L'ultimo match dell'anno è anche il più lungo: Katerina Siniakova impiega 3 ore 44 minuti per battere Sofia Kenin e consegnare alla Repubblica Ceca la sesta Fed Cup nelle ultime otto edizioni. Si sono visti clamorosi ribaltamenti di punteggio, difficili da spiegare anche per il più bravo degli psicologi. Gode Petr Pala, principale artefice del miracolo ceco.

Forse non è un caso che il match femminile più lungo del 2018 sia giunto all'indomani delle Next Gen Finals, simbolo dell'ossessiva ricerca di accorciare il tennis. Dopo che i migliori Under 21 del tour si erano dati battaglia a suon di match-sprint, la finale di Fed Cup è stata decisa da una battaglia di 3 ore e 44 minuti che, con le norme vista a Milano, sarebbe durata la metà. E probabilmente sarebbe stato un match insipido. Invece Katerina Siniakova e Sofia Kenin ricorderanno per sempre l'eterno pomeriggio dell'11 novembre 2018. Una partita che segnerà la carriera di entrambe. Intendiamoci: non si è visto un grande tennis, alla 02 Arena di Praga. La posta in palio era enorme e la tensione ha offerto più incertezze che spettacolo. Ci sono stati una montagna di ribaltamenti di fronte, talmente tanti che può essere noioso ricordarli tutti. Ma ci sono stati alcuni passaggi chiave a confermarci che la formula di punteggio non ha bisogno di essere ritoccata. La Siniakova (n.31 WTA) si è trovata avanti 7-5 3-0 contro la Kenin (n.52) in un match estremamente tattico. Entrambe le giocatrici hanno nel dritto il colpo di relativa debolezza e se lo cercavano con insistenza. In particolare, la ceca non ne voleva sapere di aprire l'angolo sinistro all'americana. Il piano ha funzionato fino alla palla del 4-0. In altri tempi, la Kenin avrebbe alzato bandiera bianca. Ma in Fed Cup è tutta un'altra storia. Sarà pure retorica, ma il contesto e l'atmosfera consentono alle giocatrici di trovare energie inattese. Insperate.

QUANTI CAPOVOLGIMENTI
La Kenin ha continuato a lottare e ha ricucito lo svantaggio, vincendo anche un delicato game quando ha servito per rimanere nel match sul 4-5. Mostrando un maggiore coraggio (alla fine avrà tirato 42 vincenti contro i 24 dell'avversaria), si è presa il secondo set. A quel punto la Siniakova fuggiva dal campo per rinfrescare il corpo, ma soprattutto le idee. Strategie frequenti nel circuito femminile. Strategie che pagano, visto che Katerina è piombata sul 3-0 anche nel terzo set. A quel punto, la Kenin ha interrotto a sua volta il match per farsi massaggiare la coscia sinistra, affaticata dalle mille rincorse di un weekend che lascerà profondi segni, non solo fisici. Al rientro in campo era un altro match. Sul 3-1 si giocava uno dei game più lunghi dell'anno: 19 minuti per 26 punti, con cinque palle break annullate dalla Siniakova, capace di chiuderlo alla settimana palla game. Pochi punti davvero indimenticabili, ma un'esaltante alternanza di situazioni. Con il no-advantage, non sarebbe successo niente di tutto questo. Sul 4-1, tutti pensavano che la Kenin si sarebbe arresa. Invece sono entrate in scena dinamiche psicologiche tanto imprevedibili quanto inspiegabili. La Kenin ha preso a giocare a occhi chiusi, radunando le ultime energie. Ha risucchiato lo svantaggio, ha intascato quattro giochi di fila ed è andata a servire sul 5-4, fino a procurarsi due matchpoint. Sul precedente cambio di campo, la Siniakova era stata vittima di una crisi isterica. In lacrime, sembrava rassegnata alla sconfitta. Invece Petr Pala ha trovato le parole giuste e il match è andato avanti. Artigliato il 5-5, la boema si è trovata 0-40 nel game successivo ma lo ha vinto ugualmente. A quel punto era la Kenin sull'orlo del baratro. Annullava un matchpoint con un dritto vincente, ma il secondo era quello buono. E così la O2 Arena poteva esplodere in un urlo liberatorio e godersi l'abbraccio collettivo di una squadra da leggenda.

IL CAPOLAVORO DI PETR PALA
C'erano (quasi) tutte, a Praga. Oltre alle componenti del team, in panchina c'era Lucie Safarova, prossima al ritiro (dirà addio dopo l'Australian Open), mentre in tribuna d'onore trovava posto Helena Sukova, premiata a inizio giornata (insieme alla Safarova) per la dedizione alla Fed Cup. Mancava solo Karolina Pliskova e, ripensando alle polemiche dell'anno scorso con la Strycova, è legittimo effettuare pensieri maliziosi. Resta il fatto che la nazionale ceca di Fed Cup è uno dei più grandi team nella storia della competizione. Vincere sei delle ultime otto edizioni è una grande impresa ed è doveroso tributare il giusto merito a Petr Pala, un uomo che ha saputo mettere d'accordo diverse donne dal carattere non semplice. Con il buon senso e la pacatezza ha quasi sempre raggiunto l'obiettivo principale di un capitano: ottenere la disponibilità delle migliori giocatrici. E allora abbiamo assistito, ancora una volta, al girotondo di abbracci a favore di telecamere e di pubblico, prima che il trofeo venisse consegnato nelle mani di Pala e di tutte le ragazze. Non è detto che sia finita qui: l'avventura ripartirà tra meno di tre mesi, sempre in casa, contro la Romania di (forse) Simona Halep. Non ci sarà Barbora Strycova, che dirà addio dopo una militanza di 16 stagioni. Era già in abito di gara, pronta a giocare nell'eventuale quarto singolare. Avrebbe giocato lei e avrebbe potuto dare il punto decisivo: sarebbe stato un finale da sogno, ma crediamo che sia stata ben contenta di evitare un match pieno di incognite, soprattutto emotive. La Repubblica Ceca riparte da Katerina Siniakova, 22enne dalla vaga somiglianza con la regina del country Taylor Swift, ottima doppista ma ancora un po' troppo emotiva. Avrebbe potuto chiudere il match con un paio d'ore d'anticipo, ma tant'è. Magari questo pomeriggio, con annessa gioia finale, servirà a forgiarla.

FED CUP – FINALE
Repubblica Ceca – Stati Uniti 3-0

Katerina Siniakova (CZE) b. Sofia Kenin (USA) 7-5 5-7 7-5