Francesca non si rende disponibile per la finale con la Russia. Non viene convocata, così eviterà squalifiche. Ma allora a che serve l’articolo 18 del Regolamento di Giustizia?
Il match contro Petra Kvitova nel 2012 potrebbe essere l'ultimo nella carriera di Francesca Schiavone in Fed Cup
Di Riccardo Bisti – 24 ottobre 2013
Francesca Schiavone non è un personaggio semplice. A microfoni spenti, lo dicono tutti. Quando c’è da associare un volto ai virgolettati, emerge il politically correct. E’ così da oltre tre anni, da quando è entrata nella leggenda dello sport italiano con il trionfo al Roland Garros. Un successo di cui ci si ricorderà tra dieci, cento, mille anni. Non per questo, tuttavia, un atleta è autorizzato a comportarsi come gli pare. Ed è quello che starebbe facendo negli ultimi anni, soprattutto quando si parla di Fed Cup. Radio spogliatoio parla di alcune sfuriate epocali (ad esempio, durante Italia-Ucraina a Biella). Eppure la Schiavone è stata coccolata dalla federtennis come forse nessun altro. Si è discusso a lungo dei famosi 400.000 euro versati nel suo conto corrente dopo il trionfo a Parigi (e pare che Angelo Binaghi avrebbe voluto darle ancora di più, aggiungendo un bonus legato alla posizione in classifica). Non è questa la sede per discutere se quella scelta fu giusta o meno. Angelo Binaghi ne ha definitivamente spiegato le ragioni nell'intervista con TennisBest dello scorso anno. E’ invece opportuno sottolineare – e criticare – il comportamento della Schiavone in vista della finale di Cagliari. Corrado Barazzutti l’aveva pre-convocata, lei non ha dato la disponibilità e allora è stata chiamata Karin Knapp. Detto che l’altoatesina merita la convocazione (sarà preoccupatissimo Fabrizio Zeppieri, capitano del Club Nomentano, che rischia di non averla per il delicato derby di Serie A1 contro il TC Parioli: chiederà uno spostamento del match), hanno sbagliato tutti: la Schiavone a rifiutare, la FIT a cedere ai suoi desideri ed evitare l’imbarazzo di una convocazione.
La Schiavone ha dato tanto alla Fed Cup (anche se un bilancio di 22 vittorie e 19 sconfitte in singolare non è così straordinario: oltre alle grandi vittorie, ci sono state anche brutte sconfitte), ma dopo la glorificazione FIT (morale e monetaria), dovrebbe nutrire un po’ di riconoscimento anche se si tratta di dover scaldare la panchina per un paio di giorni. Perchè, è ovvio, a Cagliari avrebbe fatto questo. E’ la seconda volta che la Schiavone rifiuta una convocazione. Il primo episodio fu ancora più grave, perchè decisivo. Un paio d’anni fa rinunciò alla semifinale in Russia perchè voleva preparare al meglio la difesa del titolo al Roland Garros. Guarda caso, rinunciò anche la Pennetta (era leggermente infortunata, ma una settimana dopo era in campo a Madrid), lasciando l’Italia in braghe di tela. Vinci ed Errani non avevano ancora il livello di oggi e persero piuttosto nettamente, con Camerin e Brianti in panchina. La scelta fu accettata con sorrisi di facciata, anche se Angelo Binaghi parlò chiaramente di “eccezione” per giocatrici che hanno maturato talmente tanti crediti nel corso degli anni, tanto da poter rappresentare, appunto, un’eccezione. Nella conferenza stampa in cui sono state ufficializzate le convocazioni, il presidente FIT è stato meno morbido. "Barazzutti aveva pre convocato la Schiavone, che però non ha dato la sua disponibilità. Provo un grande dispiacere per la sua scelta. A 34 anni Francesca poteva aggiungere al suo palmares una ulteriore finale di Fed Cup e aiutare le compagne a battere la Russia. Nello sport gli assenti hanno sempre torto. Condivido le scelte di Barazzutti, con lui c'è sempre stato un ottimo rapporto”. E’ chiaro che non sia contento. Se la cosa fosse stata indolore, avrebbero fatto passare la convocazione della Knapp come una scelta tecnica di Barazzutti, senza parlare del rifiuto della Schiavone. Che sia un richiamo indiretto? Se è vero che la Schiavone ha dato tantissimo al tennis italiano, deve parecchio allo staff federale. Oltre ai 400.000 euro già citati, c’è quel periodo a Tirrenia sotto la guida di Renzo Furlan che ha forgiato il suo livello in vista del Roland Garros. Furlan, fedele al suo personaggio, non si è preso chissà quali meriti. Ma nell’ambiente molti sono convinti che la benzina decisiva l’abbia messa lui. Alla luce di questo, la Schiavone avrebbe avuto il dovere morale di rispondere alle convocazioni, forse in misura maggiore rispetto alle altre. Per questo, la delusione di Binaghi è legittima e comprensibile. Ha ragione.
