Sembra di essere tornati indietro nel tempo. Il torneo di Wuhan è entrato nell'elite dei Premier Five scippando lo status a un evento di tradizione come Tokyo. Gli organizzatori speravano di vedere in campo la loro più illustre concittadina, Na Li, ma lei li ha colti in contropiede con un ritiro a sorpresa. Però non hanno mollato e hanno costruito uno stadio nuovo, in perfetto stile cinese, con le tribune circolari attorno al campo, come a Shanghai e Pechino. Ma c'è profumo di passato, a partire dal colore del campo. Mentre il tour si è quasi interamente convertito ai campi blu, ideali per vedere meglio la pallina, a Wuhan bisogna mettersi gli occhiali da sole: gli “out” sono blu, ma il campo è di un verde pistacchio che è un mezzo attentato alla vista. Anni fa, il verde era molto utilizzato per i campi in cemento. Quando le TV hanno assunto un'importanza sempre maggiore hanno chiesto, quasi preteso, che il colore dei campi fosse funzionale alla visibilità della palla. C'è traccia di questo persino sul rulebook ATP. E così hanno cambiato sia in Australia che negli Stati Uniti. A Wuhan no, lì si gioca sul verde. Per fortuna esistono le telecamere in HD, perché con gli apparecchi di un tempo la visione della pallina sarebbe stata un puro esercizio di fede. L'altro fattore old-style, ancora più importante, si lega a un fatto di cronaca in cui il tennis fa solo da sfondo. A Wuhan non si utilizza la tecnologia “hawk eye”, il sistema che consente di verificare (con un'approssimazione di circa 3 millimetri) l'esatto punto di rimbalzo della palla. Inaugurato una decina d'anni fa, è diventato un arredo permanente, quasi obbligatorio. Talmente importante che alcuni osservatori si sono offesi nel riscontrare che a New York non era presente su tutti i campi (in verità, questo accade solo a Indian Wells).
CHIEDO LA VERIFICA, ANZI NO
A Wuhan non c'è perché uno dei tecnici è morto. Proprio lì, in Cina, in circostanze misteriose. Robin Llyr Evans, un gallese di 21 anni è rimasto vittima di un incidente di cui non si conoscono né dinamiche né circostanze. Lo ha confermato un portavoce del Foreign & Commonwealth Office, l'equivalente britannico della Farnesina, il quale ha confermato la la morte di un cittadino britannico proprio a Wuhan. Evans era un ex rugbista, aveva appena 21 anni ed era uno studente di ingegneria meccanica presso l'Università di Loughborough. In attesa di chiarire le cause della sua morte, a Wuhan si gioca un torneo quasi surreale. Durante il match tra Maria Sharapova e Barbora Strycova (terminato col ritiro di Masha), le giocatrici sono spesso parse a disagio perché avrebbero voluto chiedere l'ausilio elettronico su alcune palle dubbie. La Sharapova, in particolare, non è più abituata a giocare senza tecnologia. E così l'abbiamo pizzicata in più occasioni intenta ad alzare il ditino o la racchetta, salvo poi ricordarsi che non era possibile. Le partite senza Hawk Eye hanno un sapore diverso, forse persino più gustoso, fatto di occhiatacce verso i giudici di linea, l'arbitro, la tensione per una chiamata che arriva (o no). E restituisce importanza al giudice di sedia, che non può più trincerarsi dietro il solito “very close” per suggerire al giocatore di chiedere il “falco”.
CHE STRANA PROGRAMMAZIONE
Wuhan evoca altre immagini antiche. Prendete la povera Agnieszka Radwanska: 24 ore prima aveva vinto il Premier di Tokyo ed è dovuta scendere subito in campo per il primo turno contro Venus Williams. Ovviamente ha perso. Motivo? Il torneo è scattato domenica e terminerà sabato, poiché è in arrivo il Mandatory di Pechino. Con il tabellone a 56 giocatrici, bisognava per forza allinearlo al secondo turno entro lunedì. Risultato: tour de forse per lei e per Belinda Bencic, che pure l'ha sfangata contro la Tomljanovic. Scene che hanno ricordato quelle di 20-30 anni fa, quando i tennisti giocavano a tutto spiano, senza soluzione di continuità, e spesso superavano il muro delle 100 partite in stagione (doppi esclusi). Oggi si lamentano del calendario, vogliono più vacanze. Le fatiche di Radwanska e Bencic hanno ricordato, sia pure alla lontana, l'incredibile tour de force di Ivan Lendl nel 1982, quando vinse tre tornei di fila, uno dietro l'altro, su superfici e continenti diversi. Vinse a Francoforte, sul sintetico indoor; la settimana dopo giunse in finale a Monte Carlo, sulla terra battuta; dopo la sconfitta contro Guillermo Vilas volò addirittura in Texas, a Houston, dove vinse il torneo su terra verde battendo Josè Luis Clerc. Oggi sarebbe impensabile. Insomma, tranquilli: se accendete la TV sul torneo di Wuhan…siamo sempre nel 2015. La macchina del tempo è solo virtuale.