40 anni dopo, la leggendaria Battaglia dei Sessi tra Bobby Riggs e Billie Jean King approda sul grande schermo con un docu-film che racconta uno dei momenti-chiave nella storia del tennis. E non solo.
Billie Jeaan King e Bobby Riggs nel 1973, alla vigilia del loro storico incontro
Di Riccardo Bisti – 17 giugno 2013
Nadal-Federer? Sampras-Agassi? Borg-McEnroe? No, siete fuori strada. La partita di tennis più vista di tutti i tempi si è giocata il 20 settembre 1973, all’Astrodome di Houston, quando un arzillo Bobby Riggs e Billie Jean King diedero vita alla storica “Battaglia dei Sessi”. 30.472 persone accorsero sugli spalti e e applaudirono il successo della King. Fu un delirio per le femministe, tanto che qualcuno pensò bene di produrre magliette con scritto soltanto il risultato (6-4 6-3 6-3). Fino al 2010 è rimasto il match con più pubblico sugli spalti, quando un’esibizione tra Kim Clijsters e Serena Williams raccolse 35.681 spettatori allo Stadio Re Baldovino di Bruxelles, l’ex Heysel. Ma nessun match ha raccolto un ascolto di oltre 100 milioni di telespettatori (prima dell'esplosione di Na Li, ma quello è un fenomeno solo cinese). Gli anni 70 erano i perfetti figli del 1968. In Italia si votava per il divorzio e l’aborto e i movimenti femministi avevano sempre più rilevanza. Billie Jean King era una femminista travestita da tennista. “Non c’è nulla di più rivoluzionario che mostrare la forza fisica di una donna” disse. Prima di lei, aveva provato a sfidare Bobby Riggs un’altra giocatrice, l’australiana Margaret Court, la più titolata di tutti i tempi (vinse 62 Slam, di cui 24 in singolare). Elegante e talentuosa, si fece travolgere dall’emozione e nemmeno uno sgargiante abito giallo e verde le diede il coraggio per battere l’ultracinquantenne Riggs, ex professionista che si divertiva a scommettere e prendere in giro le donne. “Il modo migliore per gestire le donne è metterle incinte e tenerle a piedi nudi”, disse senza peli sulla lingua. Faceva il buffone, ma a suo tempo era stato numero 1 del mondo e aveva vinto Wimbledon per tre volte. I riflessi non erano quelli di un tempo, ma sul campo era sempre una volpe.
Quando Margaret Court si presentò in campo, le si inginocchiò davanti e le porse un mazzo di rose. Era un trucco. I nervi dell’australiana cedettero in fretta. La sua ingenuità lasciò strada alla furbizia di un marpione, cresciuto in mezzo alla strada e a suo agio in ogni situazione. Billie Jean King assistette alla mattanza (6-2 6-1 per Riggs) e si precipitò davanti alle telecamere. “Adesso voglio affrontarlo io”. La King aveva capito, a differenza della Court, che questo match avrebbe veicolato significati ben più ampi. Tutto questo è diventato un film-documentario che ricalca perfettamente lo spirito e il contesto dell’epoca. Era il periodo in cui le donne lottavano per avere la parità dei montepremi. Pochi anni prima, la King era a capo di un gruppo di giocatrici che avevano sfidato la USTA e dato vita a un circuito autonomo. A darle manforte c’erano giocatrici di livello come Rosie Casals (sua storica compagna di doppio) e Nancy Richey. La USTA dovette riconoscere il successo del tour alternativo, tanto da dover organizzare match di “disturbo”, cui presero parte la stessa Margaret Court, Virginia Wade e una giovanissima Chris Evert. Durante il torneo di Wimbledon 1973, le due parti si riunirono in gran segreto presso il Grosvenor Hotel di Londra. Non erano carbonari, ma qualcosa del genere: basti pensare che Betty Stove faceva da guardia alla porta per tutelare la riservatezza dell’incontro.
“Era il momento buono – ricorda la Stove – se non lo avessimo fatto allora, non ce l’avremmo più fatta”. Le tenniste si misero insieme e iniziò una furibonda battaglia per l’eguaglianza, a partire dai montepremi. Vinsero, e il principio resiste ancora oggi. Il tennis è uno dei pochi sport in cui le donne hanno lo stesso trattamento economico degli uomini. In un contesto del genere, era impensabile che la 29enne King (che avrebbe vinto il suo quinto Wimbledon in singolare) potesse perdere contro il 55enne Riggs. Si allenava come una pazza, mentre lui se la spassava con le modelle di Playboy. Il risultato fu inevitabile, anche se qualcuno giurò che Riggs aveva scommesso contro se stesso. Non lo sapremo mai, mentre è rimasto nella memoria l’editoriale del New York Times: “In una sola partita di tennis, Billie Jean King ha fatto più per la causa delle donne rispetto a centinaia di femministe in una vita intera”. Quel successo non le è bastato: la King ha continuato a lottare per le donne, e continua a farlo ancora oggi. Billie Jean sapeva che la parità di montepremi sarebbe arrivata dimostrando la parità di valore. Se il tennis femminile fosse stato divertente e popolare come il maschile, avrebbe meritato lo stesso trattamento. Ancora oggi, tuttavia, il dibattito è aperto. Molti addetti ai lavori (anche qualche donna!) ritiene che gli uomini debbano essere pagati di più. Ma il mondo è cambiato, non sempre in meglio. Le giocatrici di oggi vivono di rendita, non sono interessate all’argomento. Ma c’è da porsi una domanda: le tenniste di oggi sono in grado di giocare al meglio dei cinque set. E allora perché non lo fanno qualche volta, mettendo fine alla Battaglia dei Sessi una volta per tutte? Finchè non lo faranno, il dibattito non si fermerà. E la scelta di ridurre al meglio dei tre set l’unica partita che si giocava sulla lunga distanza (la finale del Masters) non ha certo deposto a loro favore.
THE BATTLE OX SEXES è un film-documentario che racconta quegli anni a partire dalla mitica sfida dell’Astrodome. Al suo interno ci sono le testimonianze di Margaret Court, Chris Evert, le sorelle Williams e Maria Sharapova. “Volevo cambiare la mente e il cuore delle persone – dice oggi la King – ma non è facile. Allora dovevo batterlo a tutti i costi. Ma non era una partita di tennis: è stato un cambiamento sociale”. Il film uscirà nei cinema il prossimo 26 giugno, mentre l’anteprima mondiale sarà proiettata durante l’Edinburgh Film Festival il prossimo 21 giugno.
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