WIMBLEDON – La piccola americana, mai considerata quanto le coetanee, vola al terzo turno a spese di una Pennetta sciupona e con meno benzina di lei. E poi Lauren ha un segreto tutto italiano…

Di Alessandro Mastroluca – 26 giugno 2013

 
C'è molta Italia nel successo di Lauren Davis, mai così avanti in un torneo del Grande Slam. Ma è un dettaglio beffardo, un particolare che non consola. Perché l'Italia perde la sua numero 1, Flavia Pennetta, la cui classifica potrebbe piangere dopo Wimbledon (rischia di scendere in 17esima posizione e perdere il treno per le top-10): per sua fortuna, almeno non è troppo scaramantica. La fenomenologia del match parla di una sfida equilibrata, con l'azzurra che ricava più dalla prima ma paga il 43% di punti con la seconda, che chiude con quattro vincenti in più, 27 a 23, e due gratuiti in meno, 26 a 24. Ma i numeri stavolta non raccontano tutta la storia. Perché il linguaggio del corpo, quello che non può mentire, immortala una Pennetta negativa, dubbiosa, mai davvero convinta di poter raddrizzare la partita. Una Pennetta che ha sbattuto la palla sul telone prima di farsi trafiggere da un paio di dritti sulla riga dell'americana che in un amen vola 5-2. Al di là della fenomenologia, e dei ricorsi storici su quanto si trovino bene gli americani sul campo 18, lo schema che sottende la sconfitta è un disegno ricorsivo. Lauren Davis incarna la tipologia di avversaria peggiore per Flavia Pennetta, una colpitrice che si esalta quando entra in ritmo, quando può appoggiarsi su palle pulite e abbastanza centrali, e che ogni volta che ne ha l'occasione apre a tutto braccio, accelera di dritto e una volta su due prende la riga. La verità non è nuova, non è certo una scoperta, non introdurrà rivoluzioni copernicane e cambi di paradigma: Flavia soffre contro giocatrici così perché le fa giocar bene, perché fa tutto quello che serve per esaltarle. E Lauren, che il suo livello l'ha alzato e non poco, avrà pure sciupato cinque set point nel primo parziale, tre sul 5-3 e due sul 5-4, ma comunque è riuscita a chiuderlo e ha preso un break di vantaggio nel secondo.
 
LAUREN, LA FORZA DELLA RABBIA
Solo chi non la conosce, chi non l'ha mai vista giocare, poteva dirsi del tutto stupito dell'andamento, per quanto favorito dalla negatività della brindisina. La 20enne di Cleveland, che ci ha messo un po' a smaltire la rabbia per l'addio (o tradimento?) di LeBron James ai Cavaliers, come il suo idolo è emigrata. Ha scelto Boca Raton, l'accademia di Chris Evert, di cui ricorre il quarantennale dal trionfo “rosa” del 1974, dalla doppietta dei piccioncini, quel titolo arrivato a 24 ore di distanza dal successo del suo fidanzato Jimmy Connors, che poi racconterà con poco tatto (nella recente autobiografia) la fine della loro love story: Chris aveva deciso di abortire per non penalizzare la carriera sportiva. Ex campionessa all'Orange Bowl, finalista al Bonfiglio, è stata seguita da Filippo Ricci e da anni in Florida si allena con Jacopo Tezza, che ha seguito anche Madison Keys ed è riuscito in una delle personali trasformazioni più dure per un coach: adattarsi a due giocatrici dagli stili completamente diversi. Lauren, ha raccontato Tezza a Spazio Tennis poco tempo fa, “Basava il suo gioco sulla consistenza. Quindi il nostro primo obiettivo era quello di trasformare la sua mentalità: doveva diventare più aggressiva. Il suo rovescio era già ai tempi uno dei migliori nel circuito, ma il passo più grande lo fece col dritto e sulla aggressività. Il suo punto forte era la grande solidità mentale. Si rifiutava di perdere: più la partita si faceva difficile o l’avversario era notevolmente avvantaggiato rispetto a lei, più lei ci metteva il cuore. La sua forza stava proprio nella rabbia. La rabbia di chi sentiva che nessuno, tra sponsor ed allenatori, credeva veramente in lei, e di conseguenza lei voleva e vuole provare a tutti il contrario”.
 
INCROCI AMERICANI
Qualche anno fa, mentre l'America si infatuava per Melanie Oudin, che dopo gli Us Open 2009 si è persa e non sa tornare, per Coco Vandeweghe, che solo adesso ha trovato la strada per il successo, e per Beatrice Capra, che invece su questa strada non è nemmeno partita, Davis continuava a lavorare nell'ombra. Poi il futuro ha preso altre strade, Sloane Stephens, Madison Keys, Christina McHale. E Davis ha continuato a lavorare, nell'ombra, senza i riflettori addosso, cullando il suo desiderio di rivincita. E nell'ombra ha vinto. Flavia stampa il controbreak al quarto game, dopo 16 punti di sudore, di corse e affanni. Flavia arriva a vedere il traguardo del terzo set che però costantemente le sfugge. Risale da 0-30 sul 4-4, va più volte a due punti dalla chiusura sul 5-4 e sul 6-5 ma non ci sono più né break né palle break. Anche al tiebreak rimonta, da 2-4 a 4-4 ma è artefice del suo destino con uno sciagurato rovescio incrociato a campo aperto, per lei non proprio impossibile. Così in tabellone rimane Camila Giorgi, che si gioca l'accesso al terzo turno contro un'altra americana, Alison Riske, 22enne di Pittsburgh con un legame tutto speciale con l'erba di Birmingham. Più in generale, con tutta l'Inghilterra.