È passato poco più di un anno da quando all'ATP 250 di Nizza il nostro direttore si è fatto una bella chiacchierata per il magazine SportWeek con Dominic Thiem. Al tempo astro emergente del tennis mondiale, oggi conferma che punta dritto ad uno Slam. Insieme a lui, coach Gunther Bresnik, che ha plasmato il suo talento fin dal principio. Si parla di lui, di Zverev e di quelle invenzioni che tanti hanno raccontato…(*) Un vecchio adagio suggerirebbe di non rovinare mai una bella storia con la verità. Per questo, per quanto sembrasse inverosimile, il legame tra Dominic Thiem, austriaco, 23 anni, per molti futuro plurivincitore Slam, e Sepp Resnik, 62 anni, guru della preparazione atletica e dal passato incerto, era l’aspetto più affascinante della storia di questo prevedibile fenomeno del tennis prossimo futuro. Resnik è un tizio che sostiene (con convinzione) di non dormire da anni perché il suo corpo si è abituato ad estenuanti allenamenti notturni, che allungavano la sua giornata di lavoro. Ma soprattutto, ha affermato di aver in parte coinvolto in questa sua folle routine, anche il giovane Dominic, quando era da svezzare: “L’ho fatto correre nella notte, in mezzo al buio dei boschi, oppure lo svegliavo a mezzanotte e lo costringevo a 45 minuti di addominali, fin quando non gridava dal dolore. Ma io gli ripetevo: ‘Se ci riesce un vecchio di 60 anni, vuoi che non ci riesca un giovanotto di 20?’. Sono fiero di quello che è diventato”. A supportare la sua tesi, un articolo di un noto magazine austriaco e delle foto emblematiche che li ritraggono mentre corrono in un bosco tenendo un tronco d’albero sulle spalle.

Dominic, è grazie a questo training che appari così forte fisicamente e mentalmente?
“Tutte balle” mi risponde con i suoi modi timidi ma sicuri. Noncurante di aver rovinato la bella storia, giura “che mi sono messo un tronco d’albero in spalla solo quella volta, perché al fotografo non piaceva l’idea di fare lo shooting in una palestra. Ho lavorato con Resnik, ma non ha avuto chissà quale influenza. Diciamo che, con o senza di lui, sarei arrivato comunque dove sono adesso”.

Ma ci sarà pur qualcosa di vero in quello che racconta.
“Una sola cosa: eravamo in Italia per giocare un torneo Futures (a Este, provincia di Padova n.d.r.). Giocai malissimo un punto e persi il secondo set. Lui si lamentava che non esprimevo abbastanza le mie emozioni in campo e quindi spaccai la racchetta. Poi mi ricordai che era anche il suo compleanno, gliela lanciai in tribuna gridandogli Happy Birthday! Ma tutto il resto, le corse di notte nei boschi, le nuotate d’inverno in mezzo ai fiumi… bah…”

Ma allora chi devi ringraziare se ora sei considerato un potenziale number one mondiale?
“I miei genitori, entrambi insegnanti di tennis. Non ho nemmeno dovuto scegliere: mi sono ritrovato sul campo in maniera naturale. E non l’ho più lasciato. E poi la loro intelligenza di lasciarmi nelle mani di un coach come Guenther Bresnik (un passato con Boris Becker e altri ottimi giocatori n.d.r.) che mi segue da quando avevo 11 anni. Devo a lui tutto ciò che ho imparato su questo sport”.

Uno sport che una volta Juan Carlos Ferrero, ex n.1 del mondo, ha detto comporsi per il 5% di tecnica, il 45% di fisico, il 50% di psicologia: sei d’accordo?
“Difficile fare delle percentuali ma certamente è uno sport in cui la componente psicologica è molto importante. Non è un caso che la parola confidence sia quella più ripetuta nelle interviste. Quando hai fiducia in quello che stai facendo, tutto sembra più facile e quelle tre componenti riesci a mixarle al meglio. Che è il vero segreto per vincere”

Bresnik è parzialmente d’accordo: “Per me l’aspetto più importante è la tecnica. Se in una lotta, un uomo ha una pistola e l’altro un coltello, quello col coltello può anche pensare la tattica più bella del mondo, ma sicuro che è lui quello che muore. Nel tennis è uguale: infatti, quando cominci a lavorare con un ragazzino, il compito del coach è insegnargli dei buoni fondamentali, un programma che va avanti dagli 8 ai 16 anni: senza quelli, non diventi un fuoriclasse. Sono d’accordo con Toni Nadal quando dice di essere stato più utile a Rafa quando era un ragazzino di quanto non lo sia adesso. Poi è importante il passaggio tra i pro, quindi si lavoro sui dettagli. Dominic è come una casa con delle fondamenta solide: ora bisogna arredarla con gusto per renderla perfetta. Ma senza quelle basi, non sarebbe mai arrivato fin qui. E quando sei forte tecnicamente e preparato fisicamente, allora anche la tua testa funziona meglio”.

Ma allora qual è stato il turning point nella crescita di Dominic?
“Quando ho deciso di cambiargli il rovescio da bimane a una mano sola. Ci sono voluti quasi due anni di lavoro, ma si vedeva che con le due mani non sarebbe mai diventato un colpo efficace, mentre ora ha uno dei backhand migliori del circuito”.



Dominic annuisce e si schernisce solo un po’, quando gli domando se sarebbe contento a fine carriera di aver dato il 100% di se stesso e non aver vinto un solo Slam, come se fosse pienamente cosciente che le due cose non sono compatibili.
“Cosa puoi fare oltre a dare il 100% di te stesso? Se dovesse capitare, pazienza. Ma il mio obiettivo, quello per il quale lavoro duro ogni santo giorno, è vincere i Major. Quindi spero di riuscirci un giorno. Anche se non sarà facile: tanti mi presentano come il futuro numero uno del mondo, ma dove sta scritto?”.

