A 30 anni dal gol truffaldino di Diego Armando Maradona, gli argentini servono l’indennizzo alla Gran Bretagna: senza trucchi, ma con violente bordate da fondocampo, Juan Martin Del Potro cancella l’imbattibilità casalinga di Murray nei singolari di Davis. Non ha un cedimento per oltre cinque ore e regala all’albiceleste un punto che potrebbe essere decisivo.

Il 22 giugno 1986, in modo un po’ truffaldino, l’Argentina si vendicava sulla Gran Bretagna e la presa a forza – nel vero senso della parola – delle Isole Falkland (o Malvinas, se preferite). Un po’ con la testa, un po’ con la furbizia, sicuramente con la mano sinistra, Diego Armando Maradona beffata Peter Shilton con il gol passato alla storia come “Mano de Dios”. Uno dei gol più famosi nella storia del calcio, vissuto dagli inglesi come una profonda ingiustizia. 30 anni e 3 mesi dopo è arrivato l’indennizzo, pulito e per nulla beffardo. Se il gol infilato dieci minuti dopo da Maradona, il più bello di tutti i tempi, fu una beffa, stavolta il pubblico di Glasgow si è inchinato alla storia e alla sportività di Juan Martin Del Potro, capace di battere Andy Murray nel primo singolare di Gran Bretagna-Argentina. Cinque ore e sette minuti di schiaffi, da tutte e due le parti, in cui Del Potro ha mostrato un tennis dirompente e una classe immensa. Quella classe che hanno solo i grandi campioni. Ancora una volta, il “mago” Daniel Orsanic ha azzeccato la scelta. Quasi ogni capitano avrebbe fatto in modo di far giocare Del Potro contro Murray nella terza giornata, invece lui ha affrontato a muso duro il weekend della Emirates Arena. Ha mostrato i muscoli e ha avuto ragione. Ha avuto ragione ogni volta che Palito sparava un ace, ogni volta che picchiava un dritto a velocità supersoniche, talmente violento da spaccare la pallina. Una potenza resa ancora più evidente dalla grande condizione fisica di Murray, che nonostante il campo piuttosto veloce (definito “medium-fast” dal sito della Coppa Davis) ha provato a riprendere l’impossibile, arrendendosi solo quando neanche Superman avrebbe ripreso le bordate argentine. Si narrano così i 307 minuti che hanno sigillato il punteggio finale di 6-4 5-7 6-7 6-3 6-4. Un capolavoro, la cui portata è ben spiegata dai numeri. In undici anni di Davis, lo scozzese aveva vinto 29 singolari su 31. Le uniche due sconfitte erano arrivate in trasferta: la prima nel 2005, quando aveva 18 anni, contro Stan Wawrinka, nel sui esordio assoluto nella competizione. La seconda lo ricordiamo bene, due anni fa, sul lungomare di Napoli, contro un meraviglioso Fabio Fognini. In casa, dunque, non aveva mai perso.


Non aveva mai perso alla Emirates Arena, scelta perché vicina a casa sua, sempre gremita, sede gradita e portafortuna. Nel palazzone di Glasgow era imbattibile, come il miglior Federer a Wimbledon, il miglior Nadal a Parigi…o magari il buon Fausto Gardini negli anni 50, quando il campo centrale del TC Milano era un catino inviolabile. Del Potro è sceso in campo con quello che lo ha reso grande (chissà quanto grande, se non avesse avuto infortuni…): lo spirito del campione. Il campione che conosce il suo valore ma non ha bisogno di essere spavaldo per dimostrarlo. Basta il tennis, a partire da un servizio dalle percentuali simili a quelle di Murray e un dritto che sì, forse è il più potente nella storia del tennis. Di sicuro è il più pesante, quello che ti piega in due le braccia. E pensare che gli episodi, a un certo punto, sembravano dare una mano a Murray. Dopo i primi due set equamente spartiti, Palito prendeva per due volte un break di vantaggio nel terzo e andava a servire sul 5-4. Si procurata anche un setpoint, ma Murray lo cancellava con uno splendido pallonetto. Che superare Del Potro con un pallonetto, beh, è già una notizia. Sullo slancio recuperava, si aggiudicava il tie-break e la strada sembrava in discesa. Ma era lui a calare, mentre l’argentino continuava a martellare a occhi chiusi, come se fosse un robot insensibile alla fatica e – soprattutto – alla pressione. Un break nel quarto e un altro nel quinto risolvevano la contesa a suo favore, suggellate dallo splendido passante di dritto, in corsa, con cui ha confezionato il break decisivo. Si procurava un matchpoint sul 5-3, Murray lo cancellava con un ace, ma sul 5-4 era l’asso numero 19 a zittire 8.000 britannici e mandare in estasi gli argentini. Ma ciò che ha colpito, in verità, è stato l’applauso frustrato ma sincero del pubblico. Un tributo spontaneo, che andava oltre la delusione per la sconfitta. In fondo – molto in fondo – erano contenti per aver assistito a un match straordinario, intenso e combattuto. Forse uno dei più belli dell’anno, anche se gli errori sono stati più dei colpi vincenti. Ma l’aspetto emotivo ce l’ha fatto sembrare ancora più bello. E poi c’è stato l’epilogo più emozionante, come se l’avesse immaginato uno sceneggiatore. Di quelli bravi. 


COPPA DAVIS, SEMIFINALI 
GRAN BRETAGNA – ARGENTINA 0-1
Juan Martin Del Potro (ARG) b. Andy Murray (GBR) 6-4 5-7 6-7 6-3 6-4