A differenza di Wimbledon, lo Us Open non ha un luogo dove il pubblico può ritrovarsi e guardare le partite in stile “Henman Hill”. C’è la fontana sotto al centrale, ma non è la stessa cosa…
Una visuale esterna dell’Arthur Ashe Stadium
TennisBest – 28 agosto 2012
La prima giornata dell’Open degli Stati Uniti non ha offerto grandi spunti. Sono uscite poche teste di serie, tutte minori. E' stata una pessima giornata per il tennis tedesco, con l’eliminazione di Julia Goerges, Sabine Lisicki e Florian Mayer. Quest’ultimo si è ritirato quando era sotto di due set contro l’americano Jack Sock, regalandogli qualche copertina sui giornali di martedì. La pessima giornata per il bundestennis è andata avanti con la sconfitta di Andrea Petkovic, battuta 6-2 7-5 da Romina Oprandi: fino a un anno fa, questo risultato sarebbe stato accolto con gioia dagli sciovinisti, poi la Oprandi ha scelto di giocare per la Svizzera. C'è anche stato uno stop di un paio d’ore a causa di un acquazzone, riportando in auge il chiacchiericcio sul tetto che non si farà, almeno a breve. Ma oltre a un tetto retrattile, l’immenso impianto di Flushing Meadows (intitolato a Billie Jean King) ha un’altra mancanza: l’assenza di un posto all’aperto dove gli appassionati possano radunarsi per seguire le partite davanti a uno schermo, specie quelli che non hanno un biglietto per l’Arthur Ashe Stadium. Per intenderci, una “Henman Hill” americana. Tim Henman non ha mai vinto Wimbledon, ma ci si ricorderà di lui anche per questo (anche se qualcuno l’ha già definita “Murray Mound”). Si tratta di una collina naturale dove gli spettatori possono riposarsi, chiacchierare, socializzare e prendere un po’ di sole (quando c’è) tenendo un occhio su quello che succede nel campo centrale. Vabbè, è una cosa molto “british”. Difficilmente un americano pagherebbe per sedersi su un prato e guardare il tennis in TV. A Wimbledon hanno avuto buon gioco grazie alla passione dei britannici per i pic-nic. E grazie a una delle (poche) concessioni dell’All England Club, ossia l’equivalente di due lattine di birra o una bottiglia di vino, anche se qualche spettatore è riuscito a fare entrare di tutto. E’ un’atmosfera rilassata, gioviale, forse unica. Però il concetto è esportabile.
E a Flushing? Oggi come oggi, il luogo migliore dove fare qualcosa di simile è una coppia di fontane piazzate davanti all’Arthur Ashe Stadium. C’è un maxi-schermo in cui va in onda la partita del momento, e le fontane sono un buon luogo per radunare un po’ di gente, anche se mai in gran numero. Difficilmente il centrale dello Us Open si riempie come quello di Wimbledon, ma durante un match serale particolarmente atteso può essere divertente. Ma come si può chiamare un posto del genere? Il nome più banale potrebbe essere “Flushing Fountain”, ma non è così accattivante. Nessuno vorrebbe tornare a casa e raccontare di aver visto il tennis seduto accanto una fontana. Un divertente articolo di USA Today ipotizza una serie di nomi in cui potrebbe essere chiamato il luogo. “Connors Cove” o “Lindsay’s Lake” sono i primi nomi suggeriti. Poi c’è una riflessione: se Henman non ha mai vinto Wimbledon, allora è bene definirlo…”Isner’s Island”. Sampras ed Agassi, tuttavia, avrebbero qualcosa da ridire. Scherzi a parte, attualmente Flushing Meadows non prevede un luogo d’incontro privilegiato. Forse sarebbe il momento di crearne uno. Per ora non ci ha ancora pensato nessuno, e pare che nemmeno i progetti di ampliamento prevedano qualcosa del genere oltre al tanto discusso tetto. Ma si sa, gli americani sono strani. Oggi lottano con la pioggia a suon di asciugamani e aspiratori, ma 43 anni fa fecero un capolavoro assoluto: a causa della pioggia, l’edizione del 1969 terminò al lunedì a causa della pioggia. La finale tutta australiana tra Rod Laver e Tony Roche (il match che avrebbe consegnato a “Rocket” il secondo Slam in carriera) ebbe uno stop di oltre un’ora e mezza anche al lunedì, e allora, dopo la pioggia…un elicottero ha svolazzato sopra il campo centrale del West Side Tennis Club di Forest Hills per asciugare l’erba con un “effetto ventilatore”. Dopo aver perso il primo set, Laver tornò in campo con scarpe “chiodate” per avere maggiore aderenza con l’erba scivolosa. Grazie allo stratagemma, vinse 20 degli ultimi 29 giochi e si aggiudicò torneo e Slam. Storie d’altri tempi in un torneo che deve ancora entrare nel vivo.
US OPEN: L'ELICOTTERO DEL 1969
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