Viaggio a Ploermel, nello stabilimento dove vengono fabbricate le corde in budello naturale. le più costose e delicate ma anche le più esaltanti per un tennista. Di Lorenzo Cazzaniga

di Lorenzo Cazzaniga

Quasi tutti i giapponesi non resistono e, con molta educazione, chiedono la via più veloce per il bagno. Succede quando entri nello stabilimento Babolat di Ploermel, in piena Bretagna dove, ancora oggi, 31 artigiani producono le corde in budello naturale. Già, li chiamiamo artigiani perché è una delle pochissime produzioni dove l’aspetto umano ha un valore ben superiore a quello delle macchine. Avete presente come si produce una corda monofilamento? Bastano un paio di guardiani attenti che le macchine non si inceppino. Per il resto, la differenza sta nella chimica degli elementi che comporranno la corda. È lì il segreto, nella miscela degli ingredienti. Col budello naturale è tutta un’altra storia. Il laboratorio di Ploermel ha aperto i battenti nel 1978, ma la famiglia Babolat (da sempre al timone dell’azienda: l’attuale patron, Eric, rappresenta la quinta generazione) si occupa di budello naturale dal 1875, quando era utilizzato per le corde musicali, il filo di sutura (e due Guerre Mondiali devono aver aiutato enormemente il fatturato) e, credeteci o meno, i preservativi. Comunque, tornando al processo produttivo attuale, si parte chiaramente dal mattatoio, posto giusto a fianco e, a scanso di scatenare qualche associazione animalista sotto gli uffici Babolat, premettiamo che non viene ucciso un bue per creare delle corde da tennis. Viene prelevata solo una piccola parte di intestino, dopo che macellai and company hanno già fatto il loro lavoro. Da quell’istante in poi, tutto passa nelle sapienti mani degli artigiani Babolat. L’odore appena entrati non è dei più dolci (capito perché c’è la fila di giapponesi fuori dal bagno, loro che hanno nasini così sensibili?) e la lavorazione è complessa, al punto che servono 20 giorni per ottenere ogni singolo armeggio. Insomma, un lavoraccio. Si comincia prelevando filamenti da 42 millimetri di larghezza dall’intestino del bue e tagliandoli in lunghezza a 12,65 metri. Un lavoro faticoso, riservato solo agli uomini più prestanti. Poi bisogna ripulire il tutto dalle cellule trasversali e lavorare solo quelle longitudinali che offrono l’elasticità per cui è famosa questo tipo di corda. Quindi si procede mettendo i filamenti sotto l’esposizione dei raggi UV per verificarne rotture o quantomeno difetti strutturali. Siamo arrivati solo a un terzo della strada e già pare pazzesco un simile travaglio per ottenere una corda da tennis. Ma la strada è ancora lunga: sette filamenti sono attaccati per un’estremità a un gancio. E la signora che se ne occupa impiega due secondi per l’operazione. Due secondi. Una persona, per quanto abile manualmente, finirebbe con l’arrotolarsela intorno. E comunque è a questo step che la corda comincia ad avere una forma familiare, anche perché un ulteriore nodo all’altra estremità e una misurazione di precisione, consente di ottenere un filamento lungo 12,25 metri, lo stesso che trovate nella vostra bustina.
 
LA CORDA PIU’ PREZIOSA
È anche il momento in cui si verifica la maggior differenza rispetto alla lavorazione precedente, quando venivano utilizzati 13 filamenti da 21 millimetri ciascuno. “Non si perde nulla in termini di sensibilità – dice Folco Canonico, Senior Product Manager della casa francese – ma si guadagna in resistenza”. Dici niente, Folco: il budello è certamente la corda più preziosa, quella più sensibile e confortevole, ma anche la più delicata e costosa, due fattori che sono un campanello d’allarme per l’utente finale. Già, perché se una serata di forte umidità è sufficiente a far rompere una corda da cinquanta euro, è chiaro che se il processo di produzione la rende più resistente (del 15% secondo gli ingegneri Babolat), è pura gioia per gli appassionati. Lasciando perdere i discorsi di vil denaro, peraltro necessari, continuiamo col processo di lavorazione. Le corde subiscono sette bagni chimici durante le successive 24 ore per lavarle e ripulirle. Dopo altre 12 ore di sgocciolamento, le corde vengono tese per l’essiccazione. Un’altra giornata piena serve per estrarre l’acqua da ciascuna corda, mediante un abbassamento controllato del tasso di umidità e una serie di torsioni automatizzate. Quest’ultima operazione, consente anche di ripartire gli sforzi su ciascun filamento permettendo una miglior coesione tra loro.E via, siamo a due terzi dell’operazione. E qui entra in scena una macchina fondamentale, quella che misura il calibro che varia, a seconda del modello, da 1,25 a 1,30 millimetri. Una differenza sottile ma che può diventare gigantesca quando si deve indirizzare una pallina da sei centimetri di diametro a due dita dalla riga a una velocità che può superare i 200 km/h. La corda viene dunque infilata nella macchina per tutta la sua lunghezza con la lucidata che viene realizzata in un’ultima istanza. Va tenuto presente che la rettifica della corda può essere molto limitata, nei limiti dell’uno per cento.
Ciascuna partita di corda (vale a dire la produzione che proviene dal mattatoio nell’arco di una settimana) è testata a campione con un apposito strumento dinanometrico, in modo da supervisionare la qualità del processo di fabbricazione, benché 135 anni di esperienza sono una notevole garanzia.


