ESCLUSIVO – Citato da Repubblica e FIT, l’ex Tecnico Nazionale a cuore aperto. “La mia inadempienza fu la reazione a un’umiliazione umana. Dovevo spostare fioriere al Foro Italico!”.
Tre persone importanti nella vita professionale di Gianluca Rinaldini:
Paolo Galgani, Raimondo Ricci Bitti e Angelo Binaghi
Di Riccardo Bisti – 16 ottobre 2012
Gianluca Rinaldini non vuole suscitare pietà nè tenerezza. Dal tragico 28 settembre 1985, quando un incidente stradale lo ha costretto su una sedia a rotelle, ha continuato a fare quello che ama. Occuparsi di tennis. Viverlo, respirarlo, giorno dopo giorno. La prima cosa che colpisce è la sua impressionante preparazione. Puoi aspettarti un uomo che dalla sfiducia è arrivato al disinteresse, magari passando per il rigetto. Invece conosce perfettamente i giovani italiani, annata per annata, è preparatissimo sull'attualità e ricorda nel dettaglio gli anni (e i successi) del Centro Tecnico di Cesenatico. Ancora oggi, i suoi ex allievi lo chiamano quasi quotidianamente. Lo cercano tutti, chi ha sfondato e chi non ce l’ha fatta: Daniele Bracciali, Giorgio Galimberti, Potito Starace, Davide Bramanti, Diego De Vecchis. “Mi chiedono tutti: ‘Jolly, come stai?’. Ai tempi di Cesenatico mi avevano dato questo nomignolo perché facevo di tutto: segretario, padre putativo, confessore. Credo di aver lasciato il segno anche sul piano umano”. Tutto questo a prescindere da una condizione fisica che non cita mai in quasi un’ora di dialogo. Non vuole che sia un alibi. Una frase ci colpisce: “Se fosse necessario, prenderei la mia auto e andrei a Roma a stringere la mano a Binaghi. Per mettere una pietra sopra al passato e ripartire daccapo”.
Gianluca Rinaldini è tornato alla ribalta qualche giorno fa, quando è stato citato da Repubblica nell’inchiesta di Agnese Ananasso sul malcostume dello sport italiano. A chiudere la parte dedicata al tennis, la Ananasso scrive: “Non è un mistero invece che l'ex tennista azzurro Gianluca Rinaldini – paraplegico a 26 anni per un incidente stradale – nel 2004 ha perso tutti i suoi incarichi nel mondo del tennis: aveva votato l'avversario di Binaghi. Vincitore”. L’articolo ha scatenato una veemente reazione da parte della FIT. Poche ore dopo la pubblicazione, è uscito un doppio intervento con le considerazioni di Giancarlo Baccini e la replica di Angelo Binaghi. Tra i vari punti toccati da Binaghi c’era anche Rinaldini. Nella missiva indirizzata ad Ezio Mauro (direttore di Repubblica), Binaghi scrive: “E’ falso, infine, che Gianluca Rinaldini “nel 2004 ha perso tutti i suoi incarichi nel mondo del tennis” poiché avrebbe votato il candidato mio avversario nelle elezioni. Rinaldini ha conservato incarichi fino all’anno 2006, dopodiché gli inadempimenti contrattuali lamentati dalla FIT – ampiamente documentati ed evidentemente non causati dai suoi problemi fisici – hanno reso impossibile il rinnovo degli accordi che aveva sottoscritto e la Federazione gli ha proposto una transazione, da lui accettata". La replica di Binaghi ha alimentato una serie di domande. Che ha fatto Rinaldini dal 2004 al 2006? Quali inadempimenti ha commesso? Davvero non era possibile rinnovarli? E in cosa consisteva la transazione?
