Lorenzo Sonego, torinese, torinista, ragazzo di poch(issim)e parole, è cresciuto grazie all’ intuizione di coach “Gipo” Arbino che lo allena da quando aveva 11 anni: saranno i nuovi Seppi-Sartori?Massimo Sartori ricorda alla perfezione il giorno in cui ha incontrato Andreas Seppi. Era il 3 luglio 1995 quando un giovane tecnico di Vicenza e un ragazzino alto e smilzo, rubato allo sci, si sono visti per la prima volta. Quel giorno, a Caldaro, è cambiata la storia del tennis italiano. Qui manca una data, ma i ricordi sono nitidi e vivissimi. Intrufolandoci nel mondo di Lorenzo Sonego e Gianpiero Arbino abbiamo riscontrato alcune somiglianze, affascinanti e speriamo profetiche, con la vicenda Seppi-Sartori. Anzi, forse c’è spazio per romanzarla ancor di più, questa storia. Perché Sartori, nel 1995, aveva meno di 30 anni e le idee molto chiare: voleva diventare un coach di alto livello, bussava un giorno sì e l’altro pure a Riccardo Piatti nella speranza di essere ammesso a corte; Gianpiero Arbino invece, ha fatto per tanti anni il maestro di tennis. Prima scuole SAT, poi Direttore Tecnico in vari club. Ed era bravo, talmente bravo da aver prodotto – dal niente! – quattro ottimi giocatori come Stefania Chieppa, Silvia Disderi, Alberto Giraudo e Antonio Gramaglia. Gente da classifica ATP, cui è mancato quel pizzico di fortuna (o bravura) per sfondare davvero. “Il mio rimpianto è proprio questo – racconta “Gipo”, classe 1955 – ho iniziato molto tardi a fare il coach”.
Ma il dono del cielo, del suo cielo, è arrivato in un pomeriggio che possiamo ragionevolmente collocare nel 2006. Era il Direttore Tecnico dello Sporting Stampa di Torino, immenso polmone verde di Corso Agnelli, nel cuore della città. Gipo conosceva da tempo il signor Giorgio Sonego, discreto terza categoria con cui giocava qualche doppio. “Ehi, Gipo, c’è mio figlio che ha fatto un paio di lezioni con il maestro Franco Aquilante al Master Club Fioccardo. Perché non gli dai un’occhiata?”. Il bambino in questione si chiamava Lorenzo, torinese, granata nell’anima. In quegli anni giocava a calcio nel settore giovanile del suo amato Toro ed era molto bravo. “In squadra con me c’erano alcuni elementi che poi hanno sfondato come Mattia Aramu e Antonio Barreca” racconta Sonny, ragazzo di poche, pochissime parole. Non è timidezza, è il suo modo di essere. In lui leggi la tipica austerità del torinese. Sono fatti così, parlano poco ma hanno una centrifuga di emozioni. Parlando di Torino, Italo Calvino diceva: “E’ una città che invita al rigore, alla linearità, allo stile. Invita alla logica, e attraverso la logica apre alla follia”. E sì, c’è un pizzico di follia nel progetto Sonego. Lo dice una storia che racconta di un ragazzo totalmente sconosciuto fino a un paio d’anni fa. Zero punti ATP, zero (o quasi) attività junior. Adesso è numero 313 ATP, già davanti a elementi ben più noti di lui e, soprattutto, con enormi margini di miglioramento.
Il provino, dicevamo. Sul campo c’era Franco Bonaiti, responsabile della SAT dello Sporting, ma Arbino non volle mancare. “Era piccolo e gracile – ricorda –ma dopo qualche minuto io e Bonaiti ci guardammo: ‘Non è possibile che abbia giocato solo 2-3 volte’. Aveva una grande attitudine a capire il rimbalzo della palla, forse per i trascorsi calcistici, ed era super nello spostamento dei piedi. E’ bastato dargli 2-3 indicazioni ed era già in grado di palleggiare. In poco tempo ha fatto passi da gigante, tanto che è rapidamente passato dalla SAT alla pre-agonistica, e poi all’agonistica”. Arbino ha capito che poteva essere la grande occasione, a patto che si creasse la giusta alchimia. Non solo tecnica, ma anche mentale. E il click è scattato. Lo ha capito quando ha incontrato massima disponibilità, sia da Lorenzo sia dalla famiglia, quando ha proposto di evitare un’attività junior troppo ambiziosa. “Ha fatto le qualificazioni di alcuni tornei internazionali, una volta siamo andati in Slovenia, ma ha svolto soprattutto attività regionale e nazionale. A 18 anni era 2.3, ma essendo così gracile vinceva le partite di cuore, di regolarità. La difficoltà è stata quella di renderlo più propositivo perché è nato come regolarista, quasi pallettaro”. Per stessa ammissione di Arbino c’è ancora molto da lavorare, ma il progetto va a gonfie vele. A 21 anni, Sonego è alto 1.90, sta mettendo su una muscolatura interessante e gioca bene, davvero bene. Servizio e dritto sono da giocatore vero, per tutto il resto si sta lavorando duro. “La cosa importante è che Lorenzo crede ciecamente in quello che gli dico. Mi ascolta con attenzione, analizziamo i più forti e questo lo porta a migliorarsi. Non può non spingere con il rovescio, non può non andare a rete, non può non fare la palla corta” continua sicuro coach Arbino.
