Un piccolo gruppo di americani ha usufruito di quasi il 20% delle wild card assegnate ai top 200 prima dei 25 anni di età. Anche per questo si gioisce per Grega Zemlja.
Donald Young ha ricevuto ben 27 wild card nei tornei del circuito ATP
 
Di Riccardo Bisti – 1 novembre 2012

 
Un paio di settimane fa, Grega Zemlja ha raggiunto una sorprendente finale al torneo ATP di Vienna. Come tanti giocatori, lo sloveno è riuscito a infilarsi nei grandi tornei dopo una carriera spesa soprattutto nei challenger. I 150 punti intascati a Vienna gli serviranno a restare tra i primi 100 per buona parte del 2013, con tutti i benefici del caso, a partire dall’ammissione diretta agli Slam. Zemlja ha 26 anni, dunque non è più un ragazzino. Tuttavia è il paradigma di un giocatore capace di entrare tra i primi 50 esclusivamente per meriti propri, un po’ come i nostri Paolo Lorenzi e Flavio Cipolla, che i top-50 li hanno solo sfiorati (e non è detto che non li raggiungano). Quest’anno, Zemlja ha ricevuto una wild card per il torneo di Wimbledon. Non è chiaro il perché, forse perché era reduce dalla vittoria al challenger di Nottingham. Poco importa. Era la sua prima (e unica) wild card nel circuito maggiore. Entrato tra i top 200 nel 2008, in carriera aveva ottenuto solo una wild card in un torneo challenger. Per il resto, si era conquistato tutto da solo. Ma non è l'unico. Se prendiamo i primi 100 ATP, scopriamo che 21 giocatori non hanno ottenuto una sola wild card prima dei 25 anni di età (i più forti sono Tomas Berdych e Janko Tipsarevic), mentre 16 ne hanno ottenuta soltanto una (tra loro c’è Novak Djokovic), mentre ulteriori 23 avevano beneficiato di due inviti. La verità è che per ottenere un buon numero di wild card bisogna essere nati nei posti giusti. Sono posti giusti i grandi paesi, quelli che organizzano tanti tornei. Altrimenti bisogna essere un giocatore di talento, magari con un buon ufficio marketing. Anni fa era accaduto a Mark Kevin Goellner, l’uomo del cappellino all’indietro, adesso accade a Grigor Dimitrov, colui con la gestualità (solo quella) simile a Roger Federer.
 
La nazionalità americana è un bel vantaggio. Il caso più clamoroso è quello di Donald Young. Hanno iniziato ad omaggiarlo quando era ancora minorenne. Alla fine ha avuto 27 wild card nel circuito maggiore. Un’enormità, anche economica. Sostanzialmente, significa regalare circa 150.000 dollari a un solo giocatore. Ma si tratta solo della punta dell’inceberg: ci sono tanti tennisti americani che hanno ottenuto diverse wild card prima dei 25 anni. Alle spalle di Young troviamo Mardy Fish, Ryan Harrison, Sam Querrey, Jesse Levine, John Isner e James Blake. Quest’ultimo ne ha ottenute più di tutti, ma buona parte risalgono agli ultimi anni di carriera. Si spiega (anche) così il caso di Andrea Collarini, promessa argentina che qualche anno fa aveva scelto di giocare per gli States salvo provare un rigurgito di nostalgia e tornare a giocare per l’albiceleste (non prima di aver raccolto diverse wild card nei futures e nei challenger americani). Tornando ai giocatori appena menzionati, gli attuali top 200 hanno raccolto 748 wild card prima di compiere 25 anni. Di queste, 139 sono andate a questi sette giocatori. In altre parole, il 18,6% delle wild card sono state assegnate al 3,5% dei tennisti. Non è giusto, ma è normale. Semplicemente, gli Stati Uniti sono il paese che organizza più tornei: Uno Slam, tre Masters 1000, due ATP 500 e sette ATP 250.
 
Salvo casi eccezionali, i tornei tendono ad assegnare le wild card ai tennisti di casa. Giovani promesse, ex campioni in disgrazia, giocatori del posto…l’obiettivo è dare una mano al movimento nazionale e magari vendere qualche biglietto in più. L’assegnazione delle wild card è a totale discrezione dei tornei, e l’ATP non può metterci il becco. Tuttavia, un po’ di meritocrazia in più non farebbe male. In Italia si giocano le pre-qualificazioni per gli Internazionali di Roma (anche se mette in palio solo gli inviti per le qualificazioni), mentre le federazioni degli Slam hanno messo in atto una politica di reciprocità. Ma il problema geografico resta, perché ci si limita a 3-4 nazioni. E allora il caso di Grega Zemlja può essere un apripista. La federazione britannica si era stufata di elargire wild card ai modesti giocatori di casa, allora ha dato una mano a un tennista che non ne aveva mai avute. La soluzione potrebbe essere proprio questa: assegnare d’ufficio una wild card al vincitore di un torneo challenger (o future, perché no), legato al torneo in questione, sia esso uno Slam o un ATP 250. Gli inviti resteranno un fenomeno territoriale, ma così si creerebbe un minimo di meritocrazia. Che poi andrebbe tutto a vantaggio dei tornei: nessuno ricorda le decine di wild card buttate via con tennisti-pippe, mentre tutti ricordano Franco Bartoni, che agli Internazionali del 1995 premiò Marcelo Rios e Mark Philippoussis, un futuro numero 1 e un futuro finalista Slam (Us Open e Wimbledon). Essere ricordati per qualcosa di bello, in fondo, non è l’obiettivo di ciascuno di noi?