Fra i nomi da tenere d’occhio nel 2016 c’è anche quello di Jack Sock. Quest’anno il 23enne del Nebraska ha vinto il primo titolo ATP ed è entrato fra i top-30, e col suo super diritto può puntare molto in alto. Ma con delle priorità diverse da (quasi) tutti i colleghi.Per Jack Sock, il 2015 poteva diventare un anno terribile. Cresciuto insieme al fratello Eric, di due anni più grande, una notte di gennaio l’ha trovato agonizzante nel letto, che non riusciva a respirare. Sono corsi in ospedale, dove i medici gli hanno salvato la vita in extremis, diagnosticandogli la rarissima Sindrome di Lemierre, un’infezione batterica che parte da un semplice mal di gola e arriva fino ai polmoni, portandoli al collasso. “Ci hanno detto che se fosse passato un altro giorno mio fratello non ce l’avrebbe fatta”, ha poi raccontato Sock, invece Eric si è salvato per un pelo e Jack ha deciso di stargli vicino, facendo slittare il suo rientro nel Tour. Invece che iniziare a febbraio (prima era ai box dopo un’operazione per uno strappo muscolare) il suo 2015 è scattato a Indian Wells, ma la situazione ne ha talmente rinforzato il carattere che al rientro ha bruciato le tappe, regalandosi la miglior stagione in carriera. Ha vinto il suo primo titolo ATP a Houston, ha esordito in Coppa Davis portando due punti nel play-off contro l’Uzbekistan e si è regalato per la prima volta la seconda settimana in un torneo del Grande Slam. Cosa accomuna questi tre traguardi? Li ha ottenuti sulla terra battuta. Non è la sua superficie preferita, perché il suo tennis è perfetto per il cemento, ma significa che ci sa fare anche sul rosso, aiutato da un’ottima rapidità di gambe. Se n’è accorto il pubblico del Court Philippe Chatrier, che dopo i quattro set con Nadal negli ottavi gli ha regalato un lungo applauso, prima che lo spagnolo completasse il tributo definendolo “un giocatore pericoloso”. E se non avesse saltato l’Australian Open e allo Us Open non fosse stato costretto al ritiro al secondo turno perché collassato per il caldo quando era avanti due set a uno contro Ruben Bemelmans, oggi lo troveremmo molto più avanti.
UN FUTURO DA TOP TEN?
Lo dice un tennis con un servizio da 220 km/h e un diritto dall’impugnatura che non sarà bellissima da vedere, ma viaggia come pochissimi altri nel circuito. Il gioco di volo l’ha allenato col doppio (vincendo Wimbledon e il Masters 1000 di Indian Wells insieme a Vasek Pospisil) e passo dopo passo è cresciuto pure il rovescio: “prima gli avversari spingevano per tutto il match da quella parte, ora gli ho fatto capire che non è più un colpo attaccabile”. Sock è stato campione nazionale under 18, ha vinto lo Us Open juniores e ha il record di vittorie nei tornei delle high-school, le nostre scuole superiori, chiuse con un bilancio di 80-0. Ma non è mai stato un predestinato, di quelli sparati in copertina sui magazine o in televisione ancora giovanissimi, in stile Donald Young (e non solo). Sock ha avuto una crescita più tranquilla, lontano dalle luci delle ribalta, ma soprattutto estremamente costante. Senza mai una caduta, una stagione storta, nulla. Ha iniziato a giocare nel 2010 e da allora il ranking di fine stagione è stato un crescendo costante: 870, poi 382, 150, 104, 42 e l’attuale 26, che significa numero due degli Stati Uniti, dietro al solo John Isner, il suo compagno di viaggio preferito. A metà 2014, infatti, l'allievo di Troy Kahn si è trasferito a Saddlebrook (Tampa, Florida) proprio per allenarsi col gigante di Greensboro, e tutti i pezzi del puzzle si sono messi insieme. Molto probabilmente non è l’uomo che riporterà uno Slam negli States a tredici anni dallo Us Open di Roddick, nato nel Nebraska come lui, ma forse un giretto fra i top ten potrebbe riuscirgli. Dopotutto, fra i nati negli Anni ’90 è il numero 5, e a costo di ripetere un discorso già trito e ritrito, l’età media dei primi 10 si aggira intorno ai 28 mentre lui ne ha 23. Il tempo non manca.
LA FORZA DELLA MATURITÀ
“Negli Stati Uniti Siamo stati abituati bene con gente come Agassi e Sampras, o ancor prima McEnroe, Courier e Connors, ma anche se ora non c’è nessun giocatore a quei livelli, ci stiamo impegnando al 100% per farcela. Non si vince uno Slam o si arriva fra i top ten da un giorno all’altro, è parte di un percorso fatto di tanto lavoro e altrattanti sacrific. La speranza è che qualcuno di noi ce la possa fare”. Lui ha un aiuto in più, quello di chi sa che il tennis è importante, ma ha capito che c’è molto altro, e tante cose vengono prima. Novak Djokovic ci è arrivato quando è diventato padre, tirando fuori una delle migliori stagioni di sempre nella storia dell’ATP, Serena Williams l’ha ripetuto spesso negli ultimi dodici mesi e ha sfiorato un Grande Slam. Sock li anticipati di un bel po'. “Quel giorno, all'ospedale, dentro di me è cambiato qualcosa. Quando penso che non sto giocando bene, che nulla funziona, invece che deprimermi penso che c’è sempre qualcosa di peggio, penso a quando i medici hanno detto che mio fratello avrebbe avuto un giorno di vita. Le cose che succedono sul campo da tennis sono stupidaggini in confronto alla vita reale”. Sock ha imparato a sentirsi più libero, a godere di quello che fa e divertirsi, senza troppe aspettative. “Il tennis resta la mia vita, mi piacerebbe avere la miglior carriera possibile, ma non è tutto. Le persone che hai vicino contano di più. La famiglia viene prima di ogni altra cosa”. Così, quando Tennis.com ha chiesto ai giocatori di indicare il proprio eroe, in mezzo ai nomi di Michael Jordan, Billie Jean King, Martina Navratilova, Andrè Agassi, Rod Laver, Steffi Graf e tanti altri, tirati fuori dai suoi colleghi, Jack non ha avuto dubbi. “Mio fratello”, ha risposto. Tirando fuori la storia più bella di tutte.
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