GIPO, L’UNICO A CREDERCI
Dall’alto dei suoi 61 anni, Arbino è troppo scafato per fare il pallone gonfiato e sottolineare i propri meriti, anche perché è consapevole che il viaggio è appena iniziato. Ma c’è una cosa che tiene a precisare: “Io ci ho sempre creduto, anche quando ero l’unico a farlo. Lorenzo ama il tennis e si è sempre fidato di me, così come la sua famiglia. Si sono fidati quando ho consigliato di evitare troppa attività junior, anche perché non aveva senso far buttare via i soldi ai genitori e magari raccogliere due anni di sconfitte. E poi non è semplice accettarle, le sconfitte. Quando aveva 16 anni perse 6-0 6-0 contro Marangoni, che oggi è un buon 2.4, ma c’è stato un netto sorpasso. Spesso i presupposti si creano con i risultati, ma io sono stato l’unico a crederci anche quando i risultati non arrivavano”. Oggi Lorenzo è la stellina del Green Park di Rivoli, bel circolo nella cintura ovest torinese. Imbocchi Corso Francia e in pochi minuti ci arrivi. Immerso nel verde, è il posto ideale per uno come lui: 11 campi da tennis, dieci in terra e uno in Greenset (“Praticamente lo hanno fatto apposta per noi, sono stati grandi – dice Arbino –; inoltre hanno realizzato un pallone in più per aiutarmi a mantenere alta la qualità degli allenamenti: mai più di 2-3 allievi per campo. Ovviamente Lorenzo gioca solo con un altro giocatore: a volte Luca Tomasetto, a volte Julian Ocleppo, poi ci sono tanti seconda categoria”), un bar-ristorante, una bella palestra e poco spazio ai fronzoli. Più voglia di sostanza che di apparenza, insomma. E’ qui che il progetto ha preso il volo dopo l’addio allo Sporting Stampa per un cambio di strategie del club e la parentesi a Volvera, dove Arbino aveva avuto qualche divergenza con gli altri coach. Ed eccoli qui, quasi nascosti in mezzo al verde di Rivoli, dove sviluppa un tennis forgiato sulla terra battuta ma con ottima adattabilità ai campi duri non troppo veloci. “Sui campi troppo veloci fa ancora fatica…” dice Arbino. “Però mi piacerebbe molto giocare sull’erba – risponde Lorenzo –: ci ho pensato già per quest’anno, al più tardi ci proverò nel 2017. Deve essere molto affascinante giocare sui prati inglesi…”
L’OVER 18 CHE FUNZIONA
Mentre parliamo con Arbino, Lorenzo sta facendo preparazione atletica. Nel tennis ultra-fisico di oggi, è fondamentale mettere su più muscoli possibili. Poi, da una porta a scorrimento automatico, compare all’improvviso e si aggrega. E’ l’occasione per conoscere meglio un ragazzo che non ama parlare troppo. E’ difficile comprendere la sua personalità, ma quello che vuol far sapere, lo dice con decisione. Ad esempio, il quartiere da cui proviene. Anziché dire Santa Rita, attacca con un “Vicino allo stadio del Toro”. Così, tanto per chiarire. “Il calcio mi piace molto, ho iniziato a 6 anni e sono andato avanti fino a 13. Giocavo con le giovanili del Toro, poi intorno ai 10 anni mio padre mi ha fatto provare il tennis. Mi è piaciuto subito, per due anni ho fatto sia calcio sia tennis, poi ho dovuto decidere”. Vien da pensare che abbia optato per la racchetta perché era più bravo… “No, ero più bravo a calcio! Non so perché ho scelto il tennis. Forse mi piaceva di più, mi dava più soddisfazioni. O forse perché era uno sport individuale”. Tifare per il Toro a Torino, una città dove il simbolo bianconero vuol dire tante cose, è sicuramente qualcosa di particolare. “In famiglia siamo tutti torinisti – racconta – genitori, nonni, zii… soltanto mia sorella è juventina. Ma credo che sarei stato granata a prescindere. Non mi piace chi vince sempre, mi piace lottare e soffrire”. Chi conosce la retorica del Cuore Granata avrebbe già inquadrato Sonego. Lui non incarna il “tremendismo” puro, quello del Paolino Pulici che corre a pugni chiusi sotto la curva, o di un Pasquale Bruno che ringhia senza pietà. Sonego è un Giorgio Ferrini o un Luca Fusi. Parole poche, volontà tanta. Se ne sono accorti gli appassionati del Circolo Tennis Barletta, dove Sonny ha raggiunto i quarti nell’ATP Challenger, partendo dalle qualificazioni. “Ha un atteggiamento che piace, a Barletta lo hanno adottato perché non molla mai – interviene Arbino – e durante il match esprime le sue sensazioni in modo plateale. Deve