L’INTERVISTA – A tu per tu con Juan Monaco. Gli inizi, le difficoltà e i segreti del mitico club di Tandil, il futuro dell’Argentina, l’amicizia con Nadal…e tanta attrezzatura.
Juan Monaco farà parte del team argentino di Coppa Davis che tenterà un'impresa disperata a Praga
Di Riccardo Bisti – 17 luglio 2013
E’ il migliore amico di Rafael Nadal, ma è anche un ottimo giocatore. A 28 anni, Juan Monaco ha coronato un sogno entrando tra i top-10 ATP. Ma il “Pico” ha una bella storia da raccontare, che parte da un campus estivo e transita dal mitico Club Independiente di Tandil, La Mecca del tennis argentino e sudamericano. Dopo un difficile avvio di stagione (ma aveva problemi alla mano e non poteva impugnare bene la racchetta), Monaco si sta ritrovando e punta a restare tra i top 20. L’argentino si è concesso una chiacchierata con TennisBest, in cui ha parlato di tutto: presente, passato, futuro, Nadal…e attrezzatura.
Daniel Panajotti, coach di Tandil trapiantato in Italia, ha raccontato che quando avevi sei anni sei svenuto perché volevi essere più bravo degli altri bambini a raccogliere le palline. In quel momento ha capito che saresti diventato un campione. Ricordi quell’episodio?
E’ passato molto tempo! Di sicuro lui è stato il primo a mettermi una racchetta in mano. Era un campus estivo, mi ci aveva portato la famiglia e conobbi Daniel. Fu un periodo molto bello, ero piccolo ma iniziai ad appassionarmi al tennis. In quei giorni è nata la passione che mi ha portato fino a qui.
Cosa si fa di speciale al Club Independiente di Tandil? Come è possibile che un circolo così piccolo abbia creato la bellezza di cinque top-100?
E’ un club molto piccolo, diverso da tanti circoli che ci sono in Italia. Se c’è qualcosa di particolare è che siamo tutti molto uniti, molto amici. Abbiamo in comune lo spirito di sacrificio, anche perché non potrebbe essere diversamente. Non avevamo a disposizione le strutture e le attrezzature che ti può garantire una grande federazione. Avevamo soltanto sei campi in terra battuta, poche palline per allenarci, d’inverno fa un freddo maledetto…E’ capitato diverse volte che volessimo allenarci, ma non era possibile perché i campi erano ghiacciati. Significava dover aspettare 4-5 ore per poterci allenare, allora passavamo l’attesa giocando contro il muro. Dovevamo adattarci a condizioni per nulla adeguate ad aspiranti professionisti, quelle che ti può garantire una grande federazione. Non avevamo nulla, però avevamo un grande amor proprio. Era così per tutti: il sottoscritto, Del Potro, Zabaleta, Maximo Gonzalez, Diego Junqueira, Guillermo Perez Roldan. Avevamo tutti un’enorme passione per il tennis, sapendo che altri giocatori avevano ben altro alle spalle.
Immagino che questa fosse la vostra forza…
Chiaro. Era la nostra forza interiore. A volte, non avere i servizi di una federazione ti fa apprezzare quello che hai. Quando andavamo a giocare all’estero, ci sembrava quasi di andare in paradiso. Ci piaceva tutto: palle, campi, strutture…era tutto migliore rispetto a Tandil.
Durante le partite, il tuo coach Gustavo Marcaccio prende un mucchio di appunti, non smette mai. Cosa scrive?
Dovresti chiederlo a lui! Scherzi a parte, annota molte cose, tutto quello che succede durante la partita, statistiche, situazioni che si verificano, cose dove potrei migliorare, i momenti importanti, le cose buone che ho fatto…poi è molto utile per studiare l’avversario. Scrive davvero tante cose. E dopo ogni partita ne discutiamo a lungo.
Le difficoltà economiche per giocare a tennis. Tu hai avuto una storia particolare, un manager che ti ha aiutato quando eri junior. Puoi raccontare il tuo percorso?
