Il mancino di Sutton si laurea campione a Indian Wells ed entra in top 10: qualità e completezza tecnica per scalare le gerarchie

Foto di Ray Giubilo

Guardando a un circuito mondiale orfano di Jannik Sinner, si potrebbe obiettare che ‘…in assenza del gatto i topi ballano’ e che un’ora e nove minuti di partita siano poca cosa per una finale Master 1000 che si rispetti.

Ma bando alle alle ciance, tanto è bastato a Jack Draper per disporre agevolmente di un Holger Rune in giornata no e laurearsi campione a Indian Wells. Sarebbe ingeneroso, tuttavia, disconoscerne l’impresa per assenza giustificata del capolista, se non altro alla luce dei sei match stupendi che , uno tira l’altro, l’hanno accompagnato per mano dall’esordio fino al punto più alto del podio. Sei prove in cui il mancino di Sua Maestà ha invece mostrato qualità adattive e propositive veramente coi baffi.

Le prime riguardano una superba mobilità a breve, media e ampia gittata che lo collocano sempre nel punto giusto al momento giusto. Le seconde appartengono alla parte più propositiva del suo repertorio, quelle che cavalcano con identica disinvoltura difesa, tenuta e attacco. Insomma un giocatore, il britannico, che coprendo la propria metà campo in modo tanto elastico finisce per infierire con padronanza su quella avversaria.
Un ben di Dio, figlio di un’eccellente cabina di regia che, muovendosi a quasi due metri dal suolo, impone al resto del corpo un invidiabile controllo emotivo.

Ottavi a Melbourne, finale a Doha, vittoria in California, i risultati raccontano di una crescita costante che non offrire il fianco a dubbi. Da oggi nuovo numero sette del pianeta tennis, il londinese di Sutton ha tutti i numeri per lasciare che il mondo racchettaro coltivi su di lui aspettative, magari già con la seconda parte di quel Sunshine Double che anche a Miami ha sempre coronato grandi campioni