C'è ancora quel gradino in più da scalare, quel passettino mancante per godersela davvero. Per Stefano Travaglia, tuttavia, una sconfitta al dodicesimo game del quinto set può anche essere dolce. Sono passati sei anni dal grave incidente domestico che gli ha lacerato i tendini del braccio destro, nonché mezza carriera. Oggi ne parla serenamente, ammette di aver pensato al ritiro, mentre qualche anno fa, alla stessa domanda, rispondeva “forse sì, forse no”. E' giusto così: a 20 anni è normale non avere le idee chiare. Però devi avere la capacità di crescere, di sfruttare le esperienze che la vita ti regala. Come ha fatto l'ascolano, capace di mettere il naso a Wimbledon con pieno diritto. Niente regali, niente omaggi, soltanto tre partite vinte a Roehampton per conquistare il diritto di varcare, pass al collo, i sacri cancelli di Church Road. Per calpestare il verde del Centre Court avrebbe avuto bisogno di un avversario di rango, invece lo hanno sbattuto sul Campo 15, laddove non ci sono neanche le telecamere comandate a distanza. In un'epoca in cui tutto viene mediatizzato, la partita tra Stefano Travaglia e Andrey Rublev ha avuto un sapore antico, da pagina di giornale ingiallita ma preziosa. Soltanto il racconto di chi c'era ha filtrato le emozioni di 3 ore e mezzo di battaglia, con in palio altre 48 ore di gloria e un sostanzioso assegno da 57.000 sterline, al lordo di tasse, incordature e lavanderia. Mica bruscolini, per chi si affida al sostegno di alcune aziende private, piccoli marchi della sua zona che hanno creduto in lui e gli hanno consentito di viaggiare anche quando Wimbledon lo vedeva col binocolo. Anni fa era la Klover, oggi è la Piceno Gas Vendita.
IL BIVIO
La partita è finita male, un 7-5 al quinto che ha premiato il talentuoso russo. Sei anni di meno, ma anche un bel po' esperienza in più. Perché Rublev è già esploso, è un piccolo Kafelnikov, ci si domanda come mai abbia ancora un ranking da qualificazioni. Travaglia viene da un percorso tortuoso, foriero di mille spunti per giocare con il suo cognome, per inventarsi titoli e/o giochi di parole. Dovrà fare qualcosa di veramente grosso affinché ci si dimentichi dell'infortunio del 2011, il più eclatante (ma ce ne sono stati altri, come la frattura da stress alla schiena dell'anno scorso). Però “Steto” è molto di più, come la coraggiosa decisione di trasferirsi in Argentina da ragazzino, per farsi allenare da due donne, ben prima di Andy Murray con Amelie Mauresmo. Quando aveva 15 anni, ha conosciuto Cinthia Conti e Natalia Grisolia. L'incontro è avvenuto a Jesi, non lontano da casa, dopodiché ha scelto di andare proprio laggiù, dove si soffre e si lavora in silenzio. La sua carriera è iniziata lì, nei tornei Futures sudamericani, dove non c'è spazio per le lagne. Dai e dai, si era avvicinato ai top-300 ATP, poi la vicenda si è fatta…travagliata. Messi in soffitta i propositi di ritiro, ha ripreso a giocare ma è stato un incubo. Senza sensibilità nelle prime quattro dita della mano, non sapeva come fare. E la massa muscolare era andata via: dopo mezz'ora di tennis, la prima a interrompere nove mesi di stop, è rimasto fermo per sette giorni. Non riusciva neanche a prendere un bicchiere in mano. Gli faceva male dappertutto. A quel punto c'era un bivio: mettersi a fare il maestro, proprio come i suoi genitori Enzo e Simonetta, oppure rischiare. Ha scelto la seconda via.
UN SOGNO CHIAMATO TOP-20
Chiuso il rapporto con l'Argentina nel 2013, ha tribolato un po' per trovare un posto dove allenarsi. Alla fine lo hanno accolto a alla Tennis Training School di Foligno, dove Fabio Gorietti e il suo staff hanno tirato fuori il meglio da Luca Vanni e Thomas Fabbiano. Adesso è il suo turno, poiché tra un paio di settimane si accomoderà intorno al numero 140 ATP. Un signor ranking, ottimo per giocare qualsiasi Challenger e buona base per le qualificazioni ATP. Ambizioni? Come no. Quattro anni fa, in una chiacchierata sotto un albero di un torneo Futures, “Steto” fu chiaro. “Vorrei entrare tra i primi 20. E' un traguardo duro da raggiungere, ma con un buon lavoro e la testa sulle spalle conto di arrivarci”. Oh, primi 20. Roba da vertigini, da prendersi un ruolo importante negli ultimi 40 anni di tennis italiano. Per adesso resta un sogno, ma se ha giocato così bene su una superficie che non conosceva…perché non sognare? E poi lo merita, per la sua storia e per come si è comportato durante l'intervista di qualche giorno su Sky Sport. Lo hanno fatto accomodare ai bordi del Centre Court e lui si guardava intorno, come se fosse nel paese dei balocchi. Quasi a ringraziare per essere lì, oggetto di un'intervista TV. A parte le cicatrici sul braccio, ancora ben visibili, Travaglia sembra una piccola mosca atomica. Il suo tennis, il suo atteggiamento, trasmettono furiosa energia. Ricorda alla lontana Juan Carlos Ferrero e chissà se il paragone gli farà piacere. E chissà quali colpe dovrà ancora scontare per peccati commessi chissà quando, magari in un'altra vita. La speranza è che possa finalmente raccogliere e dare all'Italia un altro top-100, magari qualcosa di più. Intanto, non dovrà più mandare e-mail agli uffici stampa dei tornei chiedendo se possono – gentilmente – inviargli qualche foto con lui in azione. Se va avanti così, l'archivio delle agenzie fotografiche, alla voce “Travaglia”, crescerà senza sosta. Le foto gli piomberanno a cascata. E non solo quelle.