Che fine hanno fatto i top ten del ranking juniores di dieci anni fa? Gael Monfils ha saputo in parte ripetersi anche fra i grandi, altri non hanno smesso di crederci, qualcuno ha cambiato completamente campo, mentre di un paio non c’è più traccia…“Vincere nelle categorie giovanili conta fino a un certo punto”. Lo sentiamo dire spesso, a quei genitori un po’ troppo esaltati per i successi dei figli o a quegli appassionati dell’ultima ora che tendono a dare troppa importanza alle vittorie dei giovani. È proprio nei tornei giovanili dove si scovano i futuri campioni, e dove i talent scout delle grandi aziende cercano di trovare i potenziali testimonial del futuro, ma le statistiche lo confermano: nella maggioranza dei casi i risultati giovanili non sono affatto garanzia di un futuro interessante. Basta una piccola ricerca per rendersene conto. Scorrendo il ranking ITF under 18 di fine 2004, dieci anni or sono, si scopre che solo uno degli allora top ten ha saputo ripetersi anche fra i grandi, che appena in quattro hanno sfondato il muro dei primi 100, mentre qualcuno non è nemmeno riuscito ad avvicinarsi al tennis che conta. Per questo, i primissimi dell’attuale classifica under 18 sono avvisati, dal russo Andrey Rublev (recente protagonista a Miami) fino al giapponese Akira Santillan, che sogna di ripetere le gesta di Kei Nishikori. Prima di puntare alla top ten, gli conviene provare a ripetere almeno il ‘Project 45’. In mezzo anche tre giocatori della Corea Del Sud, candidata come una delle nuove potenze del tennis mondiale. Hyeon Chung ha fatto il primo passo, e il terzetto Hong, Chung (un altro) e Lee sembrerebbe aver le carte in regola per ricalcarne le orme. Tuttavia, anche nel 2004 c’erano due coreani che parevano pronti per sfondare, ma poi hanno combinato ben poco, lasciando pochissime tracce. Stesso discorso per gli Stati Uniti. Ecco che fine hanno fatto i primi 10 juniores del 2004.
10. Rafael Arevalo (El Salvador)
“Ambition to be top 50 ATP” recitava la sua scheda nel sito del circuito ITF. Insomma, il buon Rafael si sarebbe anche accontentato di un piazzamento onorevole, senza puntare a vette vertiginose. Eppure, in quel 2004 era fra i primi 10 della classifica mondiale juniores, e guai a pensare che sfruttava solo i tanti tornei di grado minore presenti dalle sue parti. Giocava molto in Europa e batteva gente poi diventata fortissima (Cilic, Troicki, Dolgopolov), arrivava ai quarti all’Orange Bowl e pareva pronto a portare nel tennis che conta il piccolo stato di El Salvador, un milione e mezzo di abitanti nell’America Centrale, tra Guatemala e Honduras. Dieci anni dopo si può tranquillamente dire che non ce l’ha fatta, la gloria se l’è presa tutta un altro Rafael, nato appena un mese prima di lui. Da professionista Arevalo ha vinto solamente due Futures, salendo al massimo alla posizione numero 374, già piuttosto datata (2008). Ormai da anni gioca solamente la Coppa Davis insieme al fratello minore Marcelo, ventiquattrenne numero 284 ATP, e qualche 10 mila dollari dalle sue parti. Ma il proprio quarto d’ora di gloria l’ha avuto comunque. Nel 2008 ha ricevuto una wild card per le Olimpiadi di Pechino, ha battuto al primo turno il coreano Lee e ha avuto in premio sua maestà Roger Federer. Ha perso 6-2 6-4, ma sarà per sempre il più bel ricordo della sua carriera.
9. Lukas Lacko (Slovacchia)
Lo conosciamo tutti. A differenza di Arevalo, lui è diventato un giocatore vero. Non è riuscito nemmeno ad andare vicino a quella terza posizione che raggiunse fra gli under 18 nel 2005, anno della semifinale al Roland Garros junior, ma il ventisettenne di Piestany si è comunque reso protagonista di una carriera per la quale molti metterebbero subito la firma. Fatta eccezione per qualche breve periodo negativo, è fra i top 100 da cinque anni abbondanti, ha messo il naso al terzo turno di un torneo del Grande Slam (l’Australian Open 2012) e pure giocato una finale nel circuito maggiore, lo stesso anno a Zagabria. Di lui si ricordano principalmente due risultati: uno dei pochi 6-0 subìti in carriera da Rafael Nadal (nel 2011 a Doha, poi lo slovacco perse 7-6 0-6 6-3), e il primo turno del Roland Garros dell’anno precedente. Sconfisse lo statunitense Michael Yani per 4-6 7-6 7-6 6-7 12-10 dopo 4 ore e 56 minuti, stabilendo il record per il match a Roland Garros con più game dell’era Open.