Tieni presente una cosa: quando ho iniziato a giocare seriamente, per l’Argentina era un momento economico durissimo. Era la grande crisi del 2000-2001. Non c’erano tornei, non c’erano futures…le strutture erano pessime e il futuro era davvero incerto. Per tutti i junior che volevano diventare professionisti non era facile: mancava tutto, a partire dalle competizioni. Io sono stato fortunato perché ho avuto la possibilità di venirmi ad allenare in Europa, all’Accademia di Emilio Sanchez e Sergio Casal a Barcellona. Sono stato lì per ben due anni. A Barcellona ho conosciuto tanti ragazzi del mio livello e ho potuto allenarmi nel migliore dei modi. Ma, soprattutto, ho potuto competere tutte le settimane. C’erano molti circuiti satellite e futures, così potevo giocare senza muovermi dalla Spagna. Questo significava anche risparmiare parecchio.
Sei preoccupato per il futuro del tennis argentino? Panajotti dice che oggi a Tandil si fa business, a Buenos Aires si fa business e la magia rischia di terminare. Corrisponde al vero?
Guarda, io ho un rapporto straordinario con Marcelo “Negro” Gomez e Mario Bravo, le persone che hanno creato la magia del Club Independiente, vera e propria “cantera” del tennis argentino e sudamericano. So che stanno lavorando molto bene. Da parte mia cerco di aiutarli il più possibile. A volte può essere solo un consiglio, ma quando torno a Tandil vado sempre al Club per parlare con i ragazzini. Lo faccio perché ho avuto una bella carriera, ma non dimentico che quando ero piccolo mi hanno aiutato tantissimo. Mi hanno dato tutto il supporto possibile. Per questo è sempre bello tornare da loro. Ti dirò: non credo che ci sia tanto business. Ogni volta che torno al club, vedo tantissimi bambini che si allenano, tanti ragazzi che vengono ad allenarsi a Tandil e provenienti da tutta l’Argentina e tutto il Sud America. Anche italiani! Vengono a Tandil perché sanno che lì c’è qualcosa di speciale. Però bisogna continuare a lavorare duro, facendo tanti sacrifici. Sono convinto che sia l’unico modo per creare giocatori.
In una vecchia intervista, Juan Martin Del Potro ha detto che vede Mariano Zabaleta come un padre e Juan Monaco come un fratello. E’ ancora così? Se si, sfrutterai la tua amicizia per chiedergli di giocare la Davis in Repubblica Ceca? Senza di lui sarà molto dura…
Lo so, lo so…sarà una partita difficilissima. Però Juan Martin ha preso una decisione l’anno scorso. E’ stato chiaro: quest’anno non avrebbe giocato in Coppa Davis. E’ una scelta rispettabile. Io sono suo amico e devo rispettare le sue scelte. Dovesse giocare, le nostre chance aumenterebbero esponenzialmente. Ma purtroppo non ci sarà, quindi che dobbiamo fare? Contro la Repubblica Ceca sarà durissima, a Praga, su una superficie rapida…per vincere avremo bisogno di tre giorni eccezionali.
Nel circuito, sei il migliore amico di Rafa Nadal. Come è nata questa profonda amicizia? E che tipo è Rafa lontano dai riflettori?
Risale al periodo in cui sono andato ad allenarmi in Spagna. Avevo 16-17 anni e c’era anche Rafa. Giocava i miei stessi tornei, eravamo molto giovani, il livello era simile. Allora è iniziata un’amicizia che è durata negli anni. Poi nel 2004 siamo cresciuti entrambi e abbiamo continuato a giocare gli stessi tornei, anche se a livello differente perché lui è un fenomeno. Ma la nostra amicizia cresce giorno dopo giorno. La pensiamo allo stesso modo su un mucchio di cose, ci piace molto il calcio, ci piace la vita da tennisti, possiamo parlare di tantissimi argomenti. Ho avuto l’opportunità di andare spesso a casa sua, a Maiorca, conoscere la famiglia, i suoi amici…ho trovato molte similitudini con quello che è il mio ambiente in Argentina. Quando le cose vanno in questo modo, l’amicizia si alimenta sempre di più.
Cosa pensi della rivalità con Roger Federer? Contano di più i titoli o gli scontri diretti? E poi, come collocheresti Rafa nella storia del tennis?
Bisogna dire che Rafael è giovane, quindi può vincere ancora molto. Credo che per Federer, a partire da ora, sarà sempre più difficile battere i top-players: Djokovic, Murray, Del Potro, Tsonga, Berdych, lo stesso Nadal. Tutti possono battere Federer. Io credo che Nadal possa continuare a vincere tornei e Slam. In questo momento, per tutto quello che ha vinto, Federer è più grande di Rafael. Però Nadal può continuare a vincere ed avvicinarsi. A livello Masters 1000 è già il più grande, negli scontri diretti è avanti ed ha appena 27 anni. Se il ginocchio gli consentirà di giocare ancora 3,4,5 anni potrà vincere ancora molto ed entrare a pieno titolo tra i più grandi di tutti i tempi. Su questo non ho dubbi.