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LA PROFESSORESSA
A questo punto, tutto passa nelle mani della Professoressa. Appare così, la signora con gli occhialetti, sguardo attento e occhi da far invidia a Clark Kent. Cecile Gindre, che lavora a stretto contatto con Folco, ha provato a far da tester nella sua visita a Ploermel. Si è quasi appoggiata con la testa alle corde, alla disperata ricerca di un’imperfezione, una macchiolina bianca sul nuovo budello nero da eliminare. Niente da fare. Poi è arrivata la Professoressa e, come fosse la cosa più naturale del mondo, ha cominciato a sentenziare. “Qui… qui… qui.. e ancora qui”. Come faccia è un mistero ma soprattutto una preoccupazione. Se difatti un macchinario più evoluto lo puoi sempre acquistare, dove trovare nuovi artigiani del budello? Mica facile, considerando che non si trovano più nemmeno idraulici e antennisti. Eppure trovare nuove risorse umane che possano svolgere il tirocinio indispensabile è un fattore importante per continuare produzioni così complesse. E finalmente ci siamo e vediamo la fine di questo processo infinito, quanto affascinante. Ogni corda viene avvolta su una sorta di rullo prima di essere legata a un collare. Qui interviene un’altra signora, non meno sorprendente. Il suo compito infatti, prevede il controllo tattile di ciascun metro di corda, lasciandola scorrere tra il pollice e l’indice. Mais oui, avete capito bene. Il tutto avviene in un apposito laboratorio per evitare qualsiasi variazione di umidità, la peggior nemica di una corda in budello naturale.
Infine, ecco che la corda viene infilata nel sacchetto che poi trovate appeso nei negozi. Anche questa bustina è creata in maniera tale da preservare la corda da variazioni di umidità e dall’esposizione alla luce che ne possano alterare le prestazioni.
 
DAL MATTATOIO ALLA CONFEZIONE IN 20 GIORNI
Et voilà, venti giorni dopo aver ricevuto la materia prima dal mattatoio, ecco confezionata la corda più bella, performante e, ahimè, costosa del mercato. La grande novità è dunque rappresentata dal fatto di utilizzare sette filamenti al posto di tredici; ciò crea una superficie di contatto maggiore e una miglior coesione tra le varie fibre che si traduce infine in una maggior resistenza. Beneficio che si aggiunge a quelli classici legati alla maggior potenza, sensibilità e soprattutto tenuta di tensione. Se una corda sintetica ha infatti una perdita costante e inevitabile, la tensione del budello naturale cala rapidamente al principio per poi assestarsi e sostanzialmente non variare più fino al momento di rottura. Per questo motivo, se passate da un armeggio sintetico a uno in budello, dovrete aumentare la tensione di due chili, proprio in previsione di questa perdita iniziale. L’abbiamo anche messa tra le mani di incordatori specializzati e il responso è stato unanime: grande scorrimento nei passacorde e infinita sensibilità, al punto che si avverte anche al tatto la differenza tra il VS Team da 1,25 millimetri di diametro e il VS Touch da 1,30. E proprio quest’ultimo ha vissuto un’integrazione significativa perché da quest’anno sarà presente anche nella colorazione nera, divenuta ormai una moda nel mondo del tennis. “Non vi è alcuna differenza di prestazioni – assicura Folco – anche perché, se così fosse, avremmo già abbandonato l’idea”. Che invece è vincente, tanto più che il budello naturale diventa la perfetta metà di un’incordatura ibrida. E considerando che il monofilamento top di Babolat, lo RPM Blast utilizzato anche da Rafael Nadal, è nero, ecco che si sposa anche cromaticamente col VS Team o VS Touch.
 
DALLA CLIJSTERS AL VETERANO
Ma a chi può giovare maggiormente questa tipologia di corde? Beh, la qualità non conosce confini legati alla tecnica di gioco. Infatti, di primo acchito verrebbe da pensare al veterano che ha bisogno di spinta e comfort, ma poi ti ricordi che col VS Touch 1.30, Kim Clijsters ha appena vinto l’Australian Open e allora capisci che il target è ben vario. Oddio, se vogliamo, si possono trovare categorie alle quali si addice poco. Il picchiatore moderno, l’emulo di Nadal, il toppatore folle, col budello rischierebbe di perdere eccessivo controllo ma soprattutto di rompere troppo spesso. Sulla busta andrebbe scritto “astenersi rompicorde” perché comunque il prezzo non è economico, benché, ora che avete un’idea del processo produttivo, è più facile sborsare la cinquantina di euro che servono per montare un budello naturale, dei 25 circa che servono per un buon sintetico.
 
IL TEST IN CAMPO
Per il test in campo ci siamo affidati al re del budello, il maestro dell’Aspria Harbour Club di Milano, Simone Vismara (classifica 2.3). Da sempre monta budello (spesso il Tonic) sulla sua Wilson Original da 85 pollici: “Sostanzialmente è uguale alla versione precedente, ma con una maggior durata, fattore importante quando si gioca sulla terra umida e con più spin. E ogni rottura costa una cinquantina d’euro. Ma per sensibilità non c’è paragone con nessun’altra corda”.