REPORTAGE ESCLUSIVO – Il ritratto di un paese in grave crisi e lontano dalle rotte del grande tennis, ma capace di sfornare tanti campioni. DI MAXIMILIANO BOSO 
Il team argentino che affronterà l'Italia a Mar del Plata

Di Maximiliano Boso
(Articolo pubblicato su TENNISBEST Magazine)

 
Nei primi anni 70, un nome ha posto per la prima volta il tennis argentino all’attenzione mondiale: Guillermo Vilas. Ma la più grande rivoluzione si è verificata all’interno della stessa Argentina. I successi internazionali del ragazzo con i capelli lunghi e la fascetta in fronte hanno generato un’esplosione: il tennis è arrivato in ogni quartiere di Buenos Aires e in ogni provincia del paese. Da uno sport per pochi eletti, il tennis è diventato un gioco popolare ed ambito dalle masse. E’ stata la genesi di un processo che, con alti e bassi, dopo 30 anni, ha prodotto una brillante generazione di giocatori, conosciuta come “La Legiòn Argentina” e comprendente, tra gli altri, giocatori come David Nalbandian, Guillermo Coria, Gaston Gaudio, Guillermo Canas e Mariano Puerta. L’ultimo anello di questa scioccante catena ha compiuto recentemente il grande salto: poco prima di compiere 21 anni, Juan Martin Del Potro ha vinto l’Open degli Stati Uniti. Da alcuni anni il mondo del tennis si pone una domanda ricorrente: come è possibile che da un paese in crisi economica come l’Argentina, peraltro lontano dalle rotte del tennis mondiale, escano così tanti giocatori di qualità internazionale?
 
UN IDOLO CHIAMATO GUILLERMO
Come detto, il tennis è diventato popolare in Argentina negli anni 70 grazie ai successi di Guillermo Vilas, cui qualche anno dopo si è aggiunto Josè Luis Clerc. Ma la tradizione tennistica di questo paese del Sud America, con circa 40 milioni di abitanti, risale alla fine del XIX secolo, quando gli inglesi avevano la concessione per l’ampliamento e la costruzione delle linee ferroviarie. Furono loro ad esportare nel paese non solo la manodopera, ma anche i loro giochi preferiti per il tempo libero. Fu così che l’Argentina conobbe il calcio, il rugby ed il tennis. Nacquero diversi club nei pressi delle stazioni ferroviarie di tutto il paese, in particolare a Buenos Aires e provincia, da sempre cuore economico e politico della nazione. Le classi più ricche erano quelle ad avere tempo e disponibilità economiche per acquistare l’attrezzatura e praticare il “deporte blanco” (così gli argentini chiamano spesso il tennis, ndr). Nonostante il limitato numero di praticanti, nell’era dilettantistica il paese ha comunque avuto buoni rappresentanti in ambito internazionale, tra i quali spiccano Enrique Morea, ex presidente della federazione, l’Asociacion Argentina de Tenis (AAT, oggi presieduta da Arturo Grimaldi), e Norma Baylon. I successi di Vilas e Clerc, avvenuti quando si era già entrati nell’Era Open, hanno avuto continuità con la generazione degli anni 80: Alberto Mancini, Martin Jaite, Franco Davin, Guillermo Perez Roldan e Horacio De La Pena tra gli uomini, Gabriela Sabatini e Ines Gorrochategui tra le donne. L’Argentina, tuttavia, è sempre stata soggetta alle crisi economiche da cui è ciclicamente colpita. Per questo, la crisi di fine anni 80 ha determinato un vuoto di giocatori nel decennio successivo. Senza risorse non emergono giocatori, e quando si è esaurita la generazione degli anni 80 il tennis argentino è entrato in una crisi in cui era utopia anche solo vincere un titolo. La famosa epoca del “1 a 1” – quando un peso valeva quanto un dollaro – ha permesso a molti giocatori di viaggiare all’estero ed ha prodotto un nuovo gruppo di tennisti. Con appoggi privati, sul finire degli anni 90 sono emersi Mariano Zabaleta, Guillermo Canas, Agustin Calleri, Gaston Gaudio, Mariano Puerta e Juan Ignacio Chela. Senza dimenticare Paola Suarez, ex top 10 in singolare e numero 1 in doppio in campo femminile. Un po’ più giovani, a seguito di un forte investimento della AAT, sono apparsi all’inizio del 21esimo secolo David Nalbandian, Guillermo Coria e Josè Acasuso. L’ennesima crisi economica, scoppiata nel Dicembre 2001, ha provocato la caduta degli investimenti nel tennis. Si è dunque presentato uno scenario propizio per gli investitori privati. Era