80 anni dopo, il Giappone torna nei quarti all’Australian Open. Il merito è di Kei Nishikori, giustiziere di Tsonga in 5 set. DI RICCARDO BISTI
La stretta di mano tra Jo Wilfried Tsonga e Kei Nishikori
Di Riccardo Bisti – 23 gennaio 2012
Certi ricordi sono drammatici. Gli ultimi due giapponesi raggiungere i quarti di finale ai Campionati Australiani (ancora lontani dal diventare “Open”) si sono tolti la vita. Jiro Sato (addirittura semifinalista) non seppe resistere alla pressione di giocare in Coppa Davis e si suicidò durante un viaggio in nave. Aveva 26 anni. Ryosuki Nunoi si tolse la vita in Birmania, a 36 anni di età, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. 80 anni dopo, il Giappone ride grazie a Kei Nishikori, straordinario quartofinalista grazie alla vittoria in cinque set su Jo Wilfried Tsonga. “Spero di poter rappresentare per gli uomini quello che Na Li è stata per le donne” ha detto il 22enne di Shimane, che però si allena in Florida, nel calderone di Bollettieri, dall’età di 14 anni, quando si trasferì negli States senza conoscere una sola parola d’inglese. “Ho giocato bene sul finire del 2011 e sto proseguendo in questa direzione – ha ribadito – quindi si, credo che il salto di qualità stia arrivando”. In Giappone è famoso quanto una rockstar, tanto che il contingente di giornalisti nipponici a Melbourne è enorme, tutto per lui. Il buon Kei è consapevole del ruolo e dice quello che si ci si aspetta: “Spero che la gente, soprattutto i giovani, inizino a giocare a tennis. Ma io devo essere il primo a dare buone notizie. Sarei molto felice se riuscissi ad aiutare il Giappone”. Contro Jo Wilfried, uno che ama l’Australia ed era in grande forma, è partito lentamente. Dopo aver perso il primo set ha trovato la chiave. Le sue gambette gli consentivano di arrivare ovunque, e un dritto miglioratissimo era l’arma per pungere il peso massimo francese. E l’angoscia di Tsonga cresceva punto dopo dopo punto. Prima giocava con il berretto, poi con la bandana, infine a volto scoperto. Niente da fare. Sotto il sole cocente dell’Hisense Arena (c’è stato un momento in cui il campo ha rischiato di fondere, con la formazione di bolle, e sono intervenuti i tecnici: ci fosse stato il vecchio rebound ace chissà cosa sarebbe successo), i 10 centimetri e i 22 kg in più sono diventati un’improvvisa zavorra per Tsonga, che in questo torneo vanta una finale nel 2008.
"In Giappone è una stella assoluta. I giornalisti lo seguono ovunque, anche in bagno"
Dante Bottini, coach di Kei Nishikori
“E’ dura giocare contro di lui perché corre come un pazzo e ogni palla ti torna indietro” ha detto lo sconsolato francese. Uno dei momenti chiave è stato proprio quando il plexicuschion di Melbourne ha preso a ribellarsi dal caldo. C’era una palla break per Nishikori, annullata da un servizio in cui la pallina non è praticamente rimbalzata. “Pensavo che avrebbero fatto ripetere il punto – racconta Nishikori – ma non è stato così. Però sono riuscito ugualmente a vincere il game. Per me è stato molto importante”. Tsonga ha continuato a lottare con generosità, ma non aveva più gambe. Nel quinto, Nishikori è salito 4-1, ha rimontato da 15-40 sul 4-2 e ha chiuso con il punteggio di 2-6 6-2 6-1 3-6 6-3 sotto gli occhi di Kimiko Date Krumm, 41 anni, entusiasta nel suo angolo. I due sono in tabellone in doppio misto, con Kimiko che non lesina consigli e indicazioni per il suo giovane erede. In fondo lei ha giocato una semifinale in questo torneo, anche se sono passati 18 anni. Per emularla, tuttavia, dovrà battere Andy Murray. “Uno che mi ha distrutto l’ultima volta che ci siamo affrontati, a Shanghai. Ma ho imparato molto da lui”. Di certo il salto di qualità è arrivato: dopo lo Us Open, Nishikori ha vinto 18 delle 24 partite giocate e portato a compimento il famoso “Project45”, ovvero l’obiettivo di entrare tra i primi 45 del mondo, superando la 46esima posizione colta da Shuzo Matsuoka, ultimo giapponese a cogliere i quarti in uno Slam (Wimbledon 1995). Gli ultimi ad andare così avanti in Australia, come detto, fusono Jiro Sato e Ryosuki Nunoi. La loro storia finì tragicamente, ma Kei non la conosce. Quando stava all’accademia di Bollettieri, non leggeva i libri di storia del tennis: preferiva chattare con gli amici o guardare i famosi cartoni animati giapponesi. Magari qualcuno gli spiegherà che ha fatto qualcosa di importante.
Tra i segreti di Nishikori c’è il coach Dante Bottini, argentino che dopo aver fallito da giocatore si è riciclato nell’ambiente universitario americano e si è infilato da Bollettieri come sparring partner prima che, nel dicembre 2010, gli venisse proposto di lavorare a tempo pieno con il giapponese. Lo ha preso al numero 98 ATP, adesso si trova a ridosso dei top 20 e i progetti sono sempre più ambiziosi. “Credo che i segreti siano i soliti: lavoro, serietà e disciplina – racconta Bottini a ESPN – sono un tipo umile, ma mi piace infondere fiducia ai miei assistititi”. Sul piano tecnico, è stato accorciato il movimento del servizio, accentuato il topspin con il dritto e migliorato la fase difensiva. Durante la preparazione invernale, Nishikori ha lavorato prevalentemente sul fisico, soprattutto nella parte superiore del corpo. “Doveva rafforzarsi, perché è molto magro. Se è più robusto rischia meno di infortunarsi” chiosa Bottini. D’altra parte un grave infortunio al polso lo aveva tenuto lontano dai campi a cavallo tra il 2009 e il 2010, obbligandolo a ripartire dai tornei minori. “Non è facile lavorare con Nishikori – continua il coach – in Giappone è una stella assoluta, non può camminare tranqullamente per la strada. Ha molta pressione, anche se è riuscito a diventare il più forte giapponese di sempre”. I giornalisti gli stanno sempre dietro, lo seguono dappertutto, fanno documentari, vengono a filmarlo in ogni momento, va a cena e lo seguono fin quasi in bagno. “La cosa più difficile? Non parla molto, è difficile comunicare. Gli dico qualcosa e non sempre ottengo risposte, non capisco se ha percepito” A quanto pare ci riesce molto bene. E gli obiettivi sono sempre più vicini.
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