Splendido match di Frances Tiafoe: il figlio di un immigrato ha messo alle corde John Isner, portandosi a due punti dalla vittoria prima di incassare una rimonta in extremis. “A un certo punto ho pensato che fosse fatta” ha detto. Ma contro Isner basta poco per deconcentrarsi. E così il sogno è volato via, ma solo per stavolta.

“Il nuovo Grandstand è un campo fantastico, diventerà uno dei più ambiti dello Us Open. Spero di poterci giocare ancora”. Se va avanti così, il nuovo impianto da 8.000 spettatori non sarà sufficiente per accogliere tutti i sostenitori di Frances Tiafoe allo Us Open. Nonostante la sconfitta contro John Isner, il “colored” del Maryland ha monopolizzato l’attenzione del Day 1. Un po’ per la sua storia, già metabolizzata e centrifugata dai media americani, un po’ perché ha giocato una grande partita. E’ arrivato a tanto così dal battere il leader morale della truppa americana, l’ultimo ad aver raggiunto i quarti in questo torneo. Poco importa che Steve Johnson lo abbia superato: per quest’anno, Isner è ancora l’americano più forte. Ma tra 12 mesi potrebbero essere cambiate tante cose. E potrebbe inserirsi Tiafoe, figlio di un immigrato della Sierra Leone che sul finire degli anni 90 ha abbandonato il paese natale per cercare fortuna negli Stati Uniti. Povero ma onesto, trovò lavoro presso il Junior Tennis Champions Center, maxi-impianto con 32 campi da tennis a College Park, nel Maryland, centro periferico della USTA. Gli garantirono uno stipendio annuo di 21.000 dollari, sufficiente per una vita dignitosa e per tenere lontano dalle cattive compagnie i figli, i gemelli Frances e Franklin. Normale che entrambi ci provassero col tennis, ma ben presto si è capito che “quello bravo” era Frances. Più giovane di sempre a vincere l’Orange Bowl, Tiafoe è passato professionista poco più di un anno fa, firmando un contratto con la Roc Nation Sports di Jay-Z, il famoso rapper (nonché talent scout). Per rendere l’idea di quanto puntino su Frances, basti pensare che è il primo tennista a firmare con una società che punta forte sui campioni NBA ed NFL. Nelle quattro ore del campo Grandstand, Tiafoe ha dimostrato di valere ben più dell’attuale numero 125 ATP, soprattutto nei primi due set. “In effetti sembrava che ogni palla che colpivo diventasse oro – ha ammesso dopo la partita – sembrava che giocassi a fari spenti. Comunque mi sono divertito, è stato uno dei match più belli della mia carriera”. Ma al momento di chiudere, qualcosa è mancato. “Sul 5-5 del primo tie-break ho sbagliato un rovescio con tanto campo a disposizione: un po’ di rammarico c’è”. Meno rabbia per il break incassato sul 5-3 al quinto, quando l’impresa sembrava cosa fatta. “Ma lì John ha giocato un grande game di risposta”.





FUTURO LUMINOSO, PAROLA DI JOHN ISNER
Da parte sua, Isner non ha voluto sovrastimare il fattore esperienza in questo successo. “Certamente ha influito, ma in genere è qualcosa che voi sopravvalutate – ha detto Isner, che comunque si è espresso in termini positivi sull’avversario – Frances è un grande atleta e i suoi colpi dal lato sinistro sono di classe mondiale. E’ straordinario sia con il rovescio che con la risposta al rovescio. Su cosa deve migliorare? Nessun dubbio: la seconda di servizio”. Tiafoe ha tenuto il campo con personalità, ha contenuto il servizio di Isner e – ai punti – avrebbe meritato di vincere. Gli è andata male e sulle prime sembrava quasi disperato quando ha abbracciato Isner. “Non ricordo cosa mi abbia detto – dice Isner – io l’ho invitato a stare a testa alta perché è stato molto bello giocare con lui e sono convinto che abbia un futuro luminoso”.Ho quasi pianto sulla sua spalla – ha detto Tiafoe – io e John siamo molto amici”. L’allusione è ad alcuni match di Coppa Davis, dove Tiafoe è stato integrato come sparring. “Un giorno spero di poter entrare nel team titolare” aveva detto dopo una trasferta in Gran Bretagna. Se va avanti così, non ci sono dubbi. Frances ha perso la battaglia, ma la guerra è ancora lunga. Il quartier generale USTA di Boca Raton è il luogo dove ha affinato le armi dopo averle costruite nel club del padre. Un padre che non aveva alcun legame con il tennis e non aveva mai toccato una racchetta prima di lavorare nei pressi di Washington. Lo ha ricordato nella conferenza stampa post-sconfitta, dove gli hanno fatto solo una domanda sul suo passato. Normale: dopo l’articolo di qualche anno fa sul Washington Post, negli Stati Uniti conoscono bene le sue origini e le sue vicende. Stavolta volevano sapere del match, se si è davvero sentito vicino a vincere. “Sul 5-3 nel quinto ho pensato che fosse fatta” ha ammesso, ma non aveva fatto i conti con un Isner che non molla mai. Stavolta gli è andata bene, ma il suo tempo da leader americano sta per scadere.