migliorare sotto questo aspetto perché tra i top 100 non lo fa nessuno, ma questo lo rende ‘personaggio’. Gioca con grinta, cuore e volontà”. Quello che ad Arbino era chiaro da anni, è esploso un anno e mezzo fa, quando Sonego è andato per la prima volta a Tirrenia. Lo hanno visto, lo hanno apprezzato e l’hanno subito inserito nel progetto Over 18 lanciato dalla FIT. Supervisore: Umberto Rianna. New Entry: Giorgio Galimberti. Lorenzo è felicissimo del progetto, anche perché ha potuto stringere amicizie importanti con Edoardo Eremin (“Con lui ho legato molto”), Gianluca Mager e altri ancora. Senza dimenticare la possibilità di palleggiare con Bolelli, Lorenzi, Volandri. “Siamo felicissimi della collaborazione con la FIT – dice Arbino –: ho conosciuto bene Rianna e devo dire che, oltre a essere molto competente, è un’ottima persona. Ha un grande rispetto, sento che mi stima e ogni decisione viene presa in assoluta armonia. La FIT è un valore aggiunto importantissimo, senza dimenticare il sostegno economico”. Ok, ma vien da domandarsi se ogni tanto non c’è un pizzico di gelosia quando all’angolo di Lorenzo si siede qualcun altro, come ad esempio è accaduto in Cina (dove c’era Galimberti). In fondo la creatura è stata plasmata da Arbino… ”Assolutamente no, nessuna gelosia. Io cerco di esserci spesso, con me lavora Andrea Alviano, ma è importante sapere che ci supportano anche tecnici di spessore come Rianna e Galimberti. Lo seguono con affetto e professionalità. Il loro comportamento è correttissimo e, ripeto, non è stata presa una sola decisione senza che io fossi consultato. Mi è piaciuto anche Sergio Palmieri, abbiamo avuto un colloquio molto proficuo a inizio stagione. Per quello che ho visto, direi che abbiamo una federazione super. E non sottovaluterei la possibilità di andare a Tirrenia a costo zero. Nel periodo invernale siamo andati per 10-15 giorni e ci siamo allenati con tutti i migliori: uno spettacolo”.
Il rapporto Arbino-Sonego sembra d’acciaio. Talmente granitico da azzardare il paragone con Seppi e Sartori. “Io spero che possa esserci un connubio a lungo termine – dice Arbino –, da parte mia c’è questa intenzione. Posso dire che Lorenzo ha molta fiducia in me, quindi se non succede nulla di straordinario, credo che il legame andrà avanti. Sono fiducioso, anche tenendo conto del rapporto umano che si è creato”. Arbino è l’unico argomento che accende la favella di Sonego. “Lui spera che andremo avanti per tutta la carriera? Io vi do la certezza. Non cambierei mai, non ho mai pensato di andare da nessun’altra parte. Per me è un secondo padre, mi ha insegnato tutto, anche a vivere. E’ l’unico che ha sempre creduto in me, in ogni momento, e il mio tennis è frutto esclusivo dei suoi insegnamenti. Tutto quello che mi dice è prezioso. Se sono qui è per merito suo”.
VUOTI DA EVITARE E QUATTRO CHILI IN PIU’
Mentre Sonego giocava i tornei nazionali e andava a scuola, altri giocatori ottenevano le luci della ribalta: Stefano Napolitano, Matteo Donati, per non parlare di Gianluigi Quinzi. La strategia pensata da Arbino ha avuto l’effetto collaterale di evitare pressioni e aspettative. Sonny è cresciuto tranquillo ma conuna problematica: la mancanza di esperienza. Una verginità quasi sorprendente. Quando gli chiediamo chi sono i più forti con cui ha giocato o palleggiato, resta in silenzio per qualche secondo e poi sussurra il nome di Rajeev Ram (che per poco non ci lasciava le penne, lo scorso inverno a Ortisei) e ricorda gli allenamenti a Tirrenia. “Sarebbe bellissimo conoscere Roger Federer e mi piace molto Tsonga, mi sembra che si diverta sul campo. Anch’io credo di essere così”. La mancanza di esperienza è certamente una problematica e lo facciamo presente ad Arbino. “Verissimo, e proprio per questo è fondamentale il progetto Over 18 con la FIT. Credono molto in questo gruppo e su Lorenzo stanno adottando una strategia prudente: potrebbero dargli qualche wild card in più, ma è bene fargli giocare spesso le qualificazioni in modo da giocare più partite possibile e colmare il gap. Gli servirà molto perché era abituato a lamentarsi molto durante le partite. Ha una grande energia, ma questo lo porta a esprimere troppo i suoi sentimenti durante la partita”.
