La surreale vicenda di Jamie Hampton: ferma da due anni per infortuni vari, si è sottoposta alla bellezza di sei interventi chirurgici in varie zone del corpo. Avrebbe dovuto riprendere al WTA 125 di Carlsbad, ma non è ancora pronta. “Ma farò tutto il possibile per tornare” 

Chissà se Jamie Hampton possiede il numero di telefono di Brian Baker. Fossimo in lei, alzeremmo la cornetta e chiederemmo qualche consiglio. Nella classifica dei giocatori più sfortunati del 21esimo secolo, Baker era nettamente al comando, con distacchi degni di Eddie Merckx. Ma oggi è stato incredibilmente raggiunto e superato dalla ragazza dell'Alabama che risiede a Boca Raton. Negli ultimi due anni si è sottoposta a sei (dicasi: sei!) interventi chirurgici per rimettere in sesto una carrozzeria che si è disgregata nel gennaio 2014, in Nuova Zelanda. L'ultima partita di Jamie Hampton è stata una vittoria. Battendo Lauren Davis in tre set, aveva acciuffato le semifinali al WTA di Auckland. Avrebbe dovuto giocare contro Venus Williams, ma quella partita non si è mai giocata. Ed è iniziato il calvario per una giocatrice tra le più apprezzate del tour per la sua capacità di trattare la palla. C'è qualcosa di musicale nel tennis della Hampton, nata in Germania da padre americano e madre coreana. Il luogo di nascita, proprio come John McEnroe, è dovuto alla carriera militare del padre. Questo mix di razze le ha donato un particolare talento, sublimato da una formidabile coordinazione occhio-mano. Non a caso, era particolarmente brava a suonare il pianoforte. Ne aveva uno in casa e avrebbe potuto darsi alla musica classica, invece ha scelto lo sport. Un piacere per gli occhi dei guardoni (solo quelli innamorati del gioco: i voyeur si sono rapidamente rivolti altrove), ma una tortura per il suo fragile fisico. A ben vedere, la sua carriera è durata un anno e mezzo. Primi risultati interessanti nel 2012, grande partita all'Australian Open 2013 contro Vika Azarenka, miglior risultato Slam a Parigi (ottavi di finale), finale a Eastbourne, un posto tra le top-30 e tante speranze per il futuro. Desiderosi di trovare una degna erede di Serena Williams, gli americani avevano messo gli occhi anche su di lei.


IL CALVARIO NON E' ANCORA FINITO

Ma Jamie non ha il fisico. E come Brian Baker è ferma da due anni. La carriera del connazionale si è bloccata con l'ennesima operazione al ginocchio, effettuata a poche ore dal capodanno 2014. La Hampton si è fermata pochi giorni dopo ed è stata una terribile escalation. Persino lei ha perso il conto delle operazioni: in una recente intervista, dopo l'ennesimo rientro fallito, ha detto di essersi sottoposta a sette interventi. In realtà sono “soltanto” sei: due al fianco destro, una al fianco sinistro, una al gomito destro, una al tendine d'achille destro, una al tendine d'achille sinistro. Una storia surreale che però non l'ha convinta a mollare. La scorsa settimana avrebbe dovuto giocare il WTA 125 di Carlsbad, California. Era tutto pronto: articoli, comunicati stampa, ma soprattutto un posto nelle qualificazioni. Però si è resa conto di non essere ancora pronta. “Ma c'è ancora il progetto di tornare. Sto facendo terapia ogni giorno. In questo momento la situazione è questa”. C'è poco da stare allegri: è un passo indietro rispetto ad agosto, quando ha rilasciato un'intervista al sito della WTA in cui diceva di giocare a tennis un'ora al giorno, a volte anche due. “Ma poi fisicamente non ce la faccio e devo fermarmi”. Il calvario è iniziato per una diagnosi sbagliata. Dopo Auckland pensava di avere problemi al fianco destro ed è lì che è stata operata, ma era soprattutto un'ernia al disco. Ci sarebbero tutti i presupposti per mollare, ma Jamie non ci pensa nemmeno. “Assolutamente no – irrompe – ho una forte passione per il tennis e tanta voglia di giocare. Certo, ci sono momenti in cui penso alla mia situazione e ci rimango un po' male. Sono stati due anni difficili, però tante persone mi sono state vicine. E per questo me li voglio riprendere”. Se non ci credesse davvero, non si sarebbe sottoposta a così tanti interventi. E magari avrebbe dato retta ai consigli della madre, che le ha più volte consigliato di prepararsi la strada per il futuro, dedicando il tempo libero ad altre attività. “No mamma, con il tennis non è ancora finita” le rispondeva. Senza incertezze.

 

 
RECUPERARE I BAGAGLI

Le hanno chiesto se il prossimo aprile giocherà il torneo ITF del Pelham Racquet Club, evento da 25.000 dollari, il più importante dell'Alabama. Casa sua. “E' possibile, ma non posso dirlo con certezza – ha detto – ho bisogno di ancora un paio di mesi, ma è sicuramente una possibilità. Spero di tornare a giocare nei tornei più importanti ma sarei felice di tornare a giocare, anche a un livello più basso”. Ma chi l'ha vista giocare non dimentica la sua capacità di trattare la pallina come il tasto di un pianoforte. Poche tenniste giocano lo slice (anche di dritto!) con la sua naturalezza. Lo sanno bene le giocatrici sconfitte nel 2013, a partire da Caroline Wozniacki, battuta in una splendida semifinale sull'erba di Eastbourne. Ma il sogno è durato poco. E in questo periodo, oltre che gli infortuni, Jamie dovrà battere la sua golosità. Una volta ha detto che il suo pasto ideale sarebbe composto di soli dessert: “Mangerei cioccolata come primo, secondo e contorno” disse nel 2013. Era un momento in cui le andava tutto bene. Il destino era girato a suo favore. Dopo aver perso nelle qualificazioni a Madrid e Roma, andò a Bruxelles per prendere un po' di fiducia. Ma perse tutto il bagaglio, racchette comprese. Rimase tre giorni senza allenarsi, con le compagnie aeree che spedirono le racchette in Alabama anziché in Belgio. Soltanto l'abbigliamento le arrivò in tempo per giocare. Wilson le fece pervenire un paio di telai e lei, giocando a occhi chiusi, ottenne una pazzesca semifinale (battendo Wickmayer, Flipkens e Vinci), poi la settimana dopo battè Safarova e Kvitova al Roland Garros. E poi la cavalcata a Eastbourne. Ma era troppo bello per essere vero. Adesso Jamie Hampton è in officina e i pezzi di ricambio non sono ancora quelli giusti. Ma non può mica andare male per sempre.