di Federico Mariani – foto Getty Images
Quando la penna di Mogol creava una delle frasi iconiche per e della musica di Lucio Battisti certamente non si riferiva al tennis, né tantomeno a Mardy Fish. La carriera del trentatreenne da Edina, Minnesota, può tuttavia rispecchiarsi in quel meraviglioso passaggio di “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi…”.
La vita agonistica di Fish è, infatti, un susseguirsi di alti e bassi, di cadute e di fiammate, di discese ardite e di risalite. L’ultima volta che il circuito professionistico ha visto all’opera il talento di Mardy risale a Winston Salem 2013, una vita fa. Dopo una serie di infortuni da nuvola di Fantozzi, Fish ad inizio 2012 si imbatte in un altro guaio, molto più serio dei precedenti. Gli viene, infatti, diagnosticata una pericolosa aritmia cardiaca che, di fatto, stoppa la fase della maturità tennistica, proprio quando stava esprimendo il suo miglior tennis. Finisce per la quarta volta sotto i fastidiosi ferri del chirurgo che gli impianta un catetere cardiaco. In un attimo le due operazioni al polso sinistro nel 2005, l’infortunio alla costola e quello al ginocchio sinistro nel 2009 sembrano solo piccoli fastidi rispetto alla dura realtà attuale.
Il 2011 resta l’ultimo anno “vero” di Fish, il migliore della carriera. Il talento americano vince Atlanta, perde in finale all’Open del Canada in tre set da Djokovic, raggiunge i migliori risultati della carriera al Roland Garros ed a Wimbledon e, soprattutto, approda per la prima volta tra gli otto maestri delle Atp Finals con tanto di best ranking raggiunto (numero 7). L’anno seguente, però, la situazione cambia drasticamente: poche partite, appena 32 con 21 successi. Raggiunge gli ottavi di finale a Wimbledon, i quarti sia all’Open del Canada che a Cincinnati, e gli ottavi a New York dove, però, non scende in campo. Torna l’anno dopo proprio ad Indian Wells, dove coglie una delle quattro vittorie dell’anno. E’ una stagione sostanzialmente non giocata, cominciata a marzo e terminata ad agosto senza disputare neanche una prova dello Slam. E’ l’inizio di quella che potrebbe essere la sua fine. All’apprensione per il cuore si aggiunge uno stato d’ansietà che si fa pericolosamente sempre più costante, fino a sfociare in frequenti attacchi di panico.
L’amore della moglie, il golf e l’impegno costante con la sua fondazione lo tengono “vivo”, ma il tennis è ancora parte integrante se non della sua vita, della sua mente. Vuole tornare e si vocifera di una wild card pronta per lui e l’amico Andy Roddick, che lo ospitò nella sua famiglia quindici anni prima a Boca Raton, per il torneo di doppio agli Us Open, ma niente da fare. E’, invece, cronaca recente del rientro ufficiale questa notte a Indian Wells (dove è stato sconfitto solo al tie-break decisivo dal connazionale Ryan Harrison), grazie ad una wild card francamente impossibile da negargli.
Riparte dalla California Mardy, quella California che ha preferito al freddo stato del Minnesota per vivere, anche se il deserto di Indian Wells è profondamente diverso dalla glamour Los Angeles dove abita. Riparte ancora Mardy per riavvolgere il nastro di una carriera terribilmente simile alle montagne russe. Riparte Mardy perché senza tennis non sa stare, perché in fondo c’è un buco che solo una racchetta ed una pallina possono colmare. Riparte per l’ennesima risalita dopo la discesa ardita.