Mentre il circuito ATP è pieno di ultratrentenni, l’argentino si è ritirato a 26 anni. Oggi dirige un’Accademia a Rosario e riflette sul passato. Intanto continua a soffrire di crampi.
Guillermo Coria con la moglie Carla e il piccolo Thiago
 
Di Riccardo Bisti – 11 dicembre 2012

  
Radek Stepanek ha vinto la Coppa Davis a 34 anni. Il ceco fa parte di quei ventotto tennisti che – superati i 30 anni – veleggiano tra i primi 100 al mondo. Eh si, il tennis è sempre più vecchio. Anche per questo fa impressione la storia di Guillermo Coria, l’ex Mago del tennis argentino che a 30 anni si sente un rottame. Si è ritirato a 26 anni e ha giocato l’ultimo match (al remoto challenger di Bangkok) nel marzo 2009. Ma certi problemi non sono andati via. Nel solo 2012, è stato perseguitato tre volte da crampi terribili e dolorosi, gli stessi che nel 2004 lo avevano messo KO nella finale di Miami contro Andy Roddick. “Avevo talmente tanto dolore che non fui in grado di salire sull’aereo per tornare a casa” racconta oggi, mentre promette di sottoporsi a qualche esame e di bere litri d’acqua per prevenire il problema. Nonostante i guai fisici continua a lavorare nel tennis, sia pure dall'ombra assolata della provincia argentina. In fondo gli va bene così, soprattutto quando la bella moglie Carla ha messo al mondo il piccolo Thiago. “Sono un disastro a cambiare pannolini, ma mi ha cambiato la vita”. Diversi giocatori hanno sofferto il ritiro dal tennis. Coria, tutto sommato, è contento così. Si è ritirato perché le cose andavano male. Non vinceva più partite, era sprofondato in un mare di doppi falli e non ne poteva più di viaggiare. Adesso ha aperto l’Accademia Coria a Rosario ed è proprietario della sede rosarina di Megatlon, una maxi-catena di palestre. “All’inizio non è facile gestire un club di tennis, perché è un business vero e proprio. Ma ora le cose vanno bene. Poi mi sono messo anche nel settore immobiliare, in modo da non essere vincolato esclusivamente al tennis”. La vita a Rosario scorre tranquilla, gli regala quella normalità che non ha mai avuto da giocatore, sommerso da popolarità e dilemmi interiori, che sfociavano in atteggiamenti non sempre impeccabili.
 
Viene da domandarsi se Coria tornerà mai nel giro, come allenatore o come capitano di Coppa Davis. Qualche anno fa, la AAT gli ha fatto fare il capitano ai Giochi Panamericani e ai Giochi Odesur. “Mi è piaciuto. All’inizio avevo qualche dubbio, ma è stata un’esperienza positiva. Quest’anno mi hanno offerto di seguire la Davis Cup Junior, ma non sono potuto andare. Amo lavorare i ragazzi e ho un sogno: entro 6-7 anni vorrei che Rosario diventi come Tandil, da cui sono usciti una marea di giocatori”. Gli occhi furbetti di Coria hanno un sussulto quando ricorda la sua carriera da professionista. Dice di non rimpiangere nulla, anche se l’esperienza gli ha fatto comprendere gli errori. “Un esempio? Mancare di rispetto agli allenatori quando ti danno un consiglio o ti dicono qualcosa che non ti piace”. Sono passate alla storia le litigate con Josè Perlas, che oggi è al fianco di Fabio Fognini. “Ti accorgi di certe cose solo quando passi dall’altra parte della barricata – continua – e vedi certi atteggiamenti che non sopporti”. La carriera di Willy resterà indissolubilmente legata alla finale del Roland Garros, persa contro Gaston Gaudio dopo aver dominato i primi due set. Tuttavia dice di non esserne ossessionato. “Capita di avere ricordi quando ci sono le grandi finali. Non penso solo a quella finale, ma a tutte le esperienze vissute nel circuito. Sono state esperienze forti, sia positive che negative. Mi viene da pensare che si è trattato di un’altra vita, quasi non riesco a credere di aver vissuto certe situazioni. Vedo i ragazzi che alleno: fanno grandi sforzi per vincere una partita a livello future, allora capisco di essere stato fortunato a battere gente come Djokovic”. In Argentina, non si può fare a meno di parlare della Coppa Davis. Secondo Coria, persistono i problemi di qualche anno fa. “E’ un peccato, te ne rendi conto quando smetti di giocare. La semifinale in Slovacchia del 2005 fu tremenda, ci furono diversi malintesi. Ma la finale del 2008 e i fischi a Del Potro sono stati ancora peggio, perché c’era la possibilità di vincere la Coppa. La gente ha preso male la sua rinuncia perché aveva detto che avrebbe giocato per la gente. Ma devono capire che correva il rischio di farsi ancora più male”.
 
E’ curioso notare come Coria abbia patito il passaggio alla vita “normale”. Da tennista sei abituato ad avere tutto, a non doverti preoccupare di nulla. A Rosario ha organizzato due futures maschili e un ITF femminile, ma i problemi non mancano. Il suo club ha vinto diversi titoli giovanili, ma quest’anno non lo hanno fatto partecipare perché non è un circolo affiliato, senza quote sociali da pagare. "Tuttavia non credo sia colpa della federazione, che anzi sta lavorando sul serio per il bene del tennis con il lavoro di Tito Vazquez. Ma si può sempre migliorare, magari educando i giovani sin da piccoli ad avere un certo spirito di squadra. Noi non ce l’avevamo e non abbiamo mai vinto la Coppa, pur avendo una squadra fortissima”. Il tempo delle magie e della "vigorita" sembra finito per sempre.