Questa è la vicenda umana. C’è poi una vicenda regolamentare che non deve essere trascurata ed è un punto a sfavore della FIT. Le carte federali parlano chiaro: basta dare un’occhiata al Regolamento di Giustizia. L’articolo 18, Comma 1, recita testualmente così. “Gli atleti selezionati per le rappresentative nazionali che rifiutano o non rispondono alla convocazione e non si mettono a disposizione della Federazione, ovvero non onorano il ruolo rappresentativo ad essi conferito sono puniti con sanzione pecuniaria e con sanzione inibitiva fino ad un massimo di un anno”. Significa che chi rinuncia alla convocazione può avere una multa e una squalifica fino a 12 mesi. L’articolo, ovviamente, può essere interpretato e aggirato. La sanzione scatta soltanto se c’è effettivamente la convocazione. Se un’atleta non viene convocato, il problema non sussiste. E’ il cavillo regolamentare che salvò le “eccezioni” Pennetta e Schiavone due anni fa, così come eviterà qualsiasi noia regolamentare alla Schiavone. Detto che – lo sosteniamo da anni – questa regola non ha ragione di esistere, perchè che ogni atleta professionista deve avere il sacrosanto diritto a programmarsi come vuole, non c’è dubbio che le regole vadano rispettate. E che i Regolamenti di Giustizia, così come la Legge, debbano essere uguali per tutti. Negli ultimi cinque anni, invece, la FIT ha gestito vicende analoghe in modi completamente diversi. E’ opportuno ricordarli.
– Nel 2008, quando Simone Bolelli manifestò il desiderio di non giocare contro la Lettonia, venne convocato ugualmente. Il bolognese non rispose e scattò uno dei periodi più tesi degli ultimi anni, con conferenze stampa al veleno da una parte e dall’altra. Andando oltre gli stessi regolamenti, Binaghi disse: “Finchè ci sarà questo Consiglio Federale, Simone Bolelli non sarà mai più convocato”. Bolelli rispose: “Finchè ci sarà questo Consiglio Federale, io non giocherò mai più in Coppa Davis”. Sappiamo com’è andata a finire. Ciò che conta, in questa sede, è che l’articolo 18 non fu neanche preso in considerazione: la regola parla di un massimo di 12 mesi di inibizione, mentre all’epoca i titoloni parlavano di “squalifica a vita”
– Nel 2010, Andreas Seppi rinunciò a giocare in Coppa Davis per tutto l’anno (poi non l’avrebbe giocata neanche nel 2011). L’altoatesino annunciò l’indisponibilità con un comunicato, peraltro dopo aver avvisato i vertici federali. Binaghi rispose immediatamente, richiamandolo ai suoi doveri di rispetto della maglia azzurra. Finì con un compromesso: Seppi fu convocato per Italia-Bielorussia a Castellaneta Marina, e per timore del famoso articolo 18 rispose alla convocazione. Barazzutti lo rispedì a casa, dicendo che non era nelle condizioni psicologiche per giocare. Anche allora, l’articolo 18 rimase in un cassetto.
– Nel 2011, Francesca Schiavone e Flavia Pennetta rinunciarono alla convocazione per la semifinale contro la Russia. Non ci furono obblighi, nè convocazioni. Tutto a posto, in virtù dei “crediti” conquistati. Non si presentò una situazione "da articolo 18" perchè la FIT decise di non infierire. Ed è esattamente quanto accaduto con la Schiavone per la finale 2013. Stavolta, la FIT avrebbe avuto tutte le ragioni per applicare il regolamento ed evitare a Barazzutti la consueta intervista “smorza-toni”, in cui ha detto che la Schiavone “E’ molto vicina alle ragazze e ha mandato un SMS a tutte e quattro”.
Per completezza di informazione, è opportuno ricordare il caso di Fabio Fognini per la trasferta olandese del 2010, quando non fu convocato e poi andò a giocare il torneo ATP di Belgrado. Tanti se la presero con Fognini, il quale avrebbe millantato un infortunio inesistente. In realtà, Fabio non era al 100% e avvisò Barazzutti della situazione. “Se mi convocate, vengo senza problemi”. Nessuna richiesta particolare, nessun rischio di cadere nell’articolo 18. Il capitano prese atto della situazione e decise, in totale indipendenza, di non chiamare il ligure. Tuttavia, la vicenda fu strumentalizzata in chiave anti-Fognini. Pare, inoltre, che Bolelli e Starace ricevettero degli incentivi economici non da poco, anche perchè quel match si giocò nel weekend finale degli Internazionali BNL d’Italia.
Insomma: in questa storia vediamo soltanto sconfitti. La Schiavone, che non ha mostrato la minima riconoscenza verso una federazione che le ha dato tantissimo, e una FIT che da cinque anni continua a non applicare un regolamento. Prima lo scavalca, poi evita di dovervi ricorrere. La soluzione? Facile. Abolirlo e dare ai tennisti la possibilità, senza vincoli (che non siano quelli morali) per decidere se accettare o meno le convocazioni. E’ così in tutto il mondo. Non conosciamo i regolamenti di giustizia delle varie federazioni, ma non abbiamo mai letto di squalifiche o sanzioni per casi analoghi (e ce ne sono stati molti). La FIT è riuscita a creare un clima molto positivo in seno alle squadre di Davis e Fed Cup. Si è resa conto che l’appeal della nazionale fa nascere lo stimolo a rispondere o meno a una convocazione. Oggi nessuno rinuncerebbe a una convocazione in Davis, e tutto sommato anche la Fed Cup è piuttosto ambita. Se qualcuno non vuole giocare, peggio per lui. Ma se c’è un regolamento, per quanto non condivisibile, è giusto applicarlo allo stesso modo per tutti. Altrimenti a cosa serve?
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