“Ho sempre saputo di poter fare buone cose, a patto di prendere seriamente il tennis”. Messe da parte bizze comportamentali e scarsa professionalità, il russo ha finalmente deciso di fare le cose per bene. Risultato: ha vinto due titoli ATP, ormai è a ridosso dei top-30 e si è fatto notare dal suo idolo d'infanzia Marat Safin.

Costanza e resistenza. Volendo esagerare, resilienza. Il matchpoint con cui Daniil Medvedev ha chiuso il match di Tokyo contro Milos Raonic è il simbolo, evidente, della sua maturazione. Contro il bombardiere canadese è stato lui impeccabile al servizio, cedendo appena 12 punti. E appena ne ha avuto l'occasione, ha colto l'unico break della partita. Sul matchpoint, ha rincorso palle apparentemente impossibili ed è stato premiato dall'ultima volèe di Raonic, morta in mezzo alla rete. E pensare che dodici mesi fa, di questi tempi, era nel mezzo di un vortice di sconfitte consecutive. “Probabilmente non mi sarei aspettato di trovarmi dove sono ora – dice Medvedev – però stavo lavorando duramente per questo. Mi aspettavo di giocare meglio, ma non credevo di salire così velocemente come mi è riuscito nella seconda parte della stagione. Significa che ho fatto un buon lavoro e non voglio fermarmi qui”. Il “buon lavoro” gli ha consentito di vincere i suoi primi titoli ATP (Sydney e Winston Salem) e portarsi a ridosso dei top-30 ATP, posizione che garantisce lo status di testa di serie negli Slam. Alla fine dell'anno scorso, aveva vinto 29 partite nel circuito maggiore: quest'anno ne ha intascate altre 34. “In realtà credo che il punto di svolta della mia carriera sia stato il 2016 – racconta il russo, da anni residente in Francia – ho iniziato al numero 330: non è male, ma con un ranking simile non ti guadagni da vivere. Anzi, perdi soltanto denaro. In quel momento pensavo che sarebbe stata dura diventare un professionista ed entrare tra i top-100. È finita che ho giocato bene, chiudendo l'anno al numero 99. E ho capito tante cose”. Va detto che non sempre Medvedev ha fatto le cose giuste. Era un po' disordinato nell'alimentazione, non si impegnava al massimo negli allenamenti. “Però ho sempre avuto sogni importanti, perché sapevo di avere un buon talento. Tra gli under 18 ero stato abbastanza buono, nonostante non fossi per nulla professionale rispetto agli altri. Nonostante in campo non pensassi granché, sono comunque entrato tra i top-20 junior. Sapevo che, non appena avessi preso il tennis più seriamente, avrei avuto la possibilità di arrivare dove sono adesso”.

SULLE ORME DI SAFIN
A differenza di molti giocatori attuali, il cui tennis è fondato soprattutto su un colpo forte, Medvedev a un gioco completo, a tutto tondo. “Non ho particolari punti deboli – dice – non c'è un'area del mio tennis in cui mi si può attaccare con la garanzia di fare il punto. Per esempio ho un buon servizio: non sarà tra i migliori del tour, ma a volte mi aiuta a restare in partita. Posso rispondere bene. Vista la mia altezza, penso di muovermi abbastanza bene. Ho un tennis a tutto campo che può mettere in difficoltà gli avversari. A volte, non sanno bene cosa fare”. Mette gli altri in una posizione di incertezza che gli consente di essere sempre pronto alla zampata, alla sorpresa, al risultato contro pronostico. La vittoria contro Raonic ne è un perfetto esempio. “Non mi importa chi è l'avversario: gioco ogni partita per vincere, soltanto così si raccolgono punti per crescere in classifica”. Per questo, non si farà condizionare neanche dall'esuberanza di Denis Shapovalov, che pure lo ha battuto in entrambi i precedenti. Nonostante abbia appena 22 anni, Medvedev ha già parecchie storie da raccontare. Quando aveva otto anni, era davanti alla TV quando Marat Safin vinceva una fantastica edizione dell'Australian Open, battendo Roger Federer in semifinale e Lleyton Hewitt in finale. Inutile dire che Safin è stato il suo primo idolo. “All'improvviso mi trovo vicino ai top-30 – dice Medvedev – non ho ancora vinto l'Australian Open, ma sono qui e posso parlare con lui. Sa chi sono, così come lo sanno gli altri campioni che sono coach della nostra squadra di Coppa Davis”. L'allusione è all'ex numero 3 Nikolay Davydenko. “Se ripenso ad allora, probabilmente non avrei creduto di arrivare così in alto. Sinceramente, tuttavia, non mi guardo indietro. Il passato è passato e io sto pensando al futuro”.

ATO 500 TOKYO – Quarti di Finale
Denis Shapovalov (CAN) b. Jan Lennard Struff (GER) 4-6 7-6 6-4
Daniil Medvedev (RUS) b. Milos Raonic (CAN) 7-6 6-3
Kei Nishikori (GIA) b. Stefanos Tsitsipas (GRE) 6-3 6-3
Richard Gasquet (FRA) b. Kevin Anderson (SAF) 7-6 7-6