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“Non siamo più di ragazzini – ha detto Mike, più anziano dei due per… due minuti – ma credo che nello sport la longevità sia una cosa meravigliosa. Il tennis ne ha tanti esempi: penso a Federer, Serena Williams, Venus, e tanti altri. In doppio si può andare anche oltre i 40 anni, e questo è un messaggio positivo anche per tutti i giovani. Sanno che possono avere davanti fino a vent’anni di carriera, cosa che un tempo era impossibile”. Tutto vero, ma il punto è: cosa spinge ad andare avanti due che hanno distrutto ogni record? Il loro palmarès mette i brividi. Hanno conquistato 16 tornei del Grande Slam, un Career Golden Slam (gli unici nella storia del doppio), 34 Masters 1000, dieci volte il numero uno di fine anno e oltre il doppio delle vittorie rispetto alla seconda coppia più vincente di sempre. I mitici “Woodies” chiusero la carriera a quota 508 successi, mentre loro hanno fatto 1.000 lo scorso anno a Vienna, li hanno doppiati agli Internazionali d’Italia e oggi sono a 1037. Aggiungici che sono nella top-30 dei tennisti più ricchi di sempre, pronti all’assalto a quota 15 milioni (a testa), e pure che Bob ha già tre figli e girare per il mondo diventa sempre più complesso, e nella lista delle motivazioni ne resta una sola: la passione. “Il tennis ha accompagnato tutta la nostra vita – spiega Bob, il mancino – e oggi andiamo in campo per la soddisfazione di esserci, per divertirci e provare a fare ancora qualcosa di importante. Oggi l’obiettivo è questo, dopo aver passato anni a battere record su record”. Purtroppo per lui, ce n’è uno che difficilmente strapperà al fratello: in coppia hanno vinto 114 titoli, ma Mike ne vanta due in più, perché nel 2002 ha giocato quattro tornei con altri compagni, vincendo a Long Island con Bhupathi e a Nottingham con Knowles.
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Dopo aver lavorato per dodici anni con David Macpherson, uno degli artefici del loro successo, nel gennaio di quest’anno i “Wonder Twins” sono tornati sotto la guida di Phil Farmer, l’uomo che li accompagnò alla conquista del loro primo Slam, il Roland Garros del 2003. Segno che puntavano a fare di più che nel 2016, e malgrado un inizio splendido con la finale all’Australian Open i titoli sono calati da tre a due (Eastbourne e Atlanta). Ma c’è ancora qualche chance per aumentare il bottino, magari proprio all’O2 Arena, dopo hanno vinto il Masters di fine anno nel 2009 e nel 2014, bissando la doppietta realizzata a Houston nel biennio 2003-2004. Il bello è che la loro carriera sembrava destinata a terminare dopo i Giochi Olimpici di Rio 2016, invece all’ultimo rinunciarono al torneo per colpa del virus Zika e oltre un anno dopo la parola “ritiro” non l’hanno mai menzionata. E pare proprio che ci sia l’intenzione di andare avanti ancora. “Sappiamo di essere alla fine della nostra carriera – dice ancora Mike –, e ne parliamo spesso, ma per il momento chi lo sa. Siamo ancora qui, ci piace ancora giocare, ci piace ancora lavorare duro, e puntiamo a fare il meglio possibile”. Il sogno è tornare a vincere un ultimo torneo del Grande Slam, che gli permetterebbe di agguantare i 17 di John Newcombe, e diventare insieme a lui i doppisti più titolati di tutti i tempi. E magari dire addio al tennis come fece Pete Sampras nel 2002, con un trofeo del Grande Slam fra le braccia. “Sarebbe bello uscire di scena come ha fatto Pete – chiude Bob – e continuiamo a credere di potercela fare. Siamo qui per questo”. Non si può dire che non se lo meriterebbero.
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