Ce lo ha spiegato il diretto interessato. Il 53enne faentino ha voglia di raccontare e raccontarsi. Numero 79 ATP nel 1982 ("E' quello il mio best ranking, anche se il sito ATP mi assegna il 128"), ha vinto un torneo challenger prima che l’esplosione di una gomma della sua auto gli cambiasse la vita. Gli abbiamo subito chiesto che cosa ha fatto dal novembre 2004 (data delle elezioni vinte da Binaghi) al 2006, ma ha preferito partire da lontano. “A inizio 1986 sono uscito dalla clinica dove sono stato ricoverato per 5-6 mesi, e ci ritrovammo a Faenza con Paolo Galgani (allora presidente FIT), Stefano Gaudenzi (Presidente del Club Atletico Faenza) e Chiarino Cimurri (Responsabile del Settore Tecnico). Nell’abitazione di Gaudenzi, in Corso Mazzini, decisero di assegnarmi un vitalizio. Non c’è niente di strano, altre federazioni hanno fatto altrettanto per atleti ancora più sfortunati di me. Dal 1986 al 1990 ho lavorato al CA Faenza, ma quello che guadagnavo risultava come stipendio e non come vitalizio”. Poi, nel 1990, la svolta. “Paolo Bertolucci diventa direttore del Centro Tecnico di Cesenatico. Lui e Chiarino Cimurri mi chiamano chiedendomi se volevo fare il vicedirettore. Non aspettavo altro, era il mio sogno. Anni prima, il grande Mario Belardinelli mi confidò che vedeva in me il suo successore. Da allora mi sono recato ogni mattina sul posto di lavoro. Praticamente vivevo al Centro, tanto che la professoressa Antonietta Maria Vannini (primario del Montecatone Rehabilitation Institute di Imola, dove Rinaldini era in cura, scomparsa qualche anno fa all’età di 74 anni, ndr) mi diceva che ero pazzo, che trascuravo la mia salute. Ma a me non interessava. Il mio compito era stare con i ragazzi, aiutarli a crescere. Molti di loro sono anche venuti a dormire a casa mia senza che io chiedessi niente alla FIT. Ma forse questo Binaghi neanche lo sa”.
Chi erano i ragazzi che componevano la sua seconda famiglia?
Tutti quelli delle classi dal 1975 al 1981: Riccardo Ciruolo, Daniele Ceraudo, Giorgio Galimberti, Daniele Bracciali, Andrea Capodimonte, Dario Sciortino, Massimo Dell’Acqua, Florian Allgauer e il mio preferito, Federico Luzzi. D’estate si allenavano e dormivano da me. Molti di loro mi chiamano ancora oggi. E resto perplesso quando mi dicono che Giancarlo Palumbo guadagna 80.000 euro mentre io ne prendevo 24.000 per fare le stesse cose. Meglio o peggio? Non lo so, credo siano i risultati a parlare.
Poi Cesenatico ha chiuso…
Ed è salito al potere Angelo Binaghi. Ho avuto la sensazione che non sapessero dove mettermi, forse pensavano che spostarmi fosse complicato. Credevano che dovessi andare a Tirrenia a piedi? Per un paio d’anni ho fatto il supervisore dei PIA, progetto che non è mai decollato e che nessuno ha mai capito cosa fossero veramente. (Angelo Binaghi, nella sua intervista con TennisBest, ha sostenuto che i PIA siano un successo, soprattutto nella loro continuità, ndr).
E arriviamo al fatidico 2004. C'è chi sostiene che lei non abbia più incarichi perché ha votato Tronchetti Provera. Però la FIT dice che ha continuato a collaborare fino al 2006, poi gli accordi non sono stati rinnovati a causa di inadempimenti. E’ vero?
