Un po’ come Caravaggio faceva con luci e ombre, Jannik usa il ‘buio’ delle pause per riordinare i pensieri e presentarsi pronto all’azione dello scambio successivo. A Miami il suo tennis ragionato sta incantando, e forse non è finita qui…
Non è dato sapere, ma a occhio e croce Jannik Sinner potrebbe avere un debole per Caravaggio. Così non fosse, consiglierei all’altoatesino di frequentarne l’arte per riflettersi in alcuni elementi simbolici che riflettono il gusto sottile per quel suo tennis misurato che ci rende tutti felicemente partecipi. Tanto per dire che del grande Maestro non si apprezzerebbe abbastanza la luce se non ci fosse un uso magistrale delle ombre. Le membra volutamente scarne di san Girolamo sarebbero meno scarne senza il nero che gli fa da sfondo così come la luminosa Giuditta sarebbe meno luminosa senza il fondale scuro contro il quale recide la testa all’odiato Oloferne. Un breve pistolotto per dire che non sempre quel che appare è preponderante. Al contrario, ciò che arriva all’occhio è spesso il risultato di qualcosa destinato all’anonimato ma non per questo meno importante. Vale per l’arte figurativa come per lo sport.
E il tennis incantevole del ragazzo atesino è la dimostrazione vivente che i match si snocciolano alla luce dei colpi ma si vincono all’ombra delle pause. Si realizzano in quei 25 secondi che intercorrono tra un punto e l’altro o nel minuto abbondante che scandisce i cambi di campo. Attimi che difficilmente balzano agli occhi del grande pubblico ma che sono vitali per il ripristino del controllo emotivo con l’azzeramento di quanto accaduto e la lucida visione di quanto accadrà. C’è sempre un punto da giocare e questa cruda realtà va affrontata a viso aperto dopo che il lavoro oscuro delle pause spingono i giocatori a illuminazioni tecnico-tattiche ricche di contenuto.
A definire Sinner come frutto di un’espressione puramente tecnica non si renderebbe giustizia a un rendimento che, dai oggi dai domani, sta raggiungendo uno standard di altissimo livello. L’italiano che viene dal freddo, usa le pause come il Merisi pone le ombre sulle sue tele. Lo fa senza lasciarsi andare a espressioni somatiche troppo marcate così da non concedere appigli a chi voglia capire cosa vada frullando nella sua giovane cabina di regia. L’importante per lui, è tornare tra le righe con le idee chiare per cogliere l’attimo e portare a casa il punto, tutto il resto è fuffa!
Nel primo Masters 1000 dell’anno, il ragazzo di San Candido sta pittando un olio su tela di indubbia bellezza in cui luci e ombre sanno alternarsi in tratti da grande pittore tenendo in un sottofondo nerastro nomi di spicco come Gaston, Khachanov, Ruusuvuori battuti via via con la giudiziosa gestione di un gioco che si muove a suo agio tra il chiaro e lo scuro. Fino al Bublik di ieri sera, dominato per via di un lucido pensiero tattico che ha fatto la differenza nel tie break della prima frazione. Il kazako ha talento da vendere ma ama muoversi tra soluzioni bizzarre che difficilmente sono precedute da un ragionamento fatto a gioco fermo. Troppo poco, dunque, per chi, come Sinner, fa del tennis un’arte ragionata e istintiva allo stesso tempo che sfrutta il miracolo della luce con giocate architettate nell’oscurità di silenti valutazioni.
Una pennellata qua, un’altra là, il ragazzo delle nevi ci ha regalato una semifinale che vale oro, carpita sui campi del meraviglioso Hard Rock Stadium di Miami Gardens. E chissà che spaziando sapientemente tra luci e ombre la questione non finisca quà!