Il tennis mostrato al Queen's ha confermato le ipotesi costruite fra Roma e Parigi: Novak Djokovic è tornato competitivo. Fisicamente ha recuperato un'ottima forma, footwork e risposta sono di nuovo al top, e insieme alle vittorie è arrivata la fiducia necessaria per far funzionare tutto a dovere. A Wimbledon sarà pericolo​so.Chi si aspettava un suo immediato ritorno ad alti livelli è rimasto deluso, perché per ritrovarsi Novak Djokovic ha faticato molto più del previsto, e ha ancora parecchia strada davanti. Ma è innegabile che dagli Internazionali d’Italia nella sua mente sia scattato qualcosa, anche grazie alla scelta – vincente – di cospargersi il capo di genere e affidarsi di nuovo al suo storico team, con Marian Vajda nel ruolo di coach e il trainer Gebhard Phil Gritsch a prendersi ancora cura di quei muscoli che ai tempi d’oro parevano di gomma. Da lì è iniziato un cammino fatto di costanti progressi che ha permesso all’ex numero uno del mondo di tornare a farsi vedere: quella fiamma interiore che sembrava definitivamente spenta ha ripreso a fare un po’ di luce, sono tornate le vittorie, è tornata un po’ di fiducia, e il motore si è messo nuovamente in moto, producendo la semifinale al Foro Italico, un buon Roland Garros e soprattutto la cavalcata della scorsa settimana al Queen’s Club. A Londra Djokovic ha giocato a livelli da Djokovic, quello vero. Magari una volta la finale contro Marin Cilic l’avrebbe vinta, convertendo il match-point (anche se il croato non l’ha fatto rispondere) o non smarrendo la prima di servizio sul 4-1 del tie-break, ma sono piccoli dettagli ai quali pensa il tempo, senza bisogno di chissà quali accorgimenti. La cosa più importante è che sull’erba si sia rivisto con continuità il vero Djokovic: di nuovo in condizioni strepitose dal punto di vista fisico (dopo che a inizio anno la sua mobilità lasciava parecchio a desiderare), di nuovo capace di lottare ed esaltarsi nei momenti importanti, di nuovo capace di difendersi come ai tempi d’oro, di rispondere a livelli degni del suo cognome, di colpire di nuovo con disinvoltura e di far pesare la sua aura nei momenti che contano.
PERICOLOSO A WIMBLEDON
Tutte quelle qualità che parevano sparite, cancellate dai mille problemi riassunti da un fastidio al gomito via via sempre più grave, sembrano tornate di colpo, non appena la situazione ha ripreso a girare nel verso giusto. È come se si fosse innestato un circolo virtuoso, che ha ridato vitalità a tutto ciò che serve per essere competitivi su un campo da tennis. Il movimento del servizio è di nuovo fluido, tanto che al Queen’s “Nole” ha subito due break in una settimana, e la consapevolezza di aver messo di nuovo al loro posto buona parte dei tasselli del suo tennis aiuta il campione serbo a stare molto più tranquillo, diventando la benzina di una macchina che finalmente ha ripreso a funzionare. C’è ancora qualche ingranaggio da mettere a posto, qualche passaggio da oliare, ma ormai è certo che non rivedremo più Djokovic perdere partite come quelle di Indian Wells o Miami, o ricevere da Hyeon Chung lo stesso trattamento che solitamente era lui a riservare agli avversari. Anzi, sarebbe una sorpresa non vederlo crescere in continuazione, fino a tornare almeno a sprazzi ai livelli che gli avevano permesso di mettersi alle spalle anche Federer e Nadal, tornati a spartirsi i grandi tornei non appena lui ha iniziato a zoppicare. Sarà molto interessante vederlo di nuovo in azione a Wimbledon, dove lo scorso anno aveva deciso di fermarsi, e stavolta prova a ripartire, su quel Centre Court che è considerato all’unanimità il giardino di Federer, ma nel quale – e questo non va dimenticato – ha vinto ben tre volte pure lui, fra 2011 e 2015. Dover giocare un intero torneo al meglio dei cinque set potrebbe essere ancora un problema, perché comunque è tornato a brillare da poco e difficilmente riuscirà a tenere mai più certi ritmi per la durata di una volta, ma insieme a Cilic e (forse) Nadal, a provare a rovinare la festa a Federer c’è di nuovo anche lui. Ed è una gran bella notizia.