Anche se Lorenzo dice che dopo una mini-sfuriata riesce comunque a concentrarsi subito e a giocare il punto successivo con il giusto spirito. Fosse vero, sarebbe una grande qualità. “Quello che dice è abbastanza vero, ma è quello che pensa lui – ammonisce coach Arbino – non abbiamo la certezza che, stando più tranquillo, avrebbe ugualmente certe pause. La certezza è che i vuoti sono costanti. Abbiamo tanti segnali, gli capita spesso di perdere quei 3-4 game di fila, non sempre per merito dell’avversario. Magari capita perché ha sprecato troppe energie ed è stanco di testa”. Gliel’aveva spiegato proprio il giorno della nostra intervista, mentre raggiungevano il Green Park in auto. “Non deve esprimere a parole le sue sensazioni. Semplicemente, perché tra i top 100 non lo fa nessuno. Noi dobbiamo guardare quello che succede lassù, non quello che si vede nei tornei Open”. Oddio, ci sarebbe un certo Fognini… ”Che fuori dal campo è simpatico, bravissimo – prosegue Arbino –. Vero, ogni tanto si arrabbia e ‘scioglie’. Per fortuna Lorenzo non scioglie mai. Però deve evitare di mandare segnali all’avversario”.
Sul piano tecnico, Sonego spara un gran servizio e un gran dritto. Sono i colpi su cui si può basare una carriera, ma per fare qualcosa di speciale, bisogna migliorare il bagaglio tecnico. E aumentare la massa muscolare: “Su questo punto sono contento – dice il diretto interessato – sono stato da un nutrizionista di Vicenza che mi ha dato un programma da seguire e indicato quel che devo mangiare. Devo fare 6 pasti al giorno: colazione, merenda, pranzo, merenda, cena e poi un po’ di frutta prima di andare a letto.Quando sono a casa, non ci sono problemi: mi compro tutto al supermercato e seguo le sue indicazioni. Certo, in giro per i tornei mi devo arrangiare. In Cina, per esempio, non sono riuscito a seguirlo. Ma funziona. Appena iniziato il regime, in un mese ho messo su 3,7 chili. Pesavo 70, adesso sono quasi 74”. A proposito di muscoli, Lorenzo dice di non aver mai visto niente di strano nei tornei che frequenta. “Doping? Mai avuto questa impressione, osservando i miei avversari. Mi sembrano tutti umani, gestibili. Ai miei livelli non ho visto nulla di sospetto, magari fammi questa domanda tra 2-3 anni”. Provvederemo, così come quella sulla vita nel tour. “Mi piace. Il lato positivo è che viaggiando puoi vedere posti nuovi e giocare con persone diverse. Sinceramente non vedo lati negativi, non mi sembra così faticosa. Ok, può essere un po’ stancante, ma se ti piace, la fai volentieri”.
Questo è Lorenzo Sonego, la speranza nascosta del tennis italiano. È nato l’11 maggio 1995, sotto il segno del Toro (guarda un po’…); il padre lavora in un negozio di computer, la madre in un panificio e i pareri su di lui sono unanimi: è uno su cui si può contare, investire e sperare per il futuro. Pareri che ringraziano le scelte e la testardaggine di Gipo Arbino, l’uomo che ci ha sempre creduto. Anche quando perdeva 6-0 6-0 contro Marangoni. Ma non parlategli di obiettivi:“Non mi piace parlarne e non mi interessano. Davvero, non li guardo e non ci penso”. Forse è meglio così. I traguardi, a volte, possono essere una grande fonte di stress. Prima di salutarlo, gli abbiamo chiesto di descriversi in tre aggettivi. Ci ha pensato un po’: “Simpatico…grintoso….e poi…non so”. Puntini puntini. Forse ha lasciato questo vuoto di proposito. Forse si augura che tra qualche anno non ci sia bisogno di chiederlo e che gli aggettivi vengano da sé: simpatico, grintoso e…vincente.
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