Chris Kermode, presidente ATP, ha nominato una commissione di cinque elementi per riorganizzare i tornei challenger. “Vogliamo aumentare i montepremi e lo stiamo già facendo”.

Di Riccardo Bisti – 5 maggio 2014

 
Forse non è un caso che Chris Kermode abbia parlato con Bloomberg poche ore prima del trionfo di Carlos Berlocq a Oeiras. Nel torneo portoghese, ex Estoril, l’argentino ha colto una clamorosa vittoria contro Tomas Berdych, aggiudicandosi il secondo titolo ATP in carriera (lo scorso anno si era imposto a Bastad). Una vittoria con quintali di retorica, giacchè un successo di Berlocq è il trionfo della classe operaia, del tennis proletario che si prende un pezzo di paradiso. Un tennis che ha vissuto (e campato) per anni nei tornei challenger. Berlocq è tra i più titolati della categoria, avendone vinti 14 su 21 finali. Poi, intorno ai 30 anni, ha compiuto un salto di qualità che lo ha trascinato nel circuito ATP. Ma non potrebbe mai dimenticare le origini, anche perchè di lui resta un’immagine-simbolo, colta a una vecchia edizione del challenger di Torino. Dopo aver vinto una partita, aspettò che tutti se ne andassero per riempirsi la borsa di bottiglie d’acqua. Davvero il circuito challenger è così duro? Davvero è il caso di rubacchiare qualche bottiglia? A sentire i giocatori, quelli che campano in questi tornei (magari con qualche puntata nei futures), c’è il rischio di finire in passivo. E traspariva più di un malumore nei confronti dell’ATP. In particolare, si sottolineava lo scarso interesse dei vertici. “Vediamo spesso il presidente ATP parlare con i Federer, i Nadal e i Djokovic…ma non è mai capitato che facesse due chiacchiere con il numero 800 del mondo”. A quanto pare, il nuovo capo ATP, il britannico Chris Kermode, sta finalmente provando a fare qualcosa. Il primo gesto concreto risale a qualche mese fa: Il montepremi minimo dei tornei è stato innalzato a 40.000 dollari, mentre i tornei nuovi non possono avere un prize-money inferiore ai 50.000 dollari (o 42.500 euro).
 
SPESE IMPRESSIONANTI
L’argomento è talmente “caldo” da convincere Kermode a parlarne con una testata di fama mondiale come Bloomberg. E le sue parole faranno piacere a centinaia di tennisti "minori". In tanti, troppi, non riescono a mettere da parte cifre dignitose. In un’intervista di qualche giorno fa, il doppista Nenad Zimonjic, parlando del piano pensionistico dell’ATP, disse che circa 200 giocatori riescono a guadagnare o andare almeno in pari con il tennis. Per gli altri è un dramma. Secondo Kermode, i giocatori di bassa classifica hanno bisogno di un incremento del montepremi per guadagnarsi da vivere, tenendo conto che i costi sono lievitati in misura impressionante. I numeri sono impietosi. Negli ultimi 10 anni, il montepremi complessivo del circuito ATP è cresciuto del 57% e ha toccato gli 86 milioni di dollari. Al contrario, i challenger sono cresciuti del 31%. Nel 2013, i 151 eventi hanno distribuito 9,1 milioni di dollari. “Il costo a carico di un professionista è enorme, tenendo conto di nuove figure come allenatori, fisioterapisti e nutrizionisti – ha detto Kermode – per mantenere lo standard, dobbiamo pagare tutta la linea. Per questo, voglliamo aumentare il montepremi dei tornei challenger. E lo stiamo già facendo”. Tutti conoscono il lieve aumento del montepremi minimo, ma non tutti sanno che i tornei con almeno 50.000 dollari hanno aiuti per l’ospitalità e un supporto di fisioterapia. “Per fortuna sono cresciuti molto anche i premi per chi perde al primo turno degli Slam” prosegue Kermode. Nel 2010, la USTA ha effettuato uno studio che stima in 143.000 dollari i costi annuali per un tennista professionista. Tenendo conto che in media ci vogliono 3-4 anni per entrare tra i top-100, e chi ci riesce ci rimane per sette anni, i conti sono presto fatti.
 
A GIUGNO LE PRIME PROPOSTE
Un intervento sui prize money è necessario per consentire la “sopravvivenza” e non esagerare con l'attività, ma anche per preservare l’integrità del gioco da fenomeni come doping e scommesse. Kermode ne è convinto. “Lo sport è qualcosa di vero, pieno di significato. Sento una grande responsabilità per il mio ruolo”. Per mettere mano alla situazione, ha nominato un team di cinque persone destinato a lavorare sui tornei challenger. Ha preso questa decisione dopo un “listening tour” a inizio anno, in cui ha parlato con giocatori di varie fasce, direttori di torneo, media, pubblico e altre figure coinvolte nel tennis. Il gruppo di lavoro si è radunato per la prima volta a Dubai nel mese di marzo, e si ritroverà a Wimbledon per presentare le prime proposte su argomenti-chiave come i montepremi e la struttura dei tornei. L’obiettivo di Kermode è presentare un calendario triennale dei challenger già durante lo Us Open. “La questione dei montepremi è fondamentale, ma allineare ATP e Challenger è altrettanto cruciale – dice Kermode – siamo sicuri che tutti i tornei siano al posto giusto nel momento giusto? Un torneo challenger può essere in sintonia con le qualificazioni di un grande evento ATP? Se poi il giocatore non si qualifica, potrebbe giocare un challenger subito dopo”. Quest’ultima affermazione sarebbe una rivoluzione al regolamento, poichè oggi non si può giocare un torneo dopo aver perso nelle qualificazioni, ma bisogna aspettare la settimana successiva. Gli hanno chiesto se l’ATP ridurrà il numero dei tornei, peraltro in leggera ripresa dopo un calo negli ultimi 2-3 anni “E’ troppo presto per dirlo” ha chiosato. Nel frattempo Charly Berlocq se la ride: lui ne è uscito e non deve più porsi certi problemi. E non avrà più bisogno di riempire la sacca di bottiglie d’acqua. Kermode vuole evitare che altri giocatori possano averne bisogno in futuro.