Dopo oltre 200 tentativi, Tsvetana Pironkova vince il suo primo titolo WTA battendo tre top-10 di fila. Fedele alla famiglia e alle origini, ha dedicato il successo al nonno che aveva venduto le sue proprietà per permetterle di viaggiare.
Tsvetana Pironkova non aveva mai giocato finali WTA
Di Riccardo Bisti – 10 gennaio 2014
C’è una ragazza, si chiama Audrey, che è la prima fan di Tsvetana Pironkova. La segue da quasi 10 anni, da quando la bella bulgara è entrata nel circuito WTA. Ormai sono diventate amiche, e ogni 13 settembre, ovunque si trovi, le manda un regalo di compleanno. “Sa sempre inventarsi qualcosa di speciale – racconta Tsvetana – una volta mi ha mandato una bambolina con le mie sembianze, poi uno splendido album fotografico e una raccolta delle mie frasi più significative”. Avrà 9 mesi per elaborare qualcosa, ma quasi certamente le manderà qualcosa di celebrativo del clamoroso successo a Sydney. Un’impresa eccezionale perché illogica, partita dalle qualificazioni e maturata con tre vittorie su altrettante top-10: Sara Errani, Petra Kvitova e Angelique Kerber in finale. Avanti 6-4 3-1, la bulgara ha avuto un pizzico di paura e ha ceduto tre giochi consecutivi. A quel punto si è ricordata di un consiglio che ti danno nei primi mesi di scuola SAT, ma dalla valenza universale. “La palla, solo la palla. Concentrati su quella e basta”. E così è arrivato un controparziale di tre giochi che l’ha proiettata in paradiso, nell’elite delle giocatrici che hanno vinto almeno un torneo WTA. In oltre 200 tentativi, non ce l’aveva mai fatta. Anzi, neanche una finale. Sette semifinali, tutte perse. Fino a ieri, la Pironkova era famosa per un paio di ragioni, forse tre. Due cavalcate a Wimbledon (semifinale nel 2010, quarti nel 2011), ben ricordate perché irrazionali rispetto alla media dei suoi risultati. E po un rovescio bimane niente male. Il terzo motivo riguarda i maschietti: chi va oltre le bellezze da copertina di Sharapova e Ivanovic, non può che restare colpito dal fascino di Tsvetana, che porta in giro una bellezza morbida e tutta particolare. Fosse più forte, avrebbe fatto incetta di copertine, e non solo sulla versione bulgara di “Elle”.
Quando un tennista proviene da un paese povero, quasi sempre ha una storia difficile alle spalle. La Pironkova non fa eccezione.E’ figlia di sportivi, il che conferma la teoria (quasi scientifica!) che i campioni nascono solo se nati in un ambiente favorevole alla pratica dello sport. Papà Kiril è stato un ottimo canoista, poi si è dato al tennis e le ha messo in mano una racchetta quando aveva quattro anni, presso il Club Lokomotiv di Plovdiv, seconda città più grande della Bulgaria. Ancora oggi è il suo coach: non ha un aspetto troppo rassicurante, non lo contraddiresti mai, però aveva già allenato Todor Enev, ex promessa (clamorosamente mancata) del tennis bulgaro. La mamma ha dei lineamenti decisamente più gentili. Si chiama Radosveta ed è stata un’ottima nuotatrice. “In questa finale non ho fatto niente di diverso rispetto ai match precedenti – ha detto – semplicemente ho cercato di tenere la palla in campo, più profonda e potente possibile. Non appena c’era la possibilità, ho cercato di tirare il vincente”. Sembra facile. Adesso è chiamata a confermarsi a Melbourne. A parte Wimbledon e questo exploit, deve dimostrare di poter essere continua. L’avventura a Melbourne partirà contro Silvia Soler Espinosa, poi al secondo turno avrebbe un match affascinante contro Samantha Stosur (a patto che l’australiana batta la Zakopalova, da cui ha appena perso ad Hobart). Il trionfo della Pironkova, oltre ad avere una valenza storica (una qualificata non vinceva un torneo Premier da tre anni e mezzo: l’ultima fu Ekaterina Makarova a Eastbourne 2010), conferma la rapidità dei campi australiani. Non crediamo sia un caso che abbia vinto una specialista dell’erba.
Durante la premiazione era quasi in lacrime. “Da dove comincio? Beh, mamma, papà, ho un trofeo. La prima persona acui lo voglio dedicare è mio nonno Nikola, che non è più tra noi”. Durante la premiazione non l’ha detto, per pudore o forse per timidezza, ma entrambi i nonni sono stati davvero importanti per lei. Encho, il nonno paterno, era un pittore. Aveva realizzato dipinti di buon valore, ma la famiglia fu costretti a venderli. E Nikola, il nonno materno, vendette le sue proprietà per consentire alla famiglia di viaggiare. Tsvetana ha un senso della famiglia estremo, quasi assoluto. Avrebbe potuto trasferirsi altrove, magari semplicemente a Sofia, invece continua a vivere a Plovdiv. Una fedeltà quasi commovente alle sue origini. Adesso può permettersi (quasi) tutto, ma non dimentica le notti trascorse in aeroporto insieme a mamma e papà, nonostante uno stile di vita modesto e senza vizi. “Ma non l’ho mai visto come un sacrificio. Mi sono goduta ogni momento, credo che tutto questo sia un grande viaggio” ha detto a suo tempo. Questo successo le frutterà una cinquantina di posizioni WTA: da numero 107, entrerà tra le top-60, ancora lontanuccia dal best ranking. Ma oggi vale di più, con quel dritto mutuato dagli anni 70-80 e trasportato nel tennis di oggi. E quella femminilità tutta particolare, che devi guardarla un secondo per capirla e apprezzarla. Ma quando l’hai afferrata, non smetteresti mai di guardarla.
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