Chissà quali arie si sarebbe dato l’Homo Erectus, al pensiero che le sue movenze sarebbero ascese, un giorno, a motivo di culto! Chi avrebbe persuaso un bipede del Paleolitico che lottare, camminare, correre, lanciare, saltare, sarebbero divenute col tempo azioni meritevoli di medaglia? In fondo lo faceva solo per mangiare.
Una volta Sapiens, l’Homo iniziò a trovare il necessario sotto casa e i gesti ancestrali della sopravvivenza divennero presto superflui e a rischio estinzione. Almeno fin quando, qualcuno più Sapiens di altri, non pensò di riproporli in chiave ludica e renderli immortali: senza prede e con trofei in palio. Una svolta geniale che al grido di ‘Pace e Competizione’, nel 776 a.C. avrebbe fatto di Olimpia la culla dei primi Giochi sportivi e di tutti gli altri in terra di Grecia. Quando nel 393 Teodosio ne decretó la fine, l’evento godeva di grande fama nel mondo antico, alla semplice gara di corsa dell’ edizione iniziale si erano aggiunte altre discipline, pugilato, lotta, pentathlon, nonché concorsi di poesia ed eloquenza, tali da ribadire la bontà del binomio sport e cultura.
Sarebbe toccato alla Rivoluzione Francese rievocarne i contenuti varando, alla fine del XVIII secolo, l’«Olympiade de la Republique», un surrogato di quella originale realizzata per tre edizioni consecutive col fine ultimo di promuovere nel popolo un nuovo amor di patria.
Dopodiché un altro secolo silente, almeno fin quando uno studioso di storia e pedagogia non ne riesumò la versione autentica facendone un evento in grande stile.
Volto noto della dirigenza sportiva, con il bernoccolo della partecipazione piuttosto che della competizione, Charles Pierre de Frédy, barone de Coubertin, riuscì nell’intento di mettere insieme 13 nazioni per un totale di 700 atleti e dare così l’incipit alla prima edizione moderna dei Giochi. Correva l’anno 1896 e il grande ritorno non poteva che prendere corpo nella terra di Socrate.
Poi tutto liscio per una manciata di edizioni, incluso l’appuntamento parigino del 1924. Con i Giochi di Amsterdam, invece, qualche nodo iniziò col giungere al pettine nell’atto di recuperare lo spirito primordiale della manifestazione e mettere all’uscio discipline disbrigate con attrezzi poco avvezzi alla sopravvivenza e prive delle stimmate invocate dal dilettantismo puro. Tra queste, anche uno sport animato da un oggetto gommoso vagante per il campo, e malmenato a turno da malintenzionati in cerca di compenso. Pregiudizi venuti meno 44 anni dopo, quando qualche boss dei Giochi messicani del ’68 pensò di rintracciare in quel gioco di palla e racchetta, analogie con l’attività di ominide del tempo che fu, munito di clava e per questo entrato nell’immaginario collettivo come l’avo di tutti tennisti scesi in campo per amor di patria. Motivo sufficiente per tornare a farne una disciplina olimpica, seppure a titolo dimostrativo.
Bizzarrie, quelle del tennis olimpico, maturate già con la sua prima apparizione, allorquando anche i calendari ce l’avevano messa tutta per confondere le idee: il Gregoriano fissava il torneo tra l’8 e l’11 aprile del 1896, quello Giuliano lo riportava tra il 27 e il 30 di marzo dello stesso anno.
Un segno del destino, giunto al suo epilogo con la definitiva riconciliazione ai giochi coreani dell’88. Da allora é amore vero e in questa 34ma edizione, nella Ville Lumiere, il torneo avrà luogo sulle sacre sabbie del Roland Garros. A scorrere l’albo d’oro balza agli occhi che solo da Atlanta in poi si è fatto sul serio in tema di partecipazione, e che solo di lí in poi grandi nomi hanno onorato il blasonato appuntamento sportivo prima che tennistico. Da Agassi a Nadal, da Murray a Zverev, il podio é salito di livello, così come prezioso è il medagliere femminile grazie agli ori delle Williams, della Henin, della Graf e di molte altre. Quest’anno nondimeno é prevista la partecipazione di tutti i migliori della classe e il duello sarà anche tra giovani rampanti e campioni al crepuscolo.
E noi? Chi si occuperà del nostro tennis a cinque cerchi ? Cent’anni fa, in questa stessa città e per lo stesso evento, Uberto De Morpurgo faceva suo il bronzo. Molto è cambiato e se tutto si evolve, anche la valanga azzurra dei giorni nostri può puntare con ragionevole ottimismo alla zona medaglia. Jannik Sinner e Jasmine Paolini sono ormai singolaristi da tornei Slam, così come i doppi dell’uno e l’altro genere non nutrono sudditanze al mondo.
Il resto di questa terza Olimpiade in terra di Francia passa per un momento turbolento del Paese transalpino. In cambio, porta in dote ai parigini acque più limpide dell’amata Senna. A dirlo è il tuffo della prima cittadina e le gare di nuoto previste nel suo alveo dal programma olimpico.
Ma i Giochi devono ambire anche ad altro, a mandare messaggi trasversali e comprensibili a tutti perché forieri di pace. Nell’ epoca classica si fermavano le guerre per consentire allo sport di fare il suo olimpico mestiere. Oggi avviene il contrario, e mentre una parte del pianeta nobilita il gesto primordiale con eventi sportivi sofisticati, talora opulenti, l’altra metà è ancora alle prese con le necessità dell’Homo Erectus, e la sua Olimpiade se la gioca tutti i giorni, lottando per qualcosa da mangiare e un po’ d’acqua da bere.