Tutto nasce nel 2001, quando Raimondo Ricci Bitti (fratello del presidente ITF e storico consigliere di Binaghi, ndr) voleva sollevare Stefano Gaudenzi dalla presidenza del CA Faenza. Preferiva non esporsi in prima persona, perché una sua elezione avrebbe potuto essere interpretata come una vicenda familiare. Sa, i Gaudenzi e i Ricci Bitti non si amano troppo…Allora mi chiese di candidarmi e vinsi senza problemi. Sotto la mia presidenza, tra l’altro, abbiamo raggiunto la Serie A1 femminile e la Serie A2 maschile, peraltro con giocatori della zona. Adesso entrambe le squadre sono in Serie C. Nel 2004, per le elezioni federali, decisi di votare per chi volevo io. Attenzione: non fu una scelta d’autorità, mi confrontai con il Consiglio (di cui faceva parte Ricci Bitti). La mettemmo alle votazioni e finì 4-3 per Tronchetti Provera. Allora dissi chiaramente per chi avrei votato a Castellaneta Marina. E così feci. Personalmente credo che Ricci Bitti – se fosse un amico, come sostiene di essere – avrebbe dovuto avvisarmi e dirmi qualcosa del genere: ‘Non fare la ‘cazzata’ di votare per Tronchetti Provera, Binaghi ha in mano il 75% dei voti. Se lo voti metti in difficoltà anche me’. Invece mi lasciò votare per lo sconfitto e poi si è rivolto a istituzioni importanti a livello locale, dicendo che un club importante come il CA Faenza non poteva essere guidato da un presidente ‘antifederale’. Naturalmente fui defenestrato quasi subito.
Poi cosa è successo?
Mi proposero per due anni il ruolo di vicedirettore agli Internazionali d’Italia. Detta così, non sembrava male. Ma alla fine non facevo niente. Il punto più umiliante è stato quando mi hanno detto: “Devi andare nel Villaggio Ospitalità a spostare fioriere”. Il contratto era di 15 giorni: furioso per il trattamento che mi era stato riservato, me ne andai tre giorni prima della fine del torneo. Questa è l’inadempienza. Quando l’ho letto non ci volevo credere. Quella che gli altri chiamano un’inadempienza lavorativa, in realtà, è stata un’umiliazione umana. C’erano un mucchio di compiti possibili in qualità di vicedirettore, ma il giardiniere al villaggio era troppo. Me ne andai quando il torneo era quasi finito, erano gli ultimi giorni del femminile, c’era poca gente e non c’era più bisogno di me. Non ero stato minimamente considerato per tutto il torneo, è possibile che non si siano nemmeno accorti della mia assenza. Però a qualcuno non sarà sfuggito, e puntualmente la notizia è arrivata ai piani alti.
E così è arrivata quella che alcuni chiamano “transazione”, altri “tombale”. Firmandola, ha rinunciato a qualsiasi rivalsa in cambio di…che cosa? E perché l’ha firmata?
L’ho firmata perché una vertenza federale mi avrebbe creato un fastidio umano ancora superiore a un eventuale riconoscimento economico, del quale non avrei avuto alcuna certezza. E non sapevo quanto sarebbe andata avanti. Per stare tranquillo, scelsi l’opzione che all’epoca ritenevo migliore. Ma col senno di poi avrei potuto continuare a fare il lavoro di vicedirettore agli Internazionali. Ricci Bitti mi disse: ‘Che ti importa il come, basta che arrivano i soldi’. Ma secondo me la dignità è importante, mi volevano umiliare. Certo, se avessi saputo cosa mi aspettava avrei continuato a fare quello, pur senza capire una spesa di 24.000 euro per un lavoro inutile. Avrei potuto seguire l’attività giovanile, fare il talent-scout, come aveva proposto Belardinelli tanti anni prima. E poi avrei fatto comodo alla stessa FIT. La tombale? Un circolo e una persona cara hanno fatto da tramite per farmi avere uno stipendio per due anni. Dal 2008 non ho più alcun rapporto con la FIT.
Ma era uno stipendio o un vitalizio?
Conoscendo i personaggi, avevo paura di quel che poi è successo. Me lo disse anche il mio avvocato. In cuor mio speravo che mantenessero l’impegno più a lungo.
Rinaldini che ne pensa di questo Settore Tecnico?