8. Scott Oudsema (Stati Uniti)
Il caso del biondino di Kalamazoo, Michigan, che ha appeso la racchetta al chiodo nel 2009, va analizzato con attenzione. È vero che è arrivato fino alla quarta posizione della classifica giovanile, ma ci è riuscito quasi esclusivamente grazie ai risultati in doppio, in coppia col connazionale Brendan Evans. In quel 2004 vinsero tra Slam (Australian Open, Wimbledon e Us Open) più il Trofeo Bonfiglio, facendo incetta di punti. Nella classifica limitata al singolare, Oudsema ha saputo arrivare al massimo alla quindicesima posizione. Comunque un buon piazzamento, ben diverso dal successivo 255 fra i professionisti, siglato nel maggio del 2007. Delle wild card gli han permesso di disputare qualche torneo del circuito maggiore, e nel 2006 a Los Angeles ha pure passato un turno, battendo Becker prima di strappare un set a Roddick. Sulle ali dell’entusiasmo ha vinto un paio di settimane dopo un Challenger a Binghamton, rimasto il suo unico titolo da ‘pro’. Nel 2009 ha vinto il World Team Tennis (la spettacolare Serie A americana) con i Washington Kastles, ricevendo il premio come miglior giocatore delle finali. Dopo un’esperienza da coach al college del Michigan, ora lavora a New York nel settore finanziario.
7. Pablo Andujar (Spagna)
Una promessa (parzialmente) mantenuta. Fra gli junior il ventinovenne di Cuenca trapiantato a Namur (Belgio) è stato numero 5, vincendo il Roland Garros di doppio in coppia col connazionale Marcel Granollers, fra i grandi numero 33, mentre ora è sul 66esimo gradino. Tuttavia, la sensazione è che il suo tennis valga una posizione più vicina al best ranking che alla classifica attuale. Ha iniziato a vincere a livello Challenger a vent’anni, ma ci ha messo qualche stagione per approdare in pianta stabile nel circuito maggiore, nel quale milita ininterrottamente ormai da quasi cinque stagioni. Nel tour ha giocato sei finali, vincendone tre: due volte a Casablanca (2011 e 2012) e lo scorso anno sulle Alpi di Gstaad, ma soprattutto vanta una semifinale al Masters 1000 di Madrid del 2013. Gli manca però un bel risultato nei tornei del Grande Slam: in ventitré apparizioni non ha mai superato il secondo turno.
6. Mischa Zverev (Germania)
Da juniores era una delle bestie nere di Fabio Fognini. L’ha battuto tre volte su tre, ma baratterebbe volentieri quelle tre vittorie (compresa una finale a Traralgon, nell’appuntamento pre Australian Open) col futuro di Fabio, capace di risultati migliori fra i grandi. E pensare che l’inizio del mancino di origini russe era stato promettente, sia per un tennis d’attacco che non si poteva non apprezzare, sia per qualche bagliore interessante, come il quarti di finale del 2009 al Foro Italico (partendo dalle qualificazioni) e la prima finale in carriera l’anno successivo a Metz. Ma il teutonico dagli occhi verdi non aveva fatto i conti con gli infortuni, tanti, un po’ dappertutto, che di l’hanno obbligato a rinunciare al proprio sogno. A sei anni dal best ranking di numero 45 non ha smesso di crederci, si è recentemente qualificato a Indian Wells e sembra che il fisico lo stia finalmente lasciando in pace, ma probabilmente è ormai troppo tardi. Poco male, appena deciderà di dire basta potrà dedicarsi a tempo pieno al fratellino Alex, già a ridosso dei top 100 a 17 anni. Sicuramente saprà insegnargli cosa non fare.
5. Sun-Yong Kim (Corea del Sud)
Semifinale allo Us Open, finale all’Australian Open (con titolo in doppio) e primo gradino della classifica mondiale under 18. Pur avendo iniziato a giocare a tennis solamente a dieci anni, tardissimo per intraprendere la carriera professionale, il sudcoreano Sun-Yong Kim pareva avere tutte le carte in regola. Invece, il canguro di peluche che vinse arrivando all’ultimo atto a Melbourne (battuto da Donald Young) è diventato il compagno di tante delusioni. Fino allo scorso anno Kim navigava ancora nei tornei Futures, talvolta senza passare nemmeno le qualificazioni, mentre nel 2015 non ha ancora messo piede in campo. Il suo best ranking alla posizione numero 660, datato 2006 (anno dell’unica finale Futures), lo colloca di diritto fra i peggiori numeri uno juniores della storia, in rapporto ai risultati ottenuti fra i professionisti. Del 27enne di Seoul si sa pochissimo, solo che ha disputato qualche match di Coppa Davis, e anche sul web è poco più che un fantasma. Digitando Sun-Yong Kim sul motore di ricerca Google, non esce nemmeno un articolo contenente il suo nome.
