Senza emettere un urlo, un gemito, un sospiro, la ceca ha spazzato via Serena Williams e raggiunge la sua prima finale Slam. Una partita perfetta, spettacolare, in cui ha impressionato per la capacità di restare calma anche nei momenti difficili. Serena le ha provate tutte, anche a intimidirla, ma ogni tentativo è stato rispedito al mittente. La prima a uscire di testa è stata proprio lei, condannata da un doppio fallo sul matchpoint.

Meravigliosa. Non esistono altri aggettivi per definire la prestazione di Karolina Pliskova. Sarà la ceca a giocare la finale dello Us Open, prima giocatrice del suo paese a 23 anni da Helena Sukova. Lo ha fatto nel modo migliore, facendo stramazzare al suolo Serena Williams in una partita quasi perfetta, un 6-2 7-6 che segnerà la carriera di “Kaja”, come la chiamano gli amici. Se il clamoroso exploit di Roberta Vinci dell’anno scorso è stato, necessariamente, un punto d’arrivo, per la Pliskova può essere un punto di partenza. Non potrebbe essere altrimenti per una giocatrice che, prima di questo Us Open, non aveva combinato nulla negli Slam. Il successo a Cincinnati era un indizio, ma è stato accolto con un pizzico di diffidenza. “Tanto forte nel circuito, quanto vulnerabile negli Slam”: si pensava questo quando si è presentata a New York, ma lei ha mostrato una tranquillità fuori dal comune, figlia delle sedute di pesca che è solita fare prima di un match. “Libera la mente” dice la Pliskova, che nel primo set ha letteralmente preso a pallate la (ex) numero 1, costringendola sulla difensiva e zittendo i 20.000 dell’Arthur Ashe. Un uragano biondo e silenzioso: quando colpisce la palla, non emette il minimo suono. Ma la palla si fa sentire, eccome. Karolina chiede tantissimo al servizio e spesso ottiene, soprattutto da una prima palla che l’ha resa – di gran lunga – la migliore acewoman del circuito. Magari commette qualche doppio fallo di troppo, ma è funzionale al suo gioco.



LE INTIMIDAZIONI NO FUNZIONANO
“Ero molto nervosa prima della partita, ma una volta che ho messo piede sul campo ho pensato a fare il mio gioco, ad essere aggressiva, a dettare lo scambio” ha detto a caldo, con la sua parlantina rapidissima. Nel primo set ha tolto il respiro a tutti, Serena compresa. Il primo break arrivava al quarto game (4 punti consecutivi dal 30-0), poi nel quinto si procurava un’altra palla break con una morbida volèe smorzata, come a dire che sa anche accarezzare la palla, non soltanto maltrattarla. Serena era disorientata, stordita, come un pugile colpito da un avversario che gli gira intorno e lo colpisce a tradimento. In piena confusione agonistica, cedeva il servizio a zero e mandava la Pliskova a servire sul 5-2. Karolina sigillava il set con un punto eccezionale, sul 30-15. Un clamoroso rovescio in controbalzo, strettissimo, la issava a setpoint. Dopo 26 minuti era già avanti. A quel punto, Serena doveva cambiare qualcosa e ha fatto ricorso a un’arma spesso efficace: l’intimidazione. Nel primo game, sotto 15-30, vinceva un punto combattuto e sparava in faccia alla Pliskova uno dei suoi potentissimi “Come on!”. Un urlo, un ruggito violento e provocatorio, come a esorcizzare l’infortunio al ginocchio sinistro menzionato da coach Mouratoglou a fine match. Effetto? Zero. La Pliskova ha avuto la capacità di pensare solo a se stessa e al suo tennis. Ha perso quel game, ma è rimasta attenta e concentrata. Sull’1-2 evitava di scivolare, aiutata da una brutta volèe di Serena sul 15-30. Veniva premiata nel game successivo, quando intascava il terzo break. Serena le concedeva una chance con una dritto largo, lei se la prendeva vincendo un punto eccezionale, con un dritto in corsa che costringeva l’americana all’errore. Sembrava Ivan Lendl, connazionale che di quel colpo aveva fatto un marchio di fabbrica. A quel punto esultava verso il suo angolo, per la prima volta emettendo un qualche tipo di suono. Esultava coach Jiri Vanek, esultava anche Martin Mulligan, orgoglioso rappresentante FILA, il marchio ex-italiano che veste la Pliskova. In quel momento aveva l’unico attimo di distrazione e incassava il controbreak a zero. Poteva disunirsi, invece ha continuato ad affidarsi al servizio e a due fondamentali molto potenti, in particolare il dritto.

SERENA E’ LA PRIMA A CEDERE
Le due arrivavano agevolmente al tie-break. Nel 2016, Serena ne aveva vinti sette su otto, ma lo Us Open sta facendo storia a sé. Avanti 3-0, la Pliskova aveva l’ultimo esame quando Serena si prendeva quattro punti consecutivi, l’ultimo al termine di un punto che avrebbe potuto tagliarle le gambe. Aveva un dritto comodo, lo ha sparato nella direzione sbagliata e Serena si è difesa come ha potuto. Il recupero le è rimasto in campo e il colpo seguente le ha dato il punto. Neanche la potenziale mazzata psicologica ha disunito la 24enne di Louny, quasi paranormale nel mantenere la calma (“Lì ho sbagliato, avrei dovuto giocare l’incrociato, ma sono rimasta calma e ho pensato al punto successivo”). Nel non fare una piega. E così – sorpresa! – la prima a sbroccare è stata Serena. Sul 5-5 sparava una gran risposta, Karolina era miracolosa a restare nello scambio e Serena stabiliva che era troppo anche per lei. Commetteva l’ennesimo errore e chiudeva senza gloria, con un doppio fallo. Braccia al cielo per la Pliskova, che si è presa tutto insieme. Gloria, popolarità e prima finale Slam. E’ nata una stella, una potenziale numero 1? Ce lo dirà il tempo, a partire dalla finale, che peraltro potrebbe essere contro la nuova numero 1 del mondo. Già, perché con questo successo, la Pliskova ha regalato la leadership ad Angelique Kerber. Ma la stella lucente, nella notte di New York, è la regina di Louny. La ragazza che ha fatto girare la testa a milioni di cechi quando si è presentata, in abito da sera, a una serata di gala della TV di stato. Ce ne saranno altre.


Karolina Pliskova (CZE) b. Serena Williams (USA) 6-2 7-6(5)