Contro la Repubblica Ceca non c’era niente da fare, ma il livello della nostra nazionale è chiaro: dobbiamo stare al confine tra la Serie A e i Gruppi Zonali. Sperando nei sorteggi…
Andreas Seppi e Corrado Barazzutti

Di Federico Ferrero (Articolo apparso su "L'Unità" del 13 febbraio 2012)

 
Rammaricarsi ha un senso quando si è persa un'occasione. L'Italia di Davis titolare di un diritto alla lamentazione tra furti arbitrali, sequestri di dirigenti e dispetti sconfinanti nella vessazione (come uno spogliatoio volutamente ghiacciato) fu quella del 1980, nella finale persa a Praga contro il ventenne Ivan Lendl, l'astuto e baffuto Smid e un'accoglienza scandalosa, da ultimo atto della guerra fredda. Trentadue anni dopo, di quei vecchi campioni ne resta in campo uno, è il capitano Barazzutti e stavolta non ha niente di cui scusarsi. Tomas Berdych è un giocatore semplicemente non alla portata dei tennisti italiani; l'arzillo Radek Rasoio Stepanek, se le condizioni sono veloci come quelle offerte dal tappeto in acrilico steso alla Cez Arena, può sfruttare il suo serve&volley e i tagli ormai rari come il panda. Fine della partita, con il singolare di Bolelli più lottato dello sperabile ma l'esito della sfida tra nazioni mai in bilico. La Repubblica Ceca ha offerto un'accoglienza amara al reintegrato Andreas Seppi, tornato ad avvertire senso patrio nell'anno olimpico (agli esperti non sfuggirà la coincidenza: per partecipare ai Giochi è necessaria la convocazione in nazionale); al giocatore delle promesse mancate, Simone Bolelli – illuminante la sua considerazione dopo il match-sparatoria con Berdych: «Do il meglio quando non ho niente da perdere», il motto dei mai vincenti); così al doppio Bracciali-Starace, che fa quanto può, e non è poco, ma nemmeno abbastanza.
 
Questa è l'Italia: una nazionale che vive sul confine, può valere un posto in serie A ma anche no, sperare in un weekend di grazia e di buon sorteggio ma, contro le più forti, è rassegnata a farsi dominare o abbandonarsi a un autoconsolatorio «siamo stati vicini a vincere due partite», come si è sentito dire ai margini di questa sfida. Come i quasi gol di Nicolò Carosio.  La squadra ha già ricevuto una notizia apparentemente inutile. Quella della débâcle svizzera in terra amica contro mezzi Stati Uniti – Fish, Isner e il Bryan destrorso, Mike, col gemello Bob assente per paternità. Pensare che i padroni di casa avevano recuperato Federer, l'uomo che in Davis non perde mai. O quasi mai, ché le statistiche della Coppa segnalano un'ultima sconfitta nell'anno 2003, al quinto set, contro Lleyton Hewitt. Re Roger sculacciato in Davis, in casa, per giunta sulla terra battuta, da un bomber spilungone come John Isner! Una scossa che ha smosso dalle viscere la nazione svizzera tutta. Per come è concepita la competizione per l'Insalatiera, i fatti di Friburgo sono rilevanti. Perché, prima ancora di chiederci se l'ex numero uno al mondo stia ricalcando il cammino verso la pensione di Sampras – vicino all'addio, Pete fu battuto in Davis sull'erba da un corridore spagnolo da terra, Corretja – sarà necessario rispolverare i tradizionali riti apotropaici all'italiana. Se andrà male, lo spareggio per restare in serie A lo giocheremo contro di lui: e allora, dopo dieci anni di rincorse al Gruppo Mondiale, l'Italia tornerebbe subito a guardare i grandi dal sotto in su. In «quasi serie A», insomma.