FED CUP – A Cagliari è difficile trovare una strada in piano. C’è un continuo saliscendi che simboleggia la scalata a cui sono chiamate le russe. La strana giornata di Monte Urpinu. 
L'inedito team russo che giocherà la finale contro l'Italia

Dall’inviato a Cagliari, Riccardo Bisti – 1 novembre 2013

 
A modo suo, la finale di Fed Cup 2013 passerà alla storia. L’intero contesto di Cagliari, mischiato alla cornice del Tennis Club di Monte Urpinu, renderà Italia-Russia un match unico. Alternativo. Della (non) competitività del team russo si è parlato fin troppo, facendo passare in secondo piano uno scenario assolutamente unico. Quando Angelo Binaghi disse che Cagliari vantava un panorama mozzafiato, paragonabile solo a Rio de Janeiro e Sydney, pensavamo che esagerasse. L’opinione cambia subito quando ci si affaccia dal Bastione Saint Remy, uno dei luoghi più suggestivi della città, da dove si domina l’intero golfo. Uno spettacolo, la parte “da cartolina” di una città a due facce. Ci sono luoghi eccezionali, ma la crisi si sente, si vede, si annusa nelle strade perennemente in discesa e in salita di una città a più piani. Trovare una strada in piano, a Cagliari, è un’impresa. Da una parte ci sono i luoghi stupendi, dall’altra un proliferare di zingari, vu cumprà e mendicanti. Capita che alcuni di loro salgano al volo su un autobus, prendendosi gli improperi dell’autista: “Ma mi avete scambiato per un taxi?”. Una città da conoscere, certamente da capire. Lassù, nell’incantevole parco di Monte Urpinu, sorge lo storico Tennis Club Cagliari, rivoltato come un calzino per questa finale mondiale. Da queste parti si sono scritte pagine importanti come il mitico Italia-Svezia del 1990, quando il turbo-rovescio di Paolino Canè visse la sua espressione più fulgida. Battè Wilander e ci mandò in paradiso. Nove anni fa, fu la sede dell’esordio di Andreas Seppi in Coppa Davis (contro la Georgia), e ne 2009 ospitò un momento di altissima tensione durante il match contro la Slovacchia, quando Binaghi parlò dello “stato confusionale” di Seppi a seguito delle 10 richieste per continuare a giocare in Davis. Eravamo in pieno Caos-Bolelli. Insomma, storie pesanti, succose. Ma una finale non l’avevano mai vista.
 
Binaghi si è battuto a più non posso per strappare l’approvazione dell’ITF: quando l’ha ottenuta, il club ha capito che sarebbe stato rivoluzionato. Il TC Cagliari è bellissimo per la sua particolare collocazione, ma non è certo pensato per un evento del genere. Per costruire un impianto da 5.000 posti, hanno dovuto fare i salti mortali. Sui lati corti non c’era praticamente spazio: sette file da una parte, otto dall’altra. Palazzi da cinque piani nei lati lunghi: la parte est ha 37 file, la parte ovest si “accontenta” di 32. Un mostriciattolo architettonico reso necessario dall’evento, che rende ancor più suggestivo il contesto. A Monte Urpinu, ed anche al Tennis Club, ci sono anatre e pavoni in totale libertà. In un caldo giovedì, dal clima quasi estivo, un paio di pavoni si sono messi in posa davanti alla sala stampa, come se avessero capito l’eccezionalità dell’evento. Di sicuro potremo raccontare di aver ospitato l’unica finale di Fed Cup con animali in libertà nei paraggi. Un’altra stranezza, tutto sommato piacevole. Nel pomeriggio, si sono allenate prima le azzurre e poi le russe. In Casa Italia, era il turno di Sara Errani e Karin Knapp. Hanno giocato un set, dando l’impressione di essere entrambe un po’ fuori palla. Niente di preoccupante, per carità, ma si sono visti più errori che colpi vincenti. Davanti a una cinquantina di spettatori (paganti), Corrado Barazzutti lasciava che le ragazze fossero seguite rispettivamente da Pablo Lozano e Francesco Piccari. Il coach spagnolo, come sempre, era un vulcano di idee, tanto da parlare quasi dopo ogni punto. L’allenamento si è interrotto quando un operaio ha preso a tirare martellate a volontà perché un fissaggio della tribuna non gli piaceva. Noncurante di tutti, si è preso gli sguardi divertiti delle ragazze. “Se giochi a ritmi bassi, la Errani non ti lascia fare una sola giocata” diceva Piccari alla sua fidanzata. L’input è servito a qualcosa, perché da allora sono arrivati alcuni vincenti della Knapp, timidamente applauditi dal pubblico. Come se non bastasse, Karin è tornata in campo un’ora dopo, quando ha palleggiato nientemeno che con Corrado Barazzutti. Lo staff azzurro era al completo (il medico Parra, l’incordatore Stefanini, il preparatore atletico Carnovale…), e ha visto l’aggiunta di Stefano Mocci, ex grande promessa del tennis sardo (una ventina d’anni fa, da ragazzino, era seguito con particolare attenzione proprio da Binaghi).
 
E poi ci sono le russe, le misteriose russe. Kleybanova a parte, è come se tre UFO fossero sbarcati in Italia. Dei MIG sovietici che cercano la rotta. In mattinata, Alisa si era allenata con Margarita Gasparyan, mentre al pomeriggio è stato il turno di Alexandra Panova e Irina Khromacheva. La prima è una gran bella ragazza: fosse un filino più forte, avrebbe la coda per contratti e sponsorizzazioni. L’altra è una mancina di discreto talento, ma sembra che le manchi qualcosa sul piano fisico. Dietro di lei, Anastasia Myskina cercava di trasmetterle un po’ del suo carisma, mentre a prendersi cura della Panova c’era Larisa Savchenko, ex grande doppista sovietica che oggi non ha nemmeno più la cittandanza russa, visto che è lèttone. E Tarpischev? Il mitico presidente-capitano era appollaiato in un angolo, sulle tribune, a parlamentare con Igor Kunitsyn, discreto giocatore russo prestato allo staff di Fed Cup. Il clima è buono, scherzoso. Un po’ troppo. Più che prepararsi per la finale, le russe hanno dato l’impressione di fare un allenamento tecnico. Hanno piazzato dei birilli sul campo, lavorando sui colpi incrociati. Poi hanno fatto tanto cesto, come se fossero in piena pre-season. Ci è parsero che scherzassero un po’ troppo. Tarpischev si è persino concesso un paio di battute in cirillico che hanno fatto ridere a crepapelle la nutrita delegazione russa, francamente esagerata se rapportata alle possibilità di vittoria. Fossimo nelle giocatrici, sputeremmo sangue in ogni minuto di allenamento. E’ un’occasione più unica che rara di fare la storia, di scrivere un’impresa da leggenda, di mostrare il proprio valore. Francamente, il clima ci ci sembra un po’ troppo rilassato. Ma Cagliari, si sa, è la città dai mille volti e le mille pendenze. Chissà che le russe non vogliano rendere un’altalena anche questa finale….Francamente, ne saremmo stupiti.