Dei quattro Centri Tecnici nella storia della FIT, Tirrenia è indubbiamente il peggiore. Ma non lo dice Rinaldini, lo dicono i numeri. Formia, Riano e Cesenatico hanno prodotto qualcosa. Tirrenia? Forse solo Giannessi, che peraltro qualche anno fa era stato scartato come tutti quelli del 1990 (Della Tommasina, Papasidero, Piludu) e rimesso dentro per fare da chioccia a quelli del 1992, Gaio e Colella su tutti. Infantino? Non vedo perché dobbiamo dare il nostro tennis in mano a uno straniero. Pensiamo forse che i tecnici italiani non siano bravi? Nessun’altra nazione prende tecnici stranieri (In verità c’è il Canada, ndr). Ai tempi di Cesenatico, i nostri junior hanno vinto tutto: Sciortino l’Orange Bowl, Allgauer il Bonfiglio, Luzzi e gli Europei, Bracciali il doppio all’Australian Open Junior, Galimberti era top 5 tra gli Under 18. E non è vero che le altre nazioni non mandavano i migliori: ricordo vittorie su gente come Safin e Grosjean. Poi alcuni si sono persi, è vero, ma lì entrano in ballo altri fattori, non necessariamente tecnici.
Lei come organizzerebbe il Settore Tecnico?
Oggi ci sono due scuole che funzionano: Spagna e Francia. Ma da chi sono composte queste scuole? Costa, Sanchez, Casal, Avendano, Aguilera, Arrese, Forget, Tulasne, Benhabiles, Champion, Grosjean. Tutti ex giocatori di livello. E noi? Dove sono Canè, Camporese, Nargiso, Gaudenzi? Senza contare la generazione degli anni 70, di cui l’unico coinvolto è Corrado Barazzutti. Perché non diamo 3 ragazzini a Sanguinetti come lui aveva chiesto e poi si valutano i risultati, vedendo se è il caso di andare avanti? Chiudo con una domanda: secondo lei, è un caso che Murray sia diventato un altro giocatore (ma davvero un altro!) da quando lavora con un ex leggenda come Ivan Lendl?
L’OPINIONE
Binaghi dice il vero quando ricorda che Rinaldini ha collaborato fino al 2006. Volendo fare i pignoli, un qualche contributo federale è arrivato fino al 2008. Non c’è dunque un rapporto di causa-effetto diretto tra il suo voto alle elezioni del 2004 e il successivo allontanamento. Tuttavia, se quel che dice Rinaldini è vero – e non c’è motivo di dubitarne – il rapporto di causa-effetto esiste. E’ indiretto, sottile. E se l’inadempienza è veramente l'episodio citato, beh, il mancato rinnovo sembra francamente esagerato. Soprattutto considerando la vicenda umana del faentino. Perché non assegnargli un incarico più consono alle sue capacità? Perché proporgli una transazione per farlo uscire dall’establishment? Non stiamo parlando esattamente dell’ultimo arrivato…
In questa storia, consentiteci, hanno perso tutti. Rinaldini perché ha subito una pesante umiliazione sul piano personale (oltre ai problemi pratici, ben più gravi). Ma ha perso anche chi non ha accettato un dialogo, una soluzione. Paolo Galgani mi ha detto che un buon Presidente Federale dovrebbe mixare le capacità manageriali senza prescindere dal rapporto umano. Lui, probabilmente, era molto più bravo sul secondo aspetto. Binaghi ha la tendenza a dividere il mondo in buoni e cattivi, dove i cattivi devono essere combattuti senza pietà. Quante volte, nelle sue uscite pubbliche, ha usato il termine “nemico” o “avversario”? Tante, forse troppe. Eppure, un Presidente Federale – per definizione – dovrebbe conoscere la diplomazia. L’ingegnere sardo ha un quadriennio (il quarto!) davanti a sé: una delle più grandi scommesse da vincere – secondo noi – sarà imparare a cogliere le sfumature di grigio, anche se riuscirci dopo 12 anni di presidenza sarà estremamente complicato. Fare un passo indietro su Gianluca Rinaldini sarebbe un bel viatico. Non c’è niente di male ad ammettere di aver sbagliato. (Ri. Bi.)
Il sito www.ubitennis.com ha promosso una petizione da inviare al CONI per chiedere il reintegro di Gianluca Rinaldini nel Settore Tecnico. Chiunque volesse sottoscriverla, può scrivere una mail a questo indirizzo manifestando la propria adesione.
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