Parigi, maggio 1968. Mentre nella città scoppiano tumulti e proteste, una contestazione che investe tutti gli strati della società francese e mette alle corde il maresciallo De Gaulle, a Roland Garros si gioca il primo Slam aperto anche ai professionisti. Vince Ken Rosewall su Rod Laver, in un torneo che segna l’inizio di una nuova epoca.Il tennis degli Slam diventò aperto in questi giorni del 1968 ma, nonostante la notizia di interesse mondiale per il tennis, il reportage della nostra rivista di 50 anni fa, apre con una foto che ha poco a che fare con il bel rovescio di Ken Rosewall, campione del torneo. Si vedono persone in piedi su una berlina bianca, macerie e cose buttate per terra in fumo, barricate improvvisate, finestre spaccate, gente che corre.
Parigi era il cuore del Maggio francese, un mese di tumulti spontanei con occupazioni di fabbriche, rivolte delle banlieue popolate da immigrati e ceti disagiati, proteste studentesche che accesero il fuoco della rivolta (uno studente di sinistra, abitante in periferia nel sobborgo di Nanterre, era stato arrestato con l’accusa di terrorismo e gli universitari reagirono occupando l’ateneo). I lavoratori bloccarono produzione e trasporti, mentre i cortei che nascevano spontanei per le strade della città – gigantesco quello del 13 maggio, con un milione di persone per strada – costrinsero il governo a fare un passo indietro, dopo la iniziale repressione. Si lottava per ciò che, da che mondo è mondo, accende la voglia di ribellione: più soldi ai salariati, giustizia sociale, meno intromissione dello Stato nelle faccende private e nelle libertà personali, il diritto di sognare un mondo più bello, più libero, più giusto. Nelle piazze si urlava «Vietato vietare», «Immaginazione al potere», «Tutto e subito». Slogan che sono stati tritati e biecamente rimasticati, in anni più recenti, per vendere assorbenti ed elettrodomestici.
Roland Garros iniziò il 27 maggio del Sessantotto, due giorni dopo l’episodio più cruento della piccola rivoluzione: un poliziotto e un manifestante erano rimasti uccisi negli scontri tra cittadinanza e forze dell’ordine. Eppure, al Bois de Boulogne, si parlava d’altro: la parità, nel tennis, era diventata egalité al di là del punteggio perché, finalmente, dilettanti e professionisti erano liberi di iscriversi a tutti i tornei. E chi aveva scelto il circuito dei soldi, garantito ai professionisti, e rinunciato agli Slam, poteva tornare a competere per vincere, anche a Parigi. Tranne quegli sfortunati, come il leggendario Lew Hoad, che erano rimasti incastrati dai collegamenti paralizzati e non erano riusciti a raggiungere in tempo la città per iscriversi al tabellone. Il torneo dovette fare a meno, per le stesse ragioni, anche di dilettanti di valore assoluto come Nicola Pietrangeli: il cronista dei tempi, con un linguaggio che oggi lo farebbe filare dinanzi alla commissione disciplinare, notava che «qualcuno rimpiangeva Santana od il negretto statunitense Ashe ma, a poco a poco, l’atmosfera è cambiata, nessuno ne ha più parlato tanto lo spettacolo è diventato appassionante». Il Sessantotto avrebbe iniziato a spazzare via anche il lessico discriminatorio.
Il torneo venne preso d’assalto dal pubblico sia perché le fabbriche erano chiuse e la gente era a spasso, sia perché la benzina era finita e ci si muoveva solo a piedi e molte persone si dirigevano verso l’unica attrattiva di quelle due settimane che non fosse stata cancellata. La federazione francese ne approfittò: aumentò i biglietti del 20% e dichiarò un incasso di dieci, quindici volte superiore al torneo del 1967, quando gli Internazionali (non Open, ma ancora closed a chi aveva scelto di giocare a tennis per soldi) ospitarono la finale tra Roy Emerson e Tony Roche. Due ottimi giocatori che, però, quando fu levato il veto ai professionisti, smisero improvvisamente di vincere Slam.
E poi sì, c’era la curiosità dei veri appassionati di vedere alla prova, nel primo Slam Open, dilettanti contro professionisti. La sentenza fu chiara: in semifinale, nel torneo maschile, ci arrivarono Rod Laver contro Pancho Gonzales, Ken Rosewall contro Andrés Gimeno. Quattro professionisti. In finale, il minuto Rosewall (che gli altri chiamavano Muscle per prenderlo in giro, ma era un fenomeno dal rovescio magico che solo la sorte volle sempre perdente in finale a Wimbledon) vinse in quattro set il suo secondo Roland Garros, a 15 anni dal primo. Al vincitore fu offerto un premio di 21.000 franchi che, con la rivalutazione ed espressi in valuta corrente, fanno 27.000 euro. Nel torneo femminile, invece, vinse una dilettante, la fortissima pallettara statunitense Nancy Richey, nonostante le favorite fossero le quattro professioniste Billie Jean King, Rosie Casals, Ann Jones e Françoise Durr. La Jones, campionessa anche nel ping pong e che dodici mesi dopo avrebbe regalato una gioia ai britannici vincendo i Championships a Wimbledon, perse il match per il titolo in tre set, 5-7 6-4 6-1, presumibilmente per sfinimento.
«Rimane da vedersi se lo stesso successo potrà essere realizzato nel maggio del 1969», chiude il dubbioso cronista. Un mese dopo, la protesta era ampiamente sopita: quel genio del generale De Gaulle aveva approfittato dei disordini (organizzati anche contro di lui) per sciogliere la Camera e indire nuove elezioni già nel mese di giugno, che avevano sancito il trionfo delle forze conservatrici. La gente si era stancata dei cortei e iniziava a temere per la propria sicurezza perché i cassonetti in fiamme scaldano gli animi ma, alla fine, la maggioranza delle persone rifiuta di vivere più di qualche week-end in uno stato di pur fascinosa anarchia.
Gli operai tornarono al lavoro, gli studenti arrotolarono i lenzuoli e, pian piano, Parigi riassorbì il clamore di quel maggio. E agli Open di Francia del 1969 si giocò la stessa finale del ’68: solo che, quella volta, Laver aveva una missione superiore, completare per la seconda volta il Grand Slam. Il Roland fece ancora il pieno di spettatori e neanche Rosewall se la sentì di rovinare la festa.
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