Il circuito WTA consente agli allenatori di scendere in campo e dare consigli. A volte è spettacolo: abbiamo ascoltato parolacce e visto crisi isteriche. E tra gli uomini?
Le ultime novità del tennis femminile: hawk-eye e il coaching in campo
TennisBest – 26 febbraio 2014
Qualche giorno fa, Dmitry Tursunov ha parlato di un possibile ritorno del “coaching” nel circuito ATP. Tra le donne è prassi, ma non tutti sanno che furono gli uomini a sperimentarlo nel 1998. L’immagine-simbolo fu Brad Gilbert, gambe incrociate, prodigo di consigli per Andre Agassi. Ma durò poco. In effetti, il tennis nasce come sport individuale. Se escludiamo la Coppa Davis, dove la figura del capitano è un’istituzione, uno degli aspetti più affascinanti è la necessità di cavarsela da soli. Il tennista vive mille problematiche durante la partita, e deve risolverle senza aiuti esterni. La pensano così Roger Federer e Serena Williams. Lo svizzero non ha mai chiesto “empatia” al suo angolo, anche se durante l’Australian Open ha ammesso di aver provato una certa emozione nel vedere Stefan Edberg nel box. Serena è ancora più estremista: per quanto Patrick Mouratoglu (coach-fidanzato, anche se gli ultimi tweet di Serena alimentano qualche dubbio sullo status) ami apparire, non l'ha mai consultato durante le partite. Già, perchè tra le donne la pratica è stata introdotta nel 2009 e ha avuto un certo successo. Se diamo un’occhiata alle regole della WTA, scopriamo che prima di ogni match trasmesso in TV il coach deve farsi “microfonare” per poi offrire in mondovisione i suoi consigli. L’intervento è consentito una volta per set, più quando l’avversaria esce dal campo. La WTA ha introdotto la norma per accrescere l’appeal del tennis femminile, e tutto sommato ci ha preso. Ascoltare la voce dei coach (quando non parlano lingue incomprensibili) è molto interessante, anche se difficilmente svelano chissà quali segreti. Però ci sono già stati diversi momenti-cult. L’ultimo risale alla finale di Dubai, quando Alize Cornet è scoppiata a piangere durante un cambio di campo, davanti a coach Pierre Cherret. “Non posso, non ce la faccio, non ce la faccio più – ha detto tra le lacrime – non sono lucida, è successo tutto quello che temevo: errori, doppi falli”.
Ma non c’è soltanto la Cornet. In cinque anni, abbiamo assistito alle situazioni più disparate. Alcuni coach usano la carota, altri optano per il bastone. C’è poi chi si dimentica di avere un microfono. E’ successo un paio d’anni fa durante il torneo di Tokyo, quando Nadia Petrova ha chiesto l’intervento di coach Ricardo Sanchez mentre affrontava Samantha Stosur. Al di là di qualche consiglio non memorabile, ha definito l’avversaria una “f…. p….”. Solo dopo aver pronunciato l’oscenità, si è reso conto di essere in diretta. Sia lui che Nadia se la sono cavata con un sorriso. Di certo gli ha portato bene, visto che poi la russa avrebbe vinto il torneo.
Per accedere al coaching, tuttavia, non è necessario essere l'allenatore ufficiale. La giocatrice sceglie chi vuole. E allora capita di vedere coach improvvisate, come alcune giocatrici. Durante un vecchio torneo di Linz, Flavia Pennetta ha chiesto l’ausilio di Gisela Dulko, sua ex compagna di doppio. E l’argentina le ha fatto presente che giocava troppo lontana dalla linea di fondo, senza dare la giusta profondità ai colpi. “Flavia, hai perso l’iniziativa, ma la partita si può ancora rimettere in sesto”. Come vedete nel video qui sotto, i telecronisti francesi non erano ancora abituati alla prassi, tanto da concedersi fragorose risate per la scena.
Chi conosce il rapporto tra Sara Errani e Roberta Vinci non è certamente rimasto sorpreso durante il recente torneo di Parigi, in cui la tarantina è scesa in campo durante la semifinale. La Vinci, sinceramente preoccupata per l’amica, le consigliava di uscire dalla ragnatela del palleggio rovescio contro rovescio, cambiando la direzione con il lungolinea oppure cercare il dritto. “Sei stanca? Allora accorcia gli scambi e spingi!”. Frasi pronunciate con decisione, ma anche con dolcezza, visto che spesso Roberta si è trovata a polemizzare con Francesco Cinà quando lo chiama in causa. E così ha preferito usare la carota.
Tra gli uomini, il coaching è considerato un'infrazione. Tuttavia, capita spesso che i giocatori interagiscano con gli allenatori. Si è creata una sorta di zona grigia, tollerata, in cui qualche parolina non viene sanzionata. Il warning viene comminato soltanto nei casi più eclatanti. In una vecchia intervista, Toni Nadal ha candidamente ammesso di fare spesso coaching con il nipote. Un coach ci ha confidato che nei tornei minori capita che qualche allenatore si metta d’accordo con il giudice di sedia. Funziona più o meno così: “Tu mettiti nella tribuna dietro il seggiolone, così io non ti vedo e non posso dare alcun warning”. Alla luce di tutto questo, ci si domanda che senso abbia mantenere queste regole. Tutto sommato, se c’è questa (piccola) illegalità tollerata, forse potrebbe essere un’idea portare il coaching anche in campo maschile, sebbene Josè Perlas (coach di Fabio Fognini) sa già che non direbbe mai, davanti alle telecamere, tutto quello che gli passa per la testa. “A quel punto sarebbe meglio consentire al giocatore di scendere negli spogliatoi e parlare con il giocatore a fine set, lontano da orecchie indiscrete”. Giusto, ma se l’obiettivo è lo spettacolo…
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