La stretta conversazione, diventa una piacevole tavolata quando si unisce anche un altro predestinato, forse ancor più di Thiem, il tedesco Alexander Zverev: “Tutti ci dicono che vinceremo gli Slam, che saremo i futuri numeri uno del mondo, ma non siamo gli unici a volerlo diventare e la strada è lunga. Chi può dire cosa può accadere nel percorso?”.

Ci pensa Bresnik a chiarire la questione, con un filo di paraculaggine: “Guarda questo ragazzo qui a fianco, Zverev: vincerà sicuramente degli Slam, non c’è alcuno dubbio (e Zverev torna a sbuffare, mentre Bresnik quasi lo fulmina con lo sguardo). Dico sul serio, non c’è alcun dubbio: l’ho detto per Safin, per Kafelnikov… tanti anni fa, al torneo di Vienna ho dato la wild card ad un ragazzino svizzero di 16 anni dicendo che sarebbe diventato il n.1 del mondo: ti devo dire come si chiamava? Anche Dominic può arrivare al top, come Zverev. Solo due cose potrebbero fermarli: un infortunio o una donna. Per gli infortuni lavoriamo sulla prevenzione, per le donne… diciamo che sanno gestire bene loro la situazione!”.

Perché, Dominic, essere prestanti, ricchi e famosi, immagino aiuti con le ragazze.
“Sono fidanzato da oltre un anno, quindi non sono la persona giusta a cui chiedere. Però, diciamo che suppongo di sì!”.

Invece non credo aiuti quando bisogna giocare contro gli attuali top players: che effetto ti hanno fatto i primi match contro Nadal, Djokovic, Federer?
“Al principio mi sentivo strano: 3-4 anni fa li vedevo giocare in televisione e all’improvviso me li ritrovavo davanti. Non è così automatico considerare la faccenda qualcosa di normale. Ho battuto Nadal a Buenos Aires e Federer a Roma, anche se era a mezzo servizio. Ma in altre occasioni ho sprecato troppe chance. Giocare contro di loro però aiuta ad alzare il proprio livello di gioco. Dopotutto, se si vuol vincere un grande torneo, bisogna imparare a battere questi giocatori”.

Senza dover aspettare che si ritirino?
“Assolutamente no – interviene Bresnik -. Non credo possa già succedere nel 2016, ma giovani come Dominic o Zverev potranno vincere degli Slam anche prima che si ritirino i giocatori che hai citato. Il divario si sta riducendo”.

Dominic sei d’accordo?
“Certo, nessuno è imbattibile, nemmeno Djokovic, anche se in certi momenti può sembrare così. Personalmente ho fatto bene già le prime volte che li ho incontrati e anche quando non ho vinto, comunque ti indicano dove sta l’asticella per raggiungere il loro livello. Pian piano, ci si può arrivare”.

Una critica che ti viene mossa è sulla strategia di gioco: talvolta pare che vuoi spaccare palla e avversario, senza troppo pensare.
“Il problema è che nel tennis odierno non c’è tanto tempo per pensare perché tutti tirano fortissimo. Credo sia necessario saper trovare un buon equilibrio, ma non è sempre facile”.
E Bresnik precisa: “Con i miei allievi, preferisco prima costruire dei colpi sicuri, potenti, affidabili. Poi viene la strategia, che si impara giocando tanti match. Da ragazzino, Dominic tatticamente era molto abile perché non aveva sufficiente forza per far male all’avversario. Ora è diverso: nel tennis moderno vince chi tira più forte tenendo di più la palla in campo: non c’è tanto spazio per la fantasia”.

Ma se quest’anno Dominic Thiem sarà uno dei Maestri che parteciperà alle ATP Finals di Londra, saresti sorpreso?
Dominic è pronto a rispondere con la solita timidezza, forse perfino modestia. Bresnik gli salta davanti sicuro: “Quest’anno sì, l’anno prossimo molto meno”.

Dominic, quando hai realizzato che potevi diventare davvero un buon professionista di tennis?
Prima di tutto sono stato fortunato a nascere in una regione dell’Austria non troppo sciistica, perché da noi è lo sport principale! Fino ai 12-13 anni ho preso tutto come un divertimento, poi quando ho cominciato ad essere tra i migliori in Europa della mia età e ad arrivare in finale a Roland Garros junior, è chiaro che la strada è segnata.

Tanti si preoccupano di quel che accadrà quando Federer, Nadal e Djokovic si ritireranno, come se il tennis dovesse morire: cosa ne pensi?
Macché, lo sport, il tennis è più grande di qualsiasi fuoriclasse. In passato si sono ritirati tanti campioni e ne sono arrivati altri. Succederà anche questa volta”.

Invece i problemi che potrebbe avere il tennis si chiamano scommesse e doping, soprattutto dopo il caso Sharapova.
“Mah, quello delle scommesse mi è tanto sembrata una trovata dei media ma alla fine cosa è venuto fuori di concreto? Poco o nulla. E sono convinto che anche il doping non sia un problema nel nostro mondo. Per me la Sharapova è stata solo sfortunata: ecco, forse si dovrebbe migliorare la comunicazione perché non sempre è facile star dietro a tutte le regole e all’elenco delle sostanze proibite, soprattutto per chi pensa solo ad allenarsi e giocare bene. Ripeto: per me la Sharapova è stata solo sfortunata e non c’è nessun pericolo di doping nel tennis”.

(*) Intervista pubblicata su SportWeek nel mese di maggio 2016