maggio 1945, quando entrai per la prima volta nel circolo disastrato dalla guerra; noi più giovani aiutammo a ripristinare i campi per poter giocare portando via le macerie con le carriole. Da allora sono sempre rimasto lì, prima come giocatore e poi, dal 1958, come maestro. Lì ho visto giocare giovanissimi Nicola Pietrangeli e Lea Pericoli, ho fatto il raccattapalle per l’incontro di Coppa Davis del 1952 contro la Gran Bretagna, ho avuto l’onore di giocare con Beppe Merlo quando difendeva i colori della Virtus e di condividere tanti momenti dentro e fuori dal campo con Orlando Sirola – chiamato ancor oggi rispettosamente Signor Sirola – che praticamente mi costrinse ad abbandonare la mia passione per la pesca perché mi chiedeva di giocare sempre negli orari in cui mi dedicavo al mio hobby». Nessuno ha invece interferito con l’altra grande passione di Lele Spisani, il volo a vela, di cui è stato istruttore.

Fra tanti ricordi del passato si mantiene però vivissima l’attenzione sul tennis di oggi.

La squadra italiana che abbiamo visto di scena a Bologna può puntare a vincere la Coppa Davis?
«Intanto questa è veramente una squadra, fatta da amici che condividono uno stesso obiettivo. Negli ultimi tempi è cresciuta così tanto anche grazie all’ottima idea della Federazione di aprire definitivamente le porte ai Coach personali. In tempi passati c’erano resistenze in questo senso che non hanno fatto il bene del nostro tennis; in un clima di maggiore collaborazione e integrazione, anche il nostro lavoro alla Virtus avrebbe potuto dare molti più frutti. Adesso l’Italia può contare su ottimi singolaristi, ognuno con le sue caratteristiche. Personalmente sono impressionato dalle capacità fisiche di Sinner, in particolare come sfrutta gli appoggi la- terali, mentre di Berrettini sottolineo l’estrema velocità del braccio e di Musetti un rovescio veramente notevole. Vedo più difficoltà in doppio, dove non mi meraviglierei se Volandri intervenisse ancora, come ha già fatto in passato, per cercare la formazione più adeguata, posto che Fognini se è in forma non lo toccherei, la sua facilità di gioco mi è sempre piaciuta».

Ma si percepisce bene che chi ha visto scorrere nella sua vita decine e decine di edizioni storiche della Davis scalpita per dire la sua sulla formula attuale: «Mi scuserete ma non riconosco più la tensione e il valore tecnico della Coppa Davis, questo è un torneo Rodeo che si esaurisce rapidamente in match due set su tre sparati uno dopo l’altro. Rimpiango il regolamento del passato, perfino il fascino irripetibile del Challenge Round».

E nel tennis di oggi in generale cosa rimpiange rispetto a quello di un tempo?
«Una cosa su tutte: nessuno sa più giocare la volée bassa. Pensate che io stesso l’ho imparata non da istruttori o da corsi particolari, ma da un mio allievo. Mi pare di averne già accennato… si chiama Paolo Bertolucci».