successo qualcosa di simile con il calcio, sebbene con caratteristiche molto diverse: il sistema era semplice: un investitore privato finanziava uno o più giocatori di buone qualità pagando viaggi, racchette, abbigliamento, allenatore e, nei casi più fortunati, corsi di perfezionamento in qualche accademia internazionale in Spagna, Francia o Stati Uniti. Il tipo di accordo più abituale era il seguente: fino al recupero dell’investimento, l’80% dei guadagni era per l’investitore e il 20% per il giocatore. Una volta saldato il debito, le percentuali si invertivano. Ci sono anche stati casi di accordi con percentuali su più livelli. E’ chiaro che se il giocatore inizia ad avere un certo successo le relazioni iniziano ad incrinarsi ed emergono le differenze. E’ dunque capitato che molti accordi terminassero male. “Non è facile. Io ho avuto la fortuna di incontrare una persona eccezionale come Juan Monaco. Con lui non ci sono mai stati problemi. Di più: è stato lui a propormi di estendere l’accordo praticamente per il resto della sua carriera” ha detto Claudio Landa, direttore esecutivo di “El Comercio Compania de Seguros S.A.”. Landa è un appassionato di tennis, sport che ha praticato per tutta la vita, e da diversi anni aveva idea di entrare in questo mondo come hobby. Gli hanno proposto di investire su giovani promesse: Landa prese tre giovani e li portò a Miami nell’accademia dell’amico Josè Luis Clerc. E Clerc non esitò: “Questo è molto buono, ma quello che sfonderà è un altro”. “L’altro” era Juan Monaco, cresciuto nel Club Independiente di Tandil e che dopo si perfezionò nell’accademia Casal-Sanchez di Barcellona.
 
LE RAGIONI DI UN FENOMENO
Le ragioni addotte dai protagonisti per spiegare il fenomeno del tennis argentino sono le più svariate e vanno dal “miracolo” a ragioni più concrete come la capacità dei professionisti, i modelli, la storia ed il clima. “Ci sono sempre ragazzi che giocano bene e ci sono buoni esempi. Chi arriva dal basso vede sempre campioni. Del Potro e Monaco vedevano me, Gaudio, Nalbandian, e ora i ragazzini hanno loro come esempio. Hanno vinto grandi tornei, dunque i juniores aspirano a grandi obiettivi. Ma arrivare non è facile lo stesso, molti si perdono per strada, bisogna aver fortuna, giocare bene, trovare gente che ti appoggi. Non so, io non ho la risposta…c’è anche un po’ di casualità” ammette Mariano Zabaleta, uno dei primi tennisti della Legiòn. Mariano Puerta, finalista al Roland Garros 2005, è d’accordo in parte: “E’ incredibile, roba da pazzi. Qui abbiamo un solo torneo challenger e i soldi li mettono i  brasiliani (allude al challenger di Buenos Aires, facente parte del circuito sponsorizzato dai brasiliani della Petrobras, ndr). E’ incredibile che escano così tanti giocatori e che l’Argentina non perda mai prima dei quarti di finale in Coppa Davis. In Colombia ci sono circa 10 tornei challenger e i giocatori escono da qui. Vorrei che ci fossero più tornei”. Poi amplia il discorso: “Credo che qui si lavori molto, i giocatori nascono nelle migliori condizioni e ci sono ottimi allenatori. C’è fame di vittorie. E ci sono molti esempi, perché è da dieci anni che i giovani hanno campioni da imitare”. Uno dei personaggi chiave è Martin Jaite: ex top 10, ex allenatore di Gaston Gaudio e David Nalbandian, direttore del torneo ATP di Buenos Aires. Dal 2012, è il capitano del team di Coppa Davis. Ha vissuto quasi ogni esperienza e dice: “Ci sono ottime risorse umane, non c’è altra spiegazione. Qui c’è qualcosa di speciale. I tennisti vengono dalla media borghesia, non hanno sofferto la povertà come alcuni calciatori, ma non hanno nemmeno facilità nell’arrivare, perché l’investimento non è grande. Hanno fame di gloria. Hanno grande volontà e c’è gente capace ad insegnare. I ragazzi di oggi, poi, prendono spunto dagli esempi. Vedono i professionisti con allenatore, preparatore fisico, nutrizionista, psicologo, fisioterapista, medico, e vogliono fare altrettanto”. Diego Garcia è il responsabile del settore formazione della AAT e fornisce un’ampia panoramica: “Il fenomeno ha diverse ragioni. La storia, con giocatori come Morea e Vilas e la generazione più recente, quella di Nalbandian, Coria, Gaudio e Del Potro. E’ poi importante il clima, perché in Argentina si può giocare tutto l’anno. Abbiamo i campi in terra battuta, i migliori per la formazione di un giocatore. E c’è molta creatività nell’uso delle risorse e nel massimizzare il denaro a disposizione”. Hector Romani, direttore esecutivo della federazione, dice: “Prima di tutto abbiamo un milione di dollari contro i trenta di Inghilterra, Stati Uniti, Francia e Spagna. Però abbiamo i club che ospitano la classe media, i quali svolgono un’importante funzione sociale e che sono dotati di moltissimi campi da tennis. In secondo luogo abbiamo ottimi professionisti. Ogni anno nel paese sono addestrati 600 insegnanti che poi si specializzano nei principianti, negli amatori o negli agonisti. E poi in Argentina ci sono tornei ogni settimana dell’anno. Tutti quelli che hanno un progetto lo possono realizzare. Chi torna da un infortunio può sempre giocare. Ci sono 250 attività di questo tipo nella capitale e nelle quindici province”.
 
IL PROGETTO DELLA FEDERAZIONE
Il gruppo di giocatori noto con il nome di “Legiòn Argentina” non ha ottenuto successi solo a livello individuale, ma anche in Coppa Davis. Il paese è salito nel Gruppo Mondiale nel 2002: da allora è sempre stato tra i primi otto, raggiungendo sei semifinali (2002, 2003 e 2005, 2010, 2012 e 2013) e tre finali, nel 2006, nel 2008 e nel 2011, perse contro Russia e Spagna (due volte). L’edizione del 2008, in cui l’Argentina ha sempre giocato in casa, ha permesso alla federazione di incassare qualcosa come 6 milioni di dollari. Si tratta di un’entrata di denaro che coincide con una fase di cambiamento nelle politiche di sviluppo del nostro sport. La AAT non vuole che l’evoluzione sia esclusivamente legata ai vantaggi economici derivanti dalla Coppa Davis e così, per esempio, per il marketing internazionale si appoggia all’impresa francese Havas Sports. Perché se nel 2008 ha giocato quattro partite in casa, nel 2009 c’è stata solo la partita contro l’Olanda, con un fatturato molto basso. Per questo la AAT ha compiuto due passi. Da un lato ha cambiato il formato del Centro Tecnico Nazionale, che aveva la sede fissa presso il Pilarà Tennis Club, a 50 chilometri da Buenos Aires, e che era diretto da Gustavo Luza, ex giocatore ed ex capitano di Coppa Davis. Qualche anno fa si è lanciata “L’area di sviluppo”, condotta da Modesto “Tito” Vazquez. Non c’è più una sede fissa, ma la AAT supervisiona i giocatori nei vari centri di allenamento del paese e li mette insieme solo quando nomina le squadre per le competizioni giovanili. “Così facendo riteniamo che i ragazzi non siano sradicati dal loro ambiente. Restano in famiglia, frequentano gli amici e crescono nel loro ambiente. Noi coordiniamo le metodologie di allenamento con insegnati e allenatori, ai quali diamo il nostro appoggio logistico e con i quali siamo in contatto costante” spiega Hector Romani, l’uomo che ha lanciato le nuove politiche dell’istituzione, le quali comprendono l’inserimento nei gruppi di lavoro di ex giocatori ed ex allenatori, tra cui spicca Gaston Etlis. Uno dei centri più importanti del paese risiede a Tandil, città a 331 chilometri dalla capitale, in particolare presso il Club Independiente. In questa città di 120.000 abitanti ed in questo Club (peraltro di calcio) si sono forgiati giocatori sin dagli anni 80. Guillermo Perez Roldan, Franco Davin, Patricia Tarabini e Mariana Perez Roldan, fino a una catena con molte gemme come Mariano Zabaleta, Diego Junqueira, Maximo Gonzalez, Juan Monaco e Juan Martin Del Potro, la pietra più preziosa. Si tratta di un’accademia che non fa pubblicità e che non ha insegne all’ingresso del club. La sua unica promozione sono i risultati dei giocatori cresciuti lì e il buon vecchio passaparola. “Ciò che è Tandil è qualcosa di strano, sorprendente e straordinario. In molti mi fanno domande su questo argomento. La cosa principale è la base che ci hanno inculcato: la professionalità, l’umiltà, il sacrificio. Arrivavamo agli allenamenti con zero gradi di temperatura. Una palla finiva fuori dal campo e ci ammazzavamo per andarla a recuperare. Sin da piccoli avevamo l’obiettivo di diventare professionisti” racconta Juan Monaco. Chi parla ora è l’artefice