L’Atp e Pif, il fondo statale di Riad, hanno stretto un accordo che prevede un impegno saudita come title sponsor della classifica, in alcuni tornei e nelle Atp Finals. Una mossa che segue quelle pesanti già compiute nel calcio e nel golf. C’è chi spera in una apertura e chi teme la colonizzazione
Torino riuscirà a “tenere” le Finals?
Se non puoi batterli, unisciti a loro. Il vecchio proverbio sembra valere anche per il tennis, che da qualche tempo è entrato nel mirino delle ambizioni dell’Arabia Saudita.
L’Atp e Pif, il fondo pubblico per gli investimenti dell’Arabia Saudita, hanno infatti annunciato ieri una «partnership strategica pluriennale» che prevede la sponsorizzazione della classifica mondiale – che prenderà il nome del Pif – e un «impegno», per ora fino al 2027, nei tornei di Indian Wells, Miami e Pechino, oltre che nelle Atp Finals, che a settembre saranno ospitate per la quarta volta (su cinque che prevede l’attuale contratto) a Torino.
«La nostra partnership strategica con PIF segna un momento importante per il tennis», dice Massimo Calvelli, Ceo dell’Atp. «Si tratta di un impegno condiviso per dare impulso al futuro di questo sport. Con la dedizione di PIF alle nuove generazioni – promuovendo l’innovazione e creando opportunità per tutti – il palcoscenico è pronto per un nuovo periodo di progresso trasformativo».
Le modalità e l’ammontare economico dell’impegno nei tornei non sono specificati, ma è inevitabile, soprattutto per quanto riguarda le Atp Finals, chiedersi se l’estensione di tre o cinque anni del contratto ‘torinese’, voluta dal Presidente Fitp Binaghi e appoggiata dal governo per voce del ministro dello sport Andrea Abodi, non sia ora in qualche modo a rischio. A Doha il direttore del torneo Karim Alami ha spiegato a Il Tennis Italiano che le Finals erano già state offerte anni fa al Qatar, «ma che per il paese lo sport è un investimento a lungo termine, e quindi non è interessato ad un evento itinerante come le Finals. L’Arabia saudita la penserà nello stesso modo? Di certo c’è che negli ultimi due anni l’attivismo saudita è stato evidentissimo.
Come è noto dall’anno scorso le Atp Next Gen Finals si svolgono a Gedda, ed è recente la nomina dell’ex numero 1 del mondo, Rafa Nadal, ad ambasciatore dello sport saudita. Riad non fa mistero di volere un ‘Masters 1000’, tanto che il Qatar, il primo paese dell’area a ospitare un evento tennistico professionistico, ha già chiesto l’upgrade da ‘250’ a ‘500’ per puntare anch’esso ad un 1000 nel prossimo futuro, e Parigi-Bercy dal 2025 si trasferirà alla Defense Arena (40 mila spettatori di capienza) per adeguarsi ai nuovi standard ed evitare una ‘retrocessione’. Nelle scorse settimane si era parlato anche di un progetto di ‘superlega’ tennistica promosso da Tennis Australia per contrastare l’arrembaggio arabo, ma al momento non sono stati annunciati passi in avanti. L’Atp nel frattempo sembra aver scelto la strada dell’alleanza strategica con Riad, anche se a ottobre – quindi nel pieno della stagione autunnale e in concorrenza con i tornei ufficiali – l’Arabia saudita organizzerà una mega esibizione pomposamente denominata «The Six King Slam» (lo Slam dei Sei re) ricoprendo d’oro Novak Djokovic, Rafa Nadal, Carlos Alcaraz, Jannik Sinner, Daniil Medvedev e Holger Rune, i migliori tennisti del momento. Secondo il Daily Telegraph si parla di un milione e mezzo di dollari di solo ingaggio e di sei per il vincitore. Tanto per intendersi: più di quanto ha guadagnato Djokovic nel 2023 vincendo Wimbledon e gli Us Open.
Non solo tennis: una strategia che include motori, calcio, golf…
Il tennis non è certo l’unico sport nel mirino saudita, piuttosto si inquadra in una strategia già chiara che si sta allargando rapidamente a macchia di (petr)olio. Il regime del principe Salman, presidente fra l’altro della Federazione automobilistica saudita, ospita già un Gran Premio di Formula 1 (e ne vuole altri due), uno di Moto Gp e la Parigi Dakar. Nel calcio si è aggiudicato i Mondiali del 2034 e nel frattempo ha ospitato la supercoppa italiana e spagnola, ha fatto shopping nella Premier League inglese acquistando il Newcastle United, e riccamente deportato nella RSL (Roshn Saudi League) una legione di campioni come Ronaldo, Benzema e Neymar (Mbappè avrebbe rifiutato un «invito» da 700 milioni di dollari). Nel golf poi ha provocato una scissione epocale, creando dal nulla nel 2021 la LIV, un circuito parallelo e concorrente a quello PGA, capace di offrire 500 milioni di euro per tre anni al fuoriclasse basco-americano Jon Rahm. Discorsi simili valgono per la boxe e il padel, ma i sauditi non trascurano nemmeno lo sci (adattato al deserto per i Giochi Asiatici) e il cricket.
Il tennis, dopo il calcio, oggi è però lo sport più globalizzato e affascinante, ideale dunque per una operazione di sportwashing, cioè di ‘lavaggio’ attraverso lo sport di una immagine sporcata dallo scarso rispetto per i diritti civili.
Per il momento nel tennis a opporsi all’arrembaggio economico dei sauditi sono state le donne. Riad avrebbe voluto annettersi anche le Wta Finals, ma le due antiche pasionarie Chris Evert e Martina Navratilova, oltre a molte più giovani colleghe, hanno invocato i tanti diritti negati alle donne in Arabia Saudita, facendo (temporaneamente) naufragare un progetto che peraltro trova un sostegno in altre tenniste, come la tunisina Ons Jabeur. La metà maschile del tennis pare già felicemente rassegnata. Un po’ nella speranza – lecita – che l’apertura saudita possa in futuro migliorare la situazione sociale nel paese, con un riflesso positivo anche sulla questione dei diritti civili. E molto in previsione dei capitali che si riverseranno sul circuito, nei montepremi dei tornei e di conseguenza nelle tasche dei tennisti.
«Attraverso la nostra collaborazione con l’Atp, Pif sarà un catalizzatore per la crescita del panorama tennistico globale, sviluppando talenti, promuovendo l’inclusività e guidando l’innovazione sostenibile», sostiene Mohamed AlSayyad, responsabile del Corporate Brand di Pif. «Questa partnership strategica si allinea con la nostra visione più ampia di migliorare la qualità della vita e guidare la trasformazione dello sport sia in Arabia Saudita che in tutto il mondo».