Davydenko sta giocando un grande torneo a Nizza, ma non ha le idee chiare sul futuro. La sua visione del mondo è molto più lucida. “Si dicono tante stupidaggini”.
Nikolay Davydenko ha vinto 21 tornei ATP, tra cui il Masters 2009
Di Riccardo Bisti – 25 maggio 2012
Stavamo per considerarlo un ex. Con l’aumento del prezzo della benzina, il serbatoio di Nikolay Davydenko sembrava svuotato. Inesorabilmente, definitivamente. Invece si è svegliato proprio alla vigilia del Roland Garros, un po’ come la nostra Francesca Schiavone. Il Roland Garros, in fondo, è lo Slam che più di tutti è andato vicino a vincere. Nel 2005 perse una drammatica semifinale contro Mariano Puerta, che poi sarebbe risultato positivo all’antidoping. Quel Davydenko avrebbe potuto dire la sua, in finale, contro un Nadal 19enne. Oggi è in semifinale a Nizza dopo la bella vittoria contro John Isner, e si giocherà l’accesso al match clou contro il miracolato Brian Baker. Nei giorni scorsi, Davydenko è stato intervistato da Jorge Viale, collaboratore di ESPN e titolare del blog “Fue Buena”. Viale gira il mondo, è una penna arguta e sensibile. Vale sempre la pena leggerlo. Così come vale la pena rileggere le parole di un’intervista molto interessante. Davydenko non ha nessuna voglia di tornare a giocare i tornei minori. “Non voglio giocare le qualificazioni o i challenger. Una volta che ci finisci è impossibile tornare su. Quando il mio ranking sarà sceso, allora sarà il momento di ritirarsi. Per adesso posso solo dire che giocherò per tutto il 2012”. Davydenko è nato in Ucraina ed è cresciuto in Germania prima di diventare il numero 3 più paradossale della storia. Vinceva il Masters, ma nessuna azienda era disposta a investire su di lui. Vittima della società dell’immagine. Secondo Viale, Davydenko non ama parlare con i giornalisti, ma poi diventa un ottimo interlocutore se si toccano argomenti di suo interesse. Gli è andata bene: dal tennis sono passati alla guerra e ai disastri della stampa.
“Oggi il tennis non è la mia prorità numero 1 – attacca – viene al secondo posto, dopo la mia famiglia”. La famiglia Davydenko si è ingrandita con l’arrivo di Ekaterina. “Non vedo l’ora di tornare a casa per stare un po’ con lei. Dopo Parigi mi fermo, non giocherò tornei sull’erba prima di Wimbledon. In verità non ho bisogno di molto di più che una famiglia per essere felice. Mi piace quello che faccio, la mia vita è quasi perfetta. Nella mia carriera ho fatto quello che dovevo. Adesso devo giocare meglio per salire in classifica, se non ce la farò sarà il momento di dire addio”. La fama non gli interessa. A suo dire è una finzione creata dalla stampa e dalle televisioni. “Non mi piace andare in TV a parlare di me. Se mi richiedono va bene, ma la cosa non mi esalta. Non sono totalmente chiuso, ma nemmeno aperto”. Tra i suoi 21 titoli ATP spiccano tre successi a Mosca. “Per i russi è il torneo più difficile. Vincere lì è diverso, c’è tanto pubblico che ti vede sia dal vivo che in televisione. Non mi interessa essere famoso in tutto il mondo, però vorrei che in Russia si sappia chi è Davydenko. E vincere 3 volte a Mosca è stato molto importante”. A Mosca può camminare tranquillamente per la strada. Capita che gli chiedano una foto, ma finisce lì. “Ho una vita normale, niente di folle come Nadal”. Se però gli chiedi di dare un parere sui più forti del mondo, si chiude nuovamente in se stesso. “Non voglio parlare di loro, non mi interessa. Li ho battuti tutti e tre, come quasi tutti i top 10. Sono persone normali, non certo animali. Non mi interessa sapere chi chiuderà l’anno al numero 1 del mondo”.
Come buona parte dei tennisti, Davydenko non guarda molte partite. Preferisce l’hockey su ghiaccio e il calcio. Quest’anno potrà fare il tifo per l’Ucraina agli Europei di calcio. E non ha nemmeno troppe amicizie. “Ognuno ha il suo team: allenatore, fisioterapista, famiglia…è difficile approfondire le conoscenze. Forse una cena. Vado d’accordo con gli altri russi: Andreev, Kunitsyn e Tursunov. Capita di trovarci a Mosca, ma non ci telefoniamo tutti i giorni”. Davydenko ha giocato il suo primo torneo nel 1999. “Il mondo è cambiato, ma il tennis non tanto. Ci sono sempre le stesse persone. Sono cambiate le palle, i tornei, sono nate nuove superfici, ma quelli che bazzicano l’ambiente sono sempre gli stessi”. Quello che è cambiato davvero è il mondo. Crisi economiche, guerre, terrorismo…”I tennisti viaggiano molto. Vediamo come va il mondo, ci rendiamo conto di quello che succede. A volte la stampa scrive stupidaggini e noi ridiamo, non possiamo credere che possa esserci così tanta ignoranza”. L’allusione è a un vecchio servizio della BBC, in cui si parlava dell’Iran, ma nella cartina il paese appariva…in Africa. “Come si può essere così ignoranti su geografia tante elementare? Una volta, nella TV americana, parlavano di un litigio nel parlamento russo, ma in realtà era quello greco. Dicevano che la Russia è in guerra con la Georgia, ma noi ci difendevamo e basta. Vengono raccontate un sacco di bugie”. Per sua fortuna c’è internet, strumento di informazione che utilizza ogni mattina. “Mi piace vedere come cambia il mondo. E amo leggere le opinioni di tutti”. Ma nel suo futuro non c’è un ruolo in politica come accaduto a Marat Safin. “Forse farò l’allenatore, ma dopo il mio ritiro mi prenderò un po’ di tempo. Voglio essere felice di quello che faccio”. Il tempo di “Kolya” è scaduto. La grande occasione l’ha avuta a cavallo tra il 2009 e il 2010. Dopo la vittoria al Masters, poteva vincere l’Australian Open ma si incagliò sul più bello contro Federer. Era un’occasione da “ora o mai più”. Lo sapeva, non è andata…pazienza. Con 15 milioni di dollari in tasca, avrà comunque una pensione felice.
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