Incredibile ma vero: esiste anche il tennis per ciechi. L'associazione mondiale ha sede in Giappone, in Argentina c'è una scuola molto numerosa. Il campo è come quello del badminton e ci sono alcuni accorgimenti particolari.

Di Riccardo Bisti – 3 dicembre 2014

 

Felipe Angiono era accompagnato da due donne, non ha salutato nessuno e ha detto. “E' qui che giocano a tennis i ciechi?”. Dopo la risposta affermativa, ha detto: “Bene, ho trovato il mio posto”. Lui è un bambino di 9 anni, cieco dalla nascita ma grande appassionato di tennis. Talmente appassionato da voler giocare nonostante un handicap impressionante. Ma qualcuno aveva già pensato a quelli come lui. L'organo centrale di trova in Giappone e ci sono 10 paesi affiliati. Ad assistere all'arrivo di Felipe c'era persino Associated Press, che ha documentato la giornata anche con suggestive immagini. Accanto a lui c'erano mamma Maria Laura e la nonna Mercedes. Ma quando ha iniziato a sentirsi a suo agio, le ha lasciate e ha accarezzato il volto di alcuni insegnanti e di quelli che sarebbero diventati i suoi compagni di corso. Per i non vedenti, il tatto è il senso più importante per conoscersi e riconoscersi. “Sono cieco dalla nascita, ma adesso inizierò a giocare a tennis – ha raccontato il piccolo Felipe – spero di diventare il migliore, vorrei essere come Juan Martin Del Potro”. Ha scoperto il tennis tramite l'udito, mentre papà Marcelo stava guardando una partita in TV. “Mi è piaciuto molto il rumore della pallina, questo 'tic tac', poi anche il grido dei giocatori quando colpiscono”. Quando viene trasmesso il tennis, lui si mette il più vicino possibile alla TV per ascoltare al meglio, mentre il padre gli racconta le giocate. Il suo primo compito è stato quello di prendere confidenza con il campo, più piccolo rispetto a quello regolamentare. E' lungo 12,80 metri e largo 6,40, come un campo di Badminton. La rete è un po' più bassa rispetto a quella tradizionale. Le linee sono tracciate con un corda spessa 3 millimetri, attaccata al pavimento tramite un nastro, il che permette ai giocatori di riconoscerla al tatto, con la racchetta o con i piedi.


LA MAMMA DI DUE BAMBINI CIECHI

Su un altro campo c'è Ludmila Mina, ragazzina di 15 anni con quattro mesi di esperienza. Sta provando il servizio con una racchetta ben più piccola rispetto a quelle tradizionali. La pallina ha un diametro di nove centimetri, è di gommapiuma e al suo interno c'è una pallina da ping pong con palline di piombo che generano un rumore più acuto al momento dell'impatto. “Non mi capacitavo di come una persona cieca come me potesse giocare a tennis” dice Ludmila, che un paio d'anni fa aveva già avuto il suo momento di gloria: ha vinto il premio come miglior cantante in un popolare programma televisivo. “Invece si può. Amo il tennis e continuerò a giocare fino a quando sarò la migliore”. Ovviamente la cosa più complicata è colpire la palla, anche se ci sono delle facilitazioni importanti: si può colpire dopo tre rimbalzi (due per quelli che non sono ciechi totali). Il senso più importante è l'udito: il giocatore “vede” la pallina nel momento in cui la sente. Il tennis per non vedenti è nato una trentina d'anni fa in Giappone, dove c'è la International Blind Tennis Association, cui si sono affiliati dieci paesi. L'obiettivo dell'associazione è far si che la disciplina diventi specialità paraolimpica. In Argentina è nato tutto grazie all'impegno di Eduardo Rafetto, maestro di tennis “tradizionale”. “Uscendo dal mio club, sono stato avvicinato da una mamma con due bambine cieche di 6 e 8 anni. Mi chiese come potevano fare per giocare a tennis. Allora ho cercato qualcosa su internet, ho scoperto la realtà giapponese, mi sono messo in contatto con loro ed è nato il tutto”.


"ACCIDENTI, NON L'HO VISTA"

Sotto la guida di Rafetto e altri istruttori, a scuola ospita 20 alunni di età compresa tra i 7 e i 60 anni. Naturalmente è tutto gratis, grazie all'ospitalità del Centro Burgales, che mette a disposizione due campi in sintetico indoor presso la propria sede di Buenos Aires, nel quartiere Caballito. Se Felipe Angiono è ancora un bambino, non si può dire altrettanto di Maria Luna, 27 anni, che accarezzava la sua racchetta con timore e reverenza. “E' la prima volta che ne impugno una, sembra una grande spatola. Sono felice, pensavo che fosse impossibile giocare a tennis per un non vedente”. Nella vita di tutti i giorni fa la chef, esaltando i sensi di gusto e olfatto. Ma voleva qualcosa di più, soprattutto dopo che un anno e mezzo fa ha perso il lavoro in un ristorante alla periferia di Buenos Aires. Il suo sogno è di diventare forte come Gaby Sabatini. “Ma mi basterebbe trovare un lavoro” racconta Maria, convinta di avere difficoltà a trovare un impiego a causa della sua cecità. ”Forse pensano che mi possa succedere qualcosa, ma non c'è nessun vedente che non si sia mai bruciato o tagliato un dito in cucina”. C'è anche Gustavo Alonso, un 50enne che nel 2006 ha iniziato a perdere la vista a causa del diabete. “Ho cominciato un anno e mezzo fa, come diversivo. All'inizio mi sembrava di cacciare le farfalle. Ma grazie alla volontà e al coraggio ho imparato. Quando entro in campo, scherzo sempre sulla mia cecità. Dico sempre al mio compagno: 'Caspita, non c'è niente, è proprio buio'. E quando non riesco a impattare la palla, dice semplicemente che non l'ho vista”. Il tennis è vita. Altro che sesto senso: per giocare, ne bastano quattro.