4. Woong-Sun Jun (Corea del Sud)
Gemello tennistico di Kim era il connazionale Woong-Sun Jun: stessa provenienza (Seoul) ma un anno in più. Anche per lui un inizio piuttosto tardivo (8 anni) ma una maturazione veloce, che lo portò a esordire a livello internazionale già sei stagioni più tardi. Una lunga trafila a livello juniores lo portò a vincere sulla terra del prestigioso appuntamento di Santa Croce, sfiorare la finale sull’erba di Roehampton dopo la sconfitta di misura contro Andy Murray e vincere un importante appuntamento sul cemento di Osaka, Giappone. Tre grandi risultati su tre superfici diverse: buon segno, anche se in futuro la versatilità gli è servita ben poco. Nel suo palmarès solamente due vittorie a livello Futures, entrambe in Giappone nel 2006, e un best ranking di numero 230 stabilito nel 2008. A differenza di Kim è riuscito almeno a tornare in tre occasioni a respirare l’aria dei tornei dello Slam, ma non è mai riuscito a superare le qualificazioni. Anche per lui qualche Futures sino al 2014, nessun segnale di vita nella stagione in corso.
3. Brendan Evans (Stati Uniti)
Con Donald Young che a piccoli passi sta finalmente ripagando un po’ della (troppa) fiducia ricevuta in passato, il poco ambito premio di ‘bidone’ del tennis statunitense rischia seriamente di finire nelle mani di Brendan Evans. Biondo, occhi azzurri, fisico statuario, già a sedici anni il ragazzone di Pontiac (Michigan) aveva fatto breccia nei cuori degli osservatori IMG e degli scout Nike. Era lui il leader di quella generazione d’oro, capace di piazzare sei giocatori fra i primi trenta del ranking under 18 di fine 2004, ma che ora se ne trova fra i top 100 appena due. Ed Evans non è fra loro. Sia chiaro: gli addetti ai lavori che puntarono su di lui non erano degli stupidi. Il suo tennis era veramente qualcosa di straordinario, ma saper solo colpire la palla non basta. Anzi, nel suo caso è bastato fino a 18 anni, consentendogli tanti piazzamenti in singolare e le numerose vittorie in doppio già citate nel capitolo Oudsema. Da ‘pro’ invece è stato massimo numero 117 nel 2009, prima di perdere le motivazioni a causa anche di ripetuti infortuni. Gli è andata meglio in futuro. Dopo la laurea all’università della Virginia ha svolto vari stage da analista finanziario, mentre al momento lavora come manager in una catena di resort statunitensi.
2. Eduardo Schwank (Argentina)
Un numero due un po’ falso, visto che i suoi risultati del 2004 arrivarono tutti in Sudamerica, con cinque vittorie e una finale in sei tornei. Tuttavia, il tennista di Rosario ha poi saputo costruirsi una buona carriera, che sarebbe potuta diventare ottima senza qualche infortunio di troppo. Nel 2010 raggiunse il terzo turno al Roland Garros battendo Carlos Moya all’esordio e spingendo un super esperto come Jacopo Lo Monaco a spendere grandi parole su di lui, nel suo vecchio blog Linea di Fondo. Con un tennis potente supportato da un buon fisico, pareva effettivamente poter combinare qualcosa in più di sette vittorie a livello Challenger. Invece quel risultato a Parigi (poi emulato due anni dopo) è rimasto il più importante, insieme al best ranking ottenuto di conseguenza, alla 48esima piazza della classifica. Ha combinato qualcosa di più in doppio, con una finale al Roland Garros e qualche vittoria in Coppa Davis, su tutte quella conquistata con David Nalbandian nella finale del 2011 contro la Spagna.
1. Gael Monfils (Francia)
L’unico ad aver toccato almeno i top ten. In quel 2004 fece faville, chiudendo l’anno con oltre il doppio dei punti del secondo, grazie alla tripletta nei Major e la vittoria nel Grado 1 di Roehampton. A impedirgli il Grand Slam juniores, riuscito solo da Stefan Edberg nel 1983, fu Viktor Troicki, che lo fermò al terzo turno allo Us Open. I galletti si fregavano le mani, sicuri di aver finalmente trovato un giocatore in grado di riportare uno Slam in Francia a oltre vent’anni dallo storica vittoria di Yannick Noah a Roland Garros, invece dovranno attendere ancora. Tuttavia, Monfils la sua gran bella carriera l’ha avuta e la sta avendo, e dopo l’extraterrestre Nadal (che da under 18 non ha mai giocato) è il più forte dell’annata 1986. Nel suo caso la classifica junior aveva ragione. Numero 7 del mondo nel 2011, a Parigi ha giocato una semifinale, mentre in giro per il mondo ha messo insieme 22 finali – ma solo 5 titoli – e soprattutto tante giocate pazze che l’hanno reso uno dei più funambolici di sempre. Il suo modo per emulare Noah, insomma, l’ha trovato. Ma non è quello che si auguravano in patria.
I PRIMI DIECI DEL RANKING ITF UNDER 18
1. Andrey Rublev (Russia) – 389 ATP
2. Orlando Luz (Brasile) – 960 ATP
3. Seong Chan Hong (Corea del Sud) – Senza ranking ATP
4. Taylor Fritz (Stati Uniti) – 803 ATP
5. Stefan Kozlov (Stati Uniti) – 417 ATP
6. Roman Safiullin (Russia) – 323 ATP
7. Michael Mmoh (Stati Uniti) – 655 ATP
8. Yungseong Chung (Corea del Sud) – 984 ATP
9. Duck Hee Lee (Corea del Sud) – 470 ATP
10. Akira Santillan (Giappone) – 1459 ATP
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