IL MATCH MIGLIORE NELLE CONDIZIONI PEGGIORI
In sintesi, la Muguruza ha capito che sì, servizio e diritto viaggiano a velocità da Williams, ma a volte i colpi interlocutori e le variazioni sono una buona soluzione, specialmente in un tennis femminile sempre più omogeneo. La statunitense ha messo in pratica a tempo di record le dritte di Hogstedt e si è regalata la terza finale in carriera, dopo quelle a Eastbourne 2014 e Charleston 2015, entrambe contro Angelique Kerber: la prima vinta, la seconda persa. Nel primo set, interrotto prima sul 3-2 per una ventina di minuti e poi per altro paio sul 4-3, è scappata per prima avanti di un break, ma si è subito lasciata riprendere ed è finita al tie-break nonostante qualche occasione in più, però l’ha vinto alla grande, con un paio di rovesci da lustrarsi gli occhi. Il primo per salire 6-4, con un passante lungolinea su un attacco della rivale nell’angolo sbagliato, il secondo per chiudere 7-5, con un’altra bomba nello stesso posto. E nel secondo non ha regalato una virgola, sul 3-3 ha raccolto il 30-40 grazie a un altro doppio fallo della Muguruza e si è presa il break decisivo, prima dell’ultimo brivido. Sul 5-4 30-15 ha dovuto fermarsi altri cinque minuti per la pioggia, e al rientro si è vista annullare il primo match-point da un fortunoso nastro vincente, ma non ha battuto ciglio. Servizio al centro, risposta in rete della Muguruza e finale all’Italian Open (come lo chiamano negli States), per provare a rilanciare una stagione sin poco interessante, con soli sei tornei giocati (Roma compreso) a causa di un fastidio al gomito. Le sue qualità non sono mai state in discussione, nemmeno quando la scorsa settimana ha perso a Madrid dalla rumena Tig, fuori dalle prime 100 del mondo. Come l’ha presa? Ha detto di essersi comunque sentita bene in campo. I presenti hanno storto il naso, invece aveva ragione lei. E ora che alle bombe ha abbinato un pizzico di tattica (e difesa) ecco il risultatone. C’è da scommettere che non sarà l’ultimo.
SECONDA FINALE TUTTA “USA” NELL’ERA OPEN
A separarla da un successo che avrebbe dell’incredibile, la Keys troverà domani la numero uno del mondo Serena Williams, in quella che a Roma – dopo la finale tutta italiana allo Us Open – diventerà la seconda finale tutta statunitense nell’Era Open, la terza in assoluto. Era già successo nel 1953, quando vinse Doris Hart su Shirley Fry, e poi nel ’70, anno dell’unico titolo agli Internazionali di Billie Jean King, che la spuntò su Lucie Heldman. Contro Irina-Camelia Begu, Serena è passata per 6-4 6-1, scherzando col fuoco in un primo set bruttino (con quattro break di fila dal 2-1 al 4-3, prima di quello decisivo sul 5-4) e andando immediatamente sotto anche nel secondo, salvo poi decidere che con le difficoltà poteva bastare così. Da quel momento ha mollato un body language non proprio impeccabile, forse a causa di un paio di poco gradite interruzioni per pioggia, si è concentrata al massimo e ha vinto sei game consecutivi senza particolari problemi, centrando la sua quarta finale al Foro Italico, dopo quelle (vinte) nel 2002 e nel biennio 2013-2014. Domani alle 14, pioggia permettendo, si troverà di fronte un’avversaria che non ha paura a fare a pugni da fondo campo, e probabilmente non ne soffrirà nemmeno troppo l’ego, nonostante i 14 anni di differenza. Serena resta favorita, specialmente se dovesse giocare ai livelli di venerdì sera, un po’ meno se faticherà a prendere confidenza col suo tennis come avvenuto oggi. Ma questa Keys ha ancora molto da dare.
WTA PREMIER ROMA – Semifinali
Madison Keys (USA) b. Garbine Muguruza (ESP) 7-6 6-4
Serena Williams (USA) b. Irina-Camelia Begu (ROU) 6-4 6-1
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