LA STORIA – L’incredibile avventura capitata ad Andre Agassi durante l’Australian Open 2000, poi vinto in gloria. “Se non si presenta entro 5 minuti, sarà squalificato”. E lui… 
Sampras? Federer? Macchè. Lo spavento più grande nella carriera di Andre Agassi è arrivato da…Adriana Gersi

Di Riccardo Bisti – 8 gennaio 2014

 
"Avrebbe potuto essere un giornata molto, molto dura”. Andre Agassi aveva appena battuto Sjeng Schalken al secondo turno dell'Australian Open 2000. Una partita di routine, 93 minuti per massacrare l’olandese che un paio d’anni dopo sarebbe arrivato in semifinale allo Us Open. Agassi era il favorito del torneo e aveva sempre vinto contro Schalken: cosa intendeva quando parlava di una giornata “molto, molto difficile”? All'epoca, Andre era inarrivabile. Aveva vinto 20 delle ultime 21 partite Slam, con i trionfi a Roland Garros e Us Open più la finale a Wimbledon, persa soltanto contro un impressionante Pete Sampras. (“Così si gioca solo in paradiso!”, disse Rino Tommasi). Andre voleva diventare il primo giocatore dal 1969 a giocare quattro finali Slam consecutive. Due anni prima era sceso al numero 141 ATP e giocava il challenger di Burbank, adesso intascava i complimenti del grande rivale, Pete Sampras. “Quando Andre è in perfetta forma, lasciatelo perdere. E' meglio”. Aveva ragione. Il Kid di Las Vegas avrebbe vinto quel torneo, battendo proprio Sampras in semifinale e Kafelnikov in finale. Un dominio. Eppure, qualche giorno prima…
 
Mercoledì 19 gennaio 2000, mezzogiorno. Il sole illuminava a picco Melbourne Park. Agassi stava ultimando il suo allenamento sul campo numero 14. Poche ore dopo, intorno alle 16.30, sarebbe sceso in campo contro Schalken. Aveva tutto il tempo del mondo. Doccia, pasto frugale e un altro breve riscaldamento prima di massacrare il tulipano. A un certo punto, la voce del megafono risuonò maestosa. “Ultima chiamata per Andre Agassi. Se non si presenta entro cinque minuti presso lo Show Court 1 sarà squalificato dal torneo”. Incomprensione, panico, paura. Che può essere successo? Non gli avranno mica dato un ordine di gioco sbagliato? Lo spavento diventa angoscia quando si accorge di essere in un angolo di Melbourne Park, molto distante dal Campo 1 (oggi intitolato a Margaret Court e dall’anno prossimo dotato di un tetto retrattile). Cambio maglia, borse in spalla e di corsa verso ‘sto benedetto Campo 1, pur sapendo che non sarebbe mai arrivato in cinque minuti. Ma a un certo punto si ferma a pensare. Non c’è tempo per passare dalla zona riservata ai giocatori. Per arrivare in fretta, dovrà attraversare campi, vialetti e, soprattutto, il Garden Square, luogo di ritrovo di migliaia di appassionati. Gli sarebbero saltati addosso a caccia di una foto o un autografo. Di solito non è un problema. Stavolta è un dramma. Deve trovare una soluzione. Indossa un cappellino e si mette gli occhiali da sole, nella speranza di non essere riconosciuto. Difficile passare inosservato se ti chiami Andre Agassi e hai la camminata da Scarpantibus. Lo riconoscono, vogliono fermarlo a tutti i costi. “Per favore, non adesso” implora mentre si fa largo tra la folla. Una scena che ricorda il videoclip di “Una vita da Mediano” di Luciano Ligabue. Solo che qui è tutto drammaticamente vero. Superati i mille ostacoli, Andre arriva allo Show Court 1. Sono passati otto minuti. E’ esausto, inzaccherato di sudore.
 
Si avvicina al Supervisor pronto alla predica, alla supplica. In quei momenti, forse, avrà pensato alla lettera di menzogne scritta qualche anno prima all’ATP per scampare alla squalifica per doping. Che il destino volesse fargli pagare quella furbata? Temeva che il suo Australian Open fosse finito. Il Supervisor lo guarda incredulo. Il numero 1 ATP, madido di sudore, con una maglia all’incontrario e il fiatone disperato, lo sta implorando di non squalificarlo. Non capisce, pensa che stia scherzando. “Guarda che la partita è già iniziata, Andre”. “Ma no, io gioco!” risponde. Sempre più convinto di essere nella versione australiana di Scherzi a Parte, il Supervisor mantiene la calma “E’ una partita femminile…”. I due si guardano, non capiscono. La soluzione all'enigma è in tasca. Ecco l’ordine di gioco: sullo Show Court One sono in campo Ai Sugiyama e la carneade…Adriana Gersi! Tra il megafono e l’accento dello speaker, Agassi aveva scambiato il suo nome con quello della modesta tennista ceca. La tensione sparisce, come dopo un esame universitario. Andre si accascia a terra e riprende fiato. Giusto il tempo di una risata. Adesso può dedicarsi a foto e autografi. Qualche ora dopo, in perfetto orario, supera Sjeng Schalken. Il 30 gennaio, mentre sollevava il suo secondo Norman Brookes Trophy (ne avrebbe vinti altri due), alcuni spettatori raccontarono di averlo visto correre per l’impianto come se stesse inseguendo il diavolo. Era tutto in disordine e fradicio di sudore. Non sappiamo se sia vero al 100% o se qualcuno abbia esagerato, romanzando qualche dettaglio. Di sicuro, c’è la mano del destino. Il nome completo dell’americano è Andre Kirk Agassi, mentre la ceca si chiama Adriana Rikl Gersi, quasi un anagramma. Oggi ha 37 anni e abita a Naples, in Florida. Ha sposato l'ex doppista David Rikl, da cui ha avuto tre figli. Magari potrebbero incontrarsi e ricordare quel 19 gennaio 2000. Agassi saprebbe cosa chiederle. "Mi puoi spiegare perchè quella volta sei arrivata in ritardo? Mi hai fatto prendere lo spavento più grande della mia carriera…".