C'è un motivo se Ronald Schmidt, coach-fidanzato di Anastasija Sevastova, indossa sempre un cappellino con scritto “I Love Liepaja”. Non se ne separa mai, come se fosse un talismano. Il motivo risale a un giorno d'estate di quattro anni fa, quando Ronald e Anastasija avevano appena iniziato la loro relazione. Si sedettero in spiaggia, proprio a Liepaja, e lei si fece molto seria. “Mi ha detto che voleva provare di nuovo a giocare a tennis, per capire fino a dove si sarebbe potuta spingere”. Le risposte sono state incredibili, poiché oggi la lèttone è in finale al Premier Mandatory di Pechino, dopo aver battuto Naomi Osaka. Un risultato che arriva dopo la bella semifinale allo Us Open, bloccata soltanto dalla potenza di Serena Williams. La storia di Anastasija è un po' folle, un piccolo romanzo di cui non si sa molto. Non c'è da stupirsi, perché la lèttone è ragazza timida e riservata. Si apre con poche persone. Schmidt ha trovato le corde giuste e ha conquistato, oltre al suo cuore, anche la sua fiducia. Oggi Liepaja è famosa per essere la città natale di Kristaps Porzingis, stella dei New York Knicks. Ma forse sarà ricordata anche per la Sevastova, cresciuta da una mamma single, Diana Golovanova. Insegnante d'inglese, non pensava di costruire una figlia campionessa. Alla prudenza della madre si accompagnò l'energia della nonna, che spinse Anastasija verso lo sport. Poteva dedicarsi al basket, se non al calcio, ma il caso volle che l'unico tennis club decente fosse proprio a due passi dalla casa di Anastasija. Per questo, la iscrissero a un camp estivo. Ed ebbero la fortuna di trovare un bravo maestro, Edgars Ernestons. “Ai bambini è importante mostrare l'amore per il tennis. Lui lo ha fatto, per questo me ne sono innamorata” dice oggi la futura numero 12 WTA, destinava a diventare numero 11 se dovesse vincere il torneo.
CRESCIUTA SUL LEGNO
Il problema erano i mesi invernali. In assenza di campi indoor o palloni pressostatici, si poteva giocare soltanto nelle palestre multidisciplinari, in cui le righe del tennis si mischiavano con quelle del calcetto, del basket, della pallavolo. “Ho giocato su una palestra con la superficie in legno fino ai 14 anni di età – ha detto la Sevastova in una bella intervista con il NY Times – a Riga ci sono buone strutture indoor con campi in terra e in cemento, ma io sono sempre rimasta a Liepaja. Sul legno era tutto diverso: il campo era rapidissimo e c'erano cattivi rimbalzi”. L'attività costava poco, ma non c'erano grosse chance di crescita. E allora, prendendo spunto da Ernests Gulbis, decise di spostarsi in Germania, a Monaco di Baviera, dove c'era l'accademia di Niki Pilic. Da quelle parti stazionava anche Novak Djokovic, oltre ad alcuni giocatori lettoni. Appena Pilic la vide, in mezzo a un gruppo di ragazzi, disse senza incertezze: “Diventerà top-50 WTA. Se si impegnerà, anche top-30”. Era stato pessimista. Il presagio di Pilic convinse la Golovanova a investire cifre molto importanti per mantenere la figlia a Monaco di Baviera (per quanto tornasse regolarmente in Lettonia per portare avanti gli studi). Anastasija poté permettersi gli allenamenti grazie a un'avventurosa combinazione tra aiuti delle federazione, risparmi della madre, prestiti di amici e qualche sponsor. Il suo talento, sia pure tra gli alti e bassi tipici di una ragazza emotiva (come detto, si è anche fermata per un paio d'anni). Le sue qualità hanno conquistato Schmidt, che indossa il cappellino di Liepaja senza nessun interesse. Non è che l'ufficio turistico della città gli passa per mostrare il nome della città in mondovisione. “L'ho comprato in un bar, ho iniziato a usarlo l'anno scorso e adesso ce l'ho in ogni singolo match. È superstizione”.
IN FINALE CONTRO LA WOZNIACKI
Ma non si ottengono certi risultati solo con la superstizione. Ci vuole talento e perseveranza, la stessa che Anastasija aveva perso nel 2013, quando scelse di ritirarsi ad appena 23 anni. Non ne poteva più di infortunarsi e girare per il mondo, a caccia del volo più economico. Si è ritrovata alla Better Tennis Academy di Vienna, in cui faceva la maestra durante la settimana e frequentava qualche corso universitario durante l'università. Sugli stessi campi lavorava Schmidt, la cui notorietà era dovuta al fatto che aveva accompagnato Thomas Muster nel patetico tentativo di ritorno nel tour, a 40 anni suonati. Tutto è cominciato lì, poi si è sviluppato in una chiacchierata in spiaggia, a Liepaja, e ha trovato concretezza nel gennaio 2015, quando ha ripreso a giocare dai più miseri tornei ITF. “Non avevo nessuna intenzione di farla riprendere a giocare – dice Schmidt – non le ho mai detto di riprovarci. Tutto è nato da lei, è stato fondamentale che sia stata una sua decisione. E lo ha fatto alla grande. Tuttavia, è folle pensare a dove eravamo quattro anni fa”. Il ritorno della Sevastova è stata una grande notizia per il tennis: poche sanno accarezzare la palle come lei, o disegnare il campo con geometrie precise e affascinanti. Naomi Osaka ha un grande futuro, ma presso il Diamond Court è piombata in una giornata negativa, con una montagna di errori gratuiti. È stata certamente favorita, in questo, dallo stile di gioco sornione della Sevastova, brava ad addormentare il gioco con variazioni intelligenti, sia di ritmo che nelle rotazioni. Nel secondo set, la giapponese si è anche fatta curare dalla fisioterapista per un dolore alla parte bassa della schiena. Per coronare la sua settimana, la Sevastova dovrà battere Caroline Wozniacki, che nella seconda semifinale ha messo fine al sogno di Qiang Wang, lasciandole appena quattro giochi. Ci ha perso quattro volte su quattro, ma nell'ultimo scontro diretto, a Roma, le ha tolto un set.
WTA PREMIER MANDATORY PECHINO – Semifinali
Anastasija Sevastova (LET) b. Naomi Osaka (GIA) 6-4 6-4
Caroline Wozniacki (DAN) b. Qiang Wang (CHN) 6-1 6-3