di questo miracolo, il direttore dell’accademia Diego Gomez: “C’è una mistica, il metodo che tutti abbiamo appreso: sacrificio, umiltà, dare tutto sul campo da tennis. Naturalmente ci sono delle questioni tecniche, e per questo ci ho messo del mio. Non è un caso che Juan Martin Del Potro sia il più forte di tutti. Ha sempre avuto un grande talento, ma io avevo molta più esperienza. La cosa buona è che escono giocatori diversi: c’è Del Potro, super talentuoso, che ha mischiato le sue capacità con un grande sacrificio, e Junqueira, che con poco talento, senza un buon fisico, ha fatto tutto con la forza di volontà”. Juan Martin Del Potro ha detto: “Marcelo Gomez è il miglior insegnante di tennis del mondo. Nessuno insegna le basi del tennis come sa fare lui. Gomez è stato determinante per avermi aiutato a diventare quello che sono oggi”. Il secondo passo riguarda i giovani: la AAT ha diviso il paese in aree geografiche affinchè gli impegni non siano troppo dispersivi e si possa risparmiare sulle spese di viaggio. L’Argentina è l’ottavo paese più grande del mondo, con 2.780.400 km di superficie e il sistema di trasporto pubblico non è efficiente né economico. Con un forte investimento negli eventi internazionali, l’Argentina si aspetta di godere tra qualche anno dei risultati di ragazzi che hanno avuto una buona carriera junior come Agustin Velotti, Andrea Collarini  e Facundo Arguello. In età giovanile, questi ragazzi hanno dovuto mantenere una promessa: giocare almeno il 50% dei tornei della loro categoria all’interno del paese. Così facendo si cerca di nobilitare la concorrenza interna e favorire la crescita di tutti i giocatori, non solo i migliori. In Argentina esistono quattro tipi di tornei in base alla classifica nazionale: G1 (i più importanti), G2, G3 e G4. Inoltre sono stati unificati i campionati in base a sesso ed età, in modo che numerosi gruppi di bambini (anche provenienti da club diversi) possano viaggiare insieme, risparmino denaro e restino in un ambiente amichevole. Un buon esempio dell’attività giovanile viene dai mondiali Under 14 e Under 16: insieme all’Australia, l’Argentina è l’unico paese ad essersi qualificato con tutte le squadre (due maschili e due femminili). In ambito professionale, l’Argentina ha trovato finanziamenti una volta che la situazione economica si è stabilizzata dopo la crisi del 2001. E, come sempre, l’investimento privato è stato fondamentale al fine di avere politiche sostenibili. Proprio quell’anno il paese ha riconquistato una data nel calendario del circuito ATP come parte della “Gira Sudamericana”, circuito di tornei su terra battuta che si disputano anche in Cile, Brasile e Messico. Fu grazie al supporto dell’impresa “Altenis”, il cui massimo referente è l’americano Butch Bucholz (il fondatore del Masters 1000 di Miami), che oggi sta già pensando al futuro: un paio d’anni fa disse che questi tornei potrebbe disputarsi sul cemento come preparazione per il Masters 1000 di Indian Wells ed il già citato Miami (la profezia si è avverata con la 'cementificazione' di Acapulco). Per anni c’è un solo torneo challenger, forse il più grande deficit in questo momento. “I costi sono troppo alti, per questo l’unico torneo challenger che si giocava in Argentina faceva capo ad un’impresa brasiliana come Petrobras” spiega Martin Jaite. Tuttavia l’aumento dei tornei base, i Futures, è notevole. Dal 2003 al 2009 il numero di questi tornei è salito da 6 a 23, una crescita di quasi il 400%. E nel 2009 è stato organizzato un circuito di nove tornei ITF Women’s Circuit, uno dei quali avrà per la prima volta 25.000 dollari di montepremi. La realizzazione di questi tornei è stata promossa anche all’interno del paese. Per questo è stata istituita la “Secreteria del Interior” all’interno della AAT, in modo da dare impulso all’attività fuori da Buenos Aires. “A volte, a Buenos Aires, questo tipo di tornei sono persi all’interno del calendario perché la gente cerca eventi di maggiore appeal. Ma nel resto del paese hanno grande successo. C’è molta voglia di avere un torneo” racconta Romani. Nel 2003 solo uno dei sei Futures si disputava nel resto del paese, mentre oggi 21 su 23 si giocano lontano da Buenos Aires.
 
I DATI DEL BOOM ARGENTINO
Gli studi indicano che in Argentina ci sono circa 1.800.000 praticanti, quasi il 5% della popolazione. Di questi, 12.000 sono tesserati. Ci sono circa 12.000 campi, e i club sono 1.200. Gli insegnanti e i maestri sono 7.500, anche se solo 1.000 di questi sono registrati. Solo nel 2009 c’erano circa 800 persone che sperano di conseguire un diploma di maestro di tennis. Ci sono poi 23 enti locali affiliati alla AAT (i nostri comitati regionali, ndr). In Argentina ci sono anche due fabbriche di palline da tennis riconosciute dall’ITF. Tubi da 3 palle di Head ATP costano tra i 25 e i 30 pesos (4,50-5,35 euro). Al contrario, le racchette non si fabbricano e dunque vengono importate. I diversi modelli di Head, Wilson, Prince o Babolat variano dai 150 ai 250 pesos (26,80-44,60 euro) per gli amatori fino a circa 900 (160 euro) per racchette simili a quelle dei professionisti. I costi delle racchette per bambini oscillano tra i 150 e i 200 pesos (26,80-35,70 euro). Buenos Aires e la zona nord dell’area metropolitana contano un caso unico al mondo: un corridoio tennistico di circa 16 miglia dal centro della città fino alla località di San Isidro, con club per tutti i gusti: si va dai più esclusivi fino a quelli popolari. Un’ora di tennis costa circa 50 pesos (8,90 euro), ma in altre zone la cifra può scendere fino alla metà. La Scuola Nazionale Arbitri ha circa 245 componenti, tra affiliati e “candidati”, e gestisce l’attività in tutto il paese. L’Argentina conta su un arbitro internazionale di categoria “Gold Badge”, Damian Steiner, che partecipa a tutte le prove del Grande Slam e ai più importanti tornei del circuito ATP. C’è poi un incordatore che gode di riconoscimento internazionale: si tratta di Luis Pianelli, membro del team di Coppa Davis e storico assistente di Del Potro. Il tennis amatoriale è un aspetto importante nella struttura di questo sport in Argentina. La AAT, infatti, cerca di essere l’entità capace di racchiudere ogni aspetto, compreso quello ricreativo. Recentemente si sono create aree diversificate all’interno della federazione, come il Tennis Universitario, in cui si organizzano gare con diversi livelli di difficoltà. Inoltre la AAT collabora costantemente con l’ITF nello sviluppo di programmi internazionali come il “Play and Stay” e cerca di mettere in pratica iniziative volte a promuovere l’espansione del tennis nel paese. Oggi c’è un programma denominato “Tennis X 2”: la AAT va nelle scuole e nei parchi pubblici, porta campi di dimensioni ridotte nonché racchette e palline speciali per i bambini, i quali possono partecipare ad una condizione: che portino un amico che non gioca a tennis. In questo modo, il bambino perde il timore di iniziare a giocare con qualcuno che non conosce. Si è poi messo in pratica un piano di monitoraggio dei talenti che si chiamerà “Sì”, dedicato ai bambini dai 6 agli 8 anni in grado di sostenere un palleggio e servire con una percentuale del 60%. Ci sarà dunque un processo di screening, selezione e sviluppo che permetterà ai prescelti di continuare a giocare nei centri di allenamento con piani specifici a disposizione. E’ lì, alla base della piramide, che il tennis argentino punta per continuare a sorprendere il mondo, magari con un altro Juan Martin Del Potro.

(*) Maximiliano Boso è uno dei migliori giornalisti specializzati argentini. Dopo una lunga militanza nel quotidiano "La Nacion", oggi è direttore della comunicazione istituzionale per conto di AAT, la federtennis argentina