Parliamo di attrezzatura. Come mai hai scelto di giocare con Yonex, racchetta con una particolare forma isometrica? Che vantaggi ti dà?
E’ da moltissimo che gioco con Yonex, addirittura dal 2004. Prima giocavo con Head. Credo che sia un marchio leader nel mercato delle racchette. Ogni anno sanno evolversi. Mi piacciono molto: la gente di Yonex mi sta molto vicina, vengono a parecchi tornei, mi chiedono come mi trovo con la racchetta, cosa si può migliorare…sento che mi curano molto. Yonex è un’azienda che cerca di migliorarsi sempre. Non si limitano a farmi una buona racchetta: ogni anno cercano di migliorare la qualità della mia palla. Fanno in modo che io senta un grande controllo. E’ molto difficile che possa cambiare, mi trovo proprio bene. Il rapporto coi giapponesi è davvero eccellente.
Corde. Che modello utilizzi e a quale tensione? Inoltre, pensi che i monofilamenti abbiano cambiato il modo di giocare a tennis?
Sinceramente non credo che sia cambiato il modo di giocare, forse si gioca con più naturalezza. La verità è che tutto cresce, tutto si evolve. Cambia il tennis, cambiano le racchette, cambiano le corde…tuttavia io sono un tradizionalista: gioco da tempo con la stessa racchetta e le stesse corde, non sono uno che ama troppo i cambiamenti. Ovviamente se la mia marca di corde – in questo caso Luxilon – produce un nuovo modello di corda, lo provo senz’altro e vedo se riesco ad adattarmi. Se ci sono delle novità interessanti e sono convinto che possano darmi una mano, perché no?
Mettendo da parte l’aspetto economico, l’idea di avere un incordatore personale può essere buona?
Si, assolutamente. La maggior parte dei top-players hanno un incordatore personale. Ci sono varie aziende che si occupano di questo. Io non ho mai usufruito di un servizio del genere, però so che è molto buono. Ti incordano la racchetta sempre allo stesso modo, sanno come sistemare l’impugnatura, il grip, in modo da offrirti una racchetta sempre uguale. Uno dei grossi vantaggi è che ti incordano la racchetta sempre con la stessa macchina. Quando vai in giro per tornei, capita di trovare macchinari diversi, di tante marche. Alcune macchine creano tensioni più dure, altre fanno il contrario…possono servire 2-3 giorni per trovare il setting giusto.
Capitolo scarpe. Perché utilizzi questo modello Adidas rispetto ad altri? Inoltre usi qualcosa di speciale, ad esempio un plantare?
No, niente di particolare. Mi fido moltissimo di Adidas, è la marca che mi veste da tutta la vita. Indosso capi Adidas da quando avevo 14 anni. Sinceramente credo che le scarpe Adidas siano le migliori al mondo, ne parlo anche nello spogliatoio con gli altri testimonial Adidas. E’ perfetta sia per la terra battuta che per i campi rapidi. Da un paio d’anni gioco col modello Adizero, scarpa piuttosto diversa rispetto alla Barricade che usavo in precedenza. Questa è più leggera. Per le scarpe vale lo stesso discorso di prima: la tecnologia avanza, le aziende crescono e ho trovato il modello perfetto: rapido e leggero, adatto a tutte le superfici. Non ho bisogno di plantari speciali anche perché mi hanno sempre preservato dai problemi fisici.
Hai qualche mania, un tic particolare legato all’attrezzatura? Ce l’hanno tanti giocatori…
Mmm…niente di particolare. Forse il fatto che faccio mettere sempre il grip della racchetta al mio allenatore. Lo faccio perché a inizio anno ho avuto qualche problema alla mano. In generale, lascio che sia Gustavo a occuparsi di customizzare la racchetta. Per il resto, non ho manie particolari. Quando arrivo a un torneo, mando sempre 2,3,4 racchette all’incordatore per provare diverse tensioni e trovare quella giusta. Per rispondere alla domanda precedente, di solito gioco con 52 libbre, però quando non conosco la macchina incordatrice faccio mettere diverse tensioni: 50, 52, 54 e 56 per capire qual è la migliore. Però non la definirei una mania, dai!
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