Abituati ad avere Murray e Konta nelle fasi finali dei tornei del Grande Slam, i britannici li hanno persi entrambi nel giro di 48 ore. Con anche la Waston già eliminata, e in attesa dell'esordio di Aljaz Bedene, devono dire grazie ai giovani Kyle Edmund e Cameron Norrie. Entrambi classe 1995, entrambi al secondo turno, ma soprattutto entrambi nati in Sudafrica. A 9.000 chilometri di distanza dal Regno Unito.Per la Gran Bretagna del tennis le ultime 48 ore sono state le peggiori da parecchio tempo a questa parte. Abituati da un po’ ad avere sempre qualche giocatore nelle fasi finali dei tornei del Grande Slam, allo Us Open sono già costretti a fare i conti con una situazione tutt’altro che felice. Prima hanno incassato il forfait di Andy Murray, proprio quando sembrava che le condizioni dell’anca fossero finalmente migliorate (invece sta meditando seriamente l’operazione), e poi hanno perso anche Johanna Konta, una delle favorite per il successo finale. La 26enne nativa di Sydney era addirittura fra le otto papabili numero uno WTA di fine torneo, invece è inciampata contro la Krunic ed è diventata la prima big costretta a fare le valigie, lasciando il tabellone femminile privo di britanniche, visto che in precedenza era uscita di scena anche Heather Watson. Così, dopo meno di un giorno di torneo, a New York il tennis britannico è rimasto aggrappato a soli tre giocatori: Aljaz Bedene, che di britannico ha poco e rischia grosso contro Rublev, e soprattutto Kyle Edmund e il debuttante Cameron Norrie, entrambi già al secondo turno. Edmund ha confermato di essere uno dei più forti fra gli esclusi dalle teste di serie battendo in tre set quel Robin Haase che una decina di giorni fa giocava la semifinale al Masters 1000 di Montreal, mentre il suo coetaneo Norrie, mancino numero 226 del mondo, ha aggiunto un’altra pagina alla sua piccola favola. Con la vittoria al Challenger di Binghamton e la semifinale a Lexington si è guadagnato il diritto di giocare per la prima volta le qualificazioni di un Major, le ha superate e ha ricevuto il miglior premio del torneo, diventando l’avversario di mister ranking protetto Dmitry Tursunov. Il russo ha perso al tie-break il primo set, nel secondo ha lasciato il campo con la mente e nel terzo l’ha fatto anche fisicamente, ritirandosi sul 7-6 6-1 e indicando a Norrie la porta per il secondo turno. La curiosità? Edmund e Norrie giocano per la Gran Bretagna, ma sono nati entrambi nel 1995 a Johannesburg, capitale del Sudafrica, a oltre 9.000 chilometri dal Regno Unito.L’AIUTO (SEGRETO) DI ANDRE AGASSI
La storia di Edmund è emersa già da qualche anno: figlio di genitori sudafricani, ha vissuto nel suo paese d’origine solo fino ai 3 anni, quando la sua famiglia si è trasferita in Inghilterra. Tennisticamente è a tutti gli effetti un prodotto della Gran Bretagna, che ha scelto di rappresentare da ragazzo. Norrie, invece, ha papà scozzese e mamma gallese, ma ha vissuto fino ai 16 anni in Nuova Zelanda, tanto che se si va a sbirciare nei tabelloni dei primi tornei juniores (è stato n.10 del ranking ITF) accanto al suo nome c’è la bandiera neozelandese. Solo a 16 anni ha scelto di giocare per la Gran Bretagna, trasferendosi a Londra per usufruire delle possibilità offerte dalla LTA. Tuttavia, ci è rimasto solamente per un paio anni, perché a 18 ha scelto la strada del college e si è trasferito nel campus della Texas Christian University di Fort Worth, dove è rimasto fino a metà aprile, pur iniziando a muovere i primi passi da “pro”. Chiusa la carriera universitaria da numero uno del ranking NCAA, si è lanciato a tempo pieno nel circuito e ha ottenuto subito risultati importanti nei tornei Challenger, prima di mettere piede a Corona Park. Scherzando, aveva definito la sua trasferta a New York un “viaggio d’affari”, invece ha battuto in due set Bublik, Bangoura e Soeda, poi ha fatto fuori anche Tursunov e da buon britannico (ha precisato che si sente tale al 100%) ha promesso di festeggiare con qualche birra. Peccato che a causa dell’assenza di Novak Djokovic a New York non ci sia nemmeno Andre Agassi, altrimenti magari ne avrebbe offerta una anche a lui. Uno dei segreti delle sue quattro vittorie, infatti, è l’abitudine copiata dal Kid di Las Vegas di sistemare le corde della racchetta dopo ogni singolo punto, concentrandosi sul telaio ed evitando quindi distrarsi a osservare tutto ciò che succedeva attorno al campo. “Me l’ha suggerito Devin Bowen, uno dei miei coach del college. Ha proprio insistito – racconta –perché imitassi Agassi, e questo mi ha aiutato tantissimo, sia prima sia durante le qualificazioni. Prima tra un punto e l’altro mi guardavo attorno, osservavo l’avversario, e finivo per perdere la concentrazione. Ora invece sono molto più attento, e non regalo più tanti punti come una volta”. Se il metodo funziona allo Us Open, dove il trambusto è doppio che altrove, può funzionare dappertutto. Ne avrà bisogno contro Carreno Busta, uno che la parola regalo, sul campo da tennis, non l’ha mai conosciuta.
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