Il 4 maggio 1990, Anastasija Sevastova era nata da appena tre settimane. Quel giorno ci fu la Dichiarazione di Indipendenza provvisoria della Lettonia, ma nei suoi documenti di bambina c'era scritto che era una cittadina dell'Unione Sovietica. È stato così fino al 21 agosto 1991, quando la Lettonia è diventata a tutti gli effetti un paese indipendente, salvando un'identità nazionale che l'invasione sovietica aveva messo a rischio. Era troppo piccola per immaginare che 27 anni dopo avrebbe fatto un dispetto al Paese che per un po' era stato il suo. Nel freddo palestrone di Khanty Mansiysk, la Sevastova ha firmato il punto che ha regalato alla Lettonia una storica promozione nel World Group II. L'evento ha una certa rilevanza tecnica, ma è ancora più forte quella simbolica. La Lettonia, infatti, ha spedito nei Gruppi Zonali nientemeno che la Russia: non soltanto il secondo paese con più rappresentanti tra le top-100 WTA (otto), ma quello che ha scatenato una rivoluzione a cavallo del nuovo millennio. La storia è nota: lo sgretolamento dell'URSS e delle sue vecchie usanze ha sdoganato la possibilità di un sogno per tanti giovani, finalmente liberi di viaggiare, confrontarsi e persino formarsi all'estero. Ne è venuto fuori un boom clamoroso, inaugurato da Anna Kournikova e sublimato da Maria Sharapova, peraltro con tantissime altre campionesse. In mezzo, diversi successi in Fed Cup. L'ultimo risale a dieci anni fa: di quella squadra facevano parte Elena Vesnina ed Ekaterina Makarova, ma all'epoca giocavano solo il doppio. Stavolta sono state chiamate del neocapitano Igor Andreev per salvare una baracca prossima allo sgretolamento, insieme a un'ottima giocatrice come Anastasia Pavlyuchenkova.
UNA RUSSIA DA RIFONDARE
Niente da fare: Sevastova e la stellina Jelena Ostapenko hanno vinto tre singolari su quattro e hanno messo fine a un periodo di gloria sul quale il tennis russo si è specchiato a lungo. Adesso che i vetri si sono rotti, dovranno pensare a ricostruire. Nella squadra battuta a Khanty Mansiysk c'era la giovanissima Natalia Vikhlyantseva, promettente ma non come chi c'è stata prima di lei. Ma è una base da cui ripartire, così come dovrà diventarlo Daria Kasatkina. Non sarà facile uscire dalle sabbie mobili in cui sono precipitate: si ritroveranno in una sede unica, insieme ad altre tredici squadre. Tutte insieme, un frullato infernale, con soli due posti per accedere ai play-out per il World Group II. Non sarà facile convincere le migliori giocatrici ad accettare una sfida umiliante e difficile allo stesso tempo. Quando Boris Eltsin (enorme appassionato di tennis) guidava il paese, ma anche quando aveva una certa influenza, il nostro sport era uno degli sport più importanti in Russia. Dopo la sua morte, c'è stata una picchiata vera e propria. Dalla “cessione” di alcuni talenti al Kazakhstan allo smantellamento progressivo di alcuni punti cardine, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Le squadre di Coppa Davis e Fed Cup avevano sempre i migliori, magari con qualche giovane a supporto. E si giocava sempre a Mosca, sede comoda e prestigiosa. Adesso c'è il liberi tutti e si gioca dappertutto, Siberia compresa, con la scusa-obiettivo di diffondere il tennis. Entrambe le missioni sono fallite. A Khanty Mansiysk c'era pochissimo pubblico e il clima era deprimente, anche per le lettoni. Ma loro hanno vinto e, sul medio termine, possono andare lontano. A guidare il team c'è Andis Juska, ex numero 2 del paese alle spalle di Ernests Gulbis, che ha preso il posto di Jelena Jakovleva (madre della Ostapenko, che comunque era con la squadra): curiosamente, il suo ruolo “ufficiale” è quello di sparring partner della stessa Ostapenko.
UNA DATA STORICA
Detto che la Lettonia sarà una potenziale avversaria dell'Italia nel 2019 (a patto che il format della Fed Cup rimanga invariato), con Ostapenko e Sevastova è una squadra che può tranquillamente lottare per il titolo. Se stava per farcela la Bielorussia di Sasnovich e Sabalenka, perché non possono tentarci anche loro? L'unico dubbio riguarda la panchina inesistente: nel ranking WTA ci sono soltanto sei giocatrici lèttoni: oltre alle due stelle, abbiamo Diana Marcinkevica (25 anni, n.282) e le giovanissime Daniela Vismane (785), Alise Cernecka (1.028) e Irina Lapustina (1.066). Traduzione: basta un raffreddore di Jelena o Anastasija e la nazionale perde tutto il suo potenziale. Ma è un problema dalle parti di Riga sono ben contenti di avere. Magari non saranno scesi in piazza come lo scorso 8 giugno, giorno del Roland Garros della Ostapenko, ma il 22 aprile 2018 resterà una data storica nella storia dello sport lèttone. È un'esagerazione, ma la suggestione è tanta: è come se la Lettonia si fosse staccata una seconda volta dall'URSS. Una specie di indipendenza-bis. Deve essere una bella sensazione, anche se si è celebrata in un palestrone di una cittadina della Siberia occidentale, con poco più di 50.000 abitanti. I bambini lèttoni, oggi, non hanno più l